Seneca, De brevitate vitae, XVII, 4-5
(L’ora di versione – 284 pag. 371)
4 Maxima quaeque bona sollicita sunt nec ulli fortunae minus bene quam optimae creditur; alia felicitate ad tuendam felicitatem opus est et pro ipsis quae successere uotis uota facienda sunt.
4 Tutti i beni più grandi sono fonte di preoccupazione e di nessuna sorte è bene fidarsi meno che di quella ottima; di ulteriore fortuna c’è bisogno per proteggere la fortuna e bisogna fare voti proprio per quei voti che hanno avuto successo.
Omne enim quod fortuito obuenit instabile est: quod altius surrexerit, opportunius est in occasum.
Infatti tutto ciò che avviene per caso è instabile: ciò che si è elevato troppo in alto, è più esposto alla caduta.
Neminem porro casura delectant; miserrimam ergo necesse est, non tantum breuissimam uitam esse eorum qui magno parant labore quod maiore possideant.
Ora a nessuno piacciono le cose destinate a cadere; dunque è necessario che sia infelicissima, non solo brevissima la vita di coloro che con grande fatica si procurano ciò che possono possedere con una fatica ancora più grande.
5 Operose assequuntur quae uolunt, anxii tenent quae assecuti sunt; nulla interim numquam amplius redituri temporis ratio est: nouae occupationes ueteribus substituuntur, spes spem excitat, ambitionem ambitio. Miseriarum non finis quaeritur, sed materia mutatur.
5 Laboriosamente ottengono le cose che vogliono, pieni di ansia custodiscono le cose che hanno ottenuto; nel frattempo non cè nessun calcolo del tempo che non tornerà mai più: nuove occupazioni prendono il posto di quelle vecchie, una speranzaa ne desta un’altra, un’ambizione un’altra ambizione. Non viene cercata la fine delle miserie, cambia piuttosto il motivo.
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