Il mito di Prometeo – Platone, Protagora, 320c-322d

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Per approfondimenti sul rapporto tra sapere e sapienza rimando all’articolo che ho scritto sulla rivista «Altri territori».


Platone, Protagora, 320c-322d


Δοκεῖ τοίνυν μοι, ἔφη, χαριέστερον εἶναι μῦθον ὑμῖν λέγειν.

«Mi sembra dunque, disse1, che sia più piacevole raccontare un mito»

Ἦν γάρ ποτε χρόνος ὅτε θεοὶ μὲν ἦσαν, θνητὰ δὲ γένη [d] οὐκ ἦν. ἐπειδὴ δὲ καὶ τούτοις χρόνος ἦλθεν εἱμαρμένος γενέσεως, τυποῦσιν αὐτὰ θεοὶ γῆς ἔνδον ἐκ γῆς καὶ πυρὸς μείξαντες καὶ τῶν ὅσα πυρὶ καὶ γῇ κεράννυται.

«C’era dunque un tempo quando gli dèi esistevano, ma le stirpi mortali non esistevano. Ma dopo che anche per queste giunse il tempo destinato della genesi, gli dèi le modellano dentro la terra facendo una miscela di terra e fuoco e di quante cose risultano dalla fusione con fuoco e terra».

ἐπειδὴ δἄγειν αὐτὰ πρὸς φῶς ἔμελλον, προσέταξαν Προμηθεῖ καὶ Ἐπιμηθεῖ κοσμῆσαί τε καὶ νεῖμαι δυνάμεις ἑκάστοις ὡς πρέπει.

«E poi quando erano sul punto di condurle alla luce, ordinarono a Prometeo e a Epimeteo2 organizzare e attribuire le capacità a ciascuna specie come si conviene».

Προμηθέα δὲ παραιτεῖται Ἐπιμηθεὺς αὐτὸς νεῖμαι, "Νείμαντος δέ μου," ἔφη, "ἐπίσκεψαι·καὶ οὕτω πείσας νέμει. νέμων δὲ τοῖς μὲν ἰσχὺν ἄνευ τάχους προσῆπτεν, [e] τοὺς δἀσθενεστέρους τάχει ἐκόσμει· τοὺς δὲ ὥπλιζε, τοῖς δἄοπλον διδοὺς φύσιν ἄλλην τιναὐτοῖς ἐμηχανᾶτο δύναμιν εἰς σωτηρίαν.

«Epimeteo chiede a Prometeo di fare lui l’attribuzione: “Io attribuisco”, disse, “e tu sovrintendi.” E avendolo così persuaso fa l’attribuzione. Nell’attribuire ad alcuni applicava forza senza velocità, quelli più deboli li dotava di velocità; alcuni li armava, dando invece ad altri una natura inerme escogitava per loro una qualche altra capacità per la salvezza».

ἃ μὲν γὰρ αὐτῶν σμικρότητι ἤμπισχεν, πτηνὸν φυγὴν ἢ κατάγειον οἴκησιν ἔνεμεν· ἃ δὲ ηὖξε μεγέθει, τῷδε [321] [a] αὐτῷ αὐτὰ ἔσῳζεν· καὶ τἆλλα οὕτως ἐπανισῶν ἔνεμεν.

«A quelli infatti tra loro che rivestiva di piccole dimensioni, attribuiva una fuga alata o una dimora sotterranea

ταῦτα δὲ ἐμηχανᾶτο εὐλάβειαν ἔχων μή τι γένος ἀϊστωθείη· ἐπειδὴ δὲ αὐτοῖς ἀλληλοφθοριῶν διαφυγὰς ἐπήρκεσε, πρὸς τὰς ἐκ Διὸς ὥρας εὐμάρειαν ἐμηχανᾶτο ἀμφιεννὺς αὐτὰ πυκναῖς τε θριξὶν καὶ στερεοῖς δέρμασιν, ἱκανοῖς μὲν ἀμῦναι χειμῶνα, δυνατοῖς δὲ καὶ καύματα, καὶ εἰς εὐνὰς ἰοῦσιν ὅπως ὑπάρχοι τὰ αὐτὰ ταῦτα στρωμνὴ οἰκεία τε καὶ αὐτοφυὴς ἑκάστῳ· καὶ [b] ὑποδῶν τὰ μὲν ὁπλαῖς, τὰ δὲ [θριξὶν καὶδέρμασιν στερεοῖς καὶ ἀναίμοις.

«Queste cose escogitava avendo cura che nessuna specie si estinguesse; e dopo che fornì loro scampo dalle uccisioni reciproche, escogitò una comoda protezione contro le stagioni di Zeus, rivestendoli di fitte pellicce e pelli robuste, sufficienti a difendere dal freddo, capaci anche contro il caldo, e, quando capitasse di andare a letto, come coperta propria e connaturata a ciascuno; poi applicando sotto ad alcuni zoccoli, ad altri peli e pelli robuste e senza sangue»

τοὐντεῦθεν τροφὰς ἄλλοις ἄλλας ἐξεπόριζεν, τοῖς μὲν ἐκ γῆς βοτάνην, ἄλλοις δὲ δένδρων καρπούς, τοῖς δὲ ῥίζας· ἔστι δοἷς ἔδωκεν εἶναι τροφὴν ζῴων ἄλλων βοράν· καὶ τοῖς μὲν ὀλιγογονίαν προσῆψε, τοῖς δἀναλισκομένοις ὑπὸ τούτων πολυγονίαν, σωτηρίαν τῷ γένει πορίζων.

«Quindi procuro alcuni nutrimenti ad alcuni altri ad altri, ad alcuni erba cresciuta dalla terra, ad altri frutti di alberi, ad altri ancora radici; ci sono anche quelli a cui diede come nutrimento la preda di altri animali; e agli uni assegnò scarsità di prole, mentre a quelli catturati da questi abbondanza di prole, procurando salvezza alla specie».

 ἅτε δὴ οὖν οὐ πάνυ τι σοφὸς ὢν ὁ Ἐπιμηθεὺς ἔλαθεν αὑτὸν [c] καταναλώσας τὰς δυνάμεις εἰς τὰ ἄλογα· λοιπὸν δὴ ἀκόσμητον ἔτι αὐτῷ ἦν τὸ ἀνθρώπων γένος, καὶ ἠπόρει ὅτι χρήσαιτο.

 «Siccome dunque Epimeteo non era proprio del tutto sapiente, non si accorse di aver consumato le capacità per gli esseri irrazionali; quindi la stirpe umana rimaneva priva di doti, e non sapeva come regolarsi».

 ἀποροῦντι δὲ αὐτῷ ἔρχεται Προμηθεὺς ἐπισκεψόμενος τὴν νομήν, καὶ ὁρᾷ τὰ μὲν ἄλλα ζῷα ἐμμελῶς πάντων ἔχοντα, τὸν δὲ ἄνθρωπον γυμνόν τε καὶ ἀνυπόδητον καὶ ἄστρωτον καὶ ἄοπλον· ἤδη δὲ καὶ ἡ εἱμαρμένη ἡμέρα παρῆν, ἐν ᾗ ἔδει καὶ ἄνθρωπον ἐξιέναι ἐκ γῆς εἰς φῶς.

 «Mentre era nell’incertezza va da lui Prometeo per sovrintendere alla distribuzione, e vede gli altri esseri viventi armoniosamente in possesso di tutte le doti, l’essere umano invece nudo e scalzo e privo di coperte e inerme: per giunta era ormai presente il giorno destinato, in cui doveva anche l’uomo uscire dalla terra alla luce».

 ἀπορίᾳ οὖν σχόμενος ὁ Προμηθεὺς ἥντινα σωτηρίαν τῷ ἀνθρώπῳ εὕροι, [d] κλέπτει Ἡφαίστου καὶ Ἀθηνᾶς τὴν ἔντεχνον σοφίαν σὺν πυρί ‑ ἀμήχανον γὰρ ἦν ἄνευ πυρὸς αὐτὴν κτητήν τῳ ἢ χρησίμην γενέσθαι ‑ καὶ οὕτω δὴ δωρεῖται ἀνθρώπῳ. τὴν μὲν οὖν περὶ τὸν βίον σοφίαν ἄνθρωπος ταύτῃ ἔσχεν, τὴν δὲ πολιτικὴν οὐκ εἶχεν· ἦν γὰρ παρὰ τῷ Διί.

 «Prometeo allora, in preda al dubbio e non sapendo quale salvezza trovare per l’uomo, ruba la sapienza insita nella tecnica di Efesto e di Atena insieme al fuoco – infatti era impossibile, senza fuoco, che quella fosse acquisibile da qualcuno o utile – e così ne fa dono all’uomo. Dunque l’uomo ebbe con questa la sapienza intorno alla conservazione della vita, ma non ebbe quella politica: era infatti presso Zeus».

 La sapienza tecnica è la stessa di cui parla Sofocle nell’Antigone:

πολλὰ τὰ δεινὰ κοὐδὲν ἀν-

θρώπου δεινότερον πέλει

«molte sono le cose inquietanti e nulla è più inquietante delluomo», così esordisce il coro nel primo stasimo dell’Antigone (vv. 332-333)prosegue quindi con una rassegna dei principali ritrovati della tecnica per poi aggiungere:

σοφόν τι τὸ μηχανόεν

τέχνας ὑπὲρ ἐλπίδ᾽ ἔχων

τοτὲ μὲν κακόν, ἄλλοτ᾽ ἐπ᾽ ἐσθλὸν ἕρπει,

νόμους περαίνων χθονὸς

θεῶν τ᾽ ἔνορκον δίκαν,

ὑψίπολις: ἄπολις ὅτῳ τὸ μὴ καλὸν

ξύνεστι τόλμας χάριν.

«possedendo il ritrovato della tecnica / che è una forma di sapere, oltre l'aspettativa, / si volge a volte al male, a volte al bene, / attuando le leggi della terra / e la giustizia giurata degli dèi, / è alto nella città: fuori dalla città / quello con cui non conviva il bello, / per laudacia».

 Nonostante Platone sia il primo censore del teatro3, su questo punto si può dire che sia in piena sintonia con i tre tragediografi. Infatti troviamo una condanna molto simile in due dialoghi4 importanti: Fedro, 275a-b (il mito di Theuth) come qui nel Protagora, 320c-322d (il mito di Prometeo).

 Nel «mito di Theuth» viene in particolare messa in risalto la distinzione tra tecnica e morale; Theuth è il corrispondente egizio di Prometeo, la divinità benefattrice dellumanità. Un giorno va dal faraone Tamus per esporgli tutte le sue invenzioni, tra cui spiccano le lettere, individuate come μνήμης τε καὶ σοφίας φάρμακον, «farmaco della memoria e della sapienza» (274e); segue la risposta del faraone:

ὦ τεχνικώτατε Θεύθ, ἄλλος μὲν τεκεῖν δυνατὸς τὰ τέχνης, ἄλλος δὲ κρῖναι τίν᾽ ἔχει μοῖραν βλάβης τε καὶ ὠφελίας τοῖς μέλλουσι χρῆσθαι· καὶ νῦν σύ, πατὴρ ὢν γραμμάτων, δι᾽ εὔνοιαν τοὐναντίον εἶπες ἢ δύναται. τοῦτο γὰρ τῶν μαθόντων λήθην μὲν ἐν ψυχαῖς παρέξει μνήμης ἀμελετησίᾳ, ἅτε διὰ πίστιν γραφῆς ἔξωθεν ὑπ᾽ ἀλλοτρίων τύπων, οὐκ ἔνδοθεν αὐτοὺς ὑφ᾽ αὑτῶν ἀναμιμνῃσκομένους· οὔκουν μνήμης ἀλλὰ ὑπομνήσεως φάρμακον ηὗρες. σοφίας δὲ τοῖς μαθηταῖς δόξαν, οὐκ ἀλήθειαν πορίζεις· πολυήκοοι γάρ σοι γενόμενοι ἄνευ διδαχῆς πολυγνώμονες εἶναι δόξουσιν, ἀγνώμονες ὡς ἐπὶ τὸ πλῆθος ὄντες, καὶ χαλεποὶ συνεῖναι, δοξόσοφοι γεγονότες ἀντὶ σοφῶν. 
«O tecnicissimo Theuth, uno è capace di partorire i ritrovati della tecnica, un altro di giudicare quale parte di danno e di vantaggio hanno per coloro che hanno intenzione di usarli: e ora tu, siccome sei il padre delle lettere, per benevolenza hai detto il contrario di quello che possono fare. Questo sapere infatti procurerà oblio nelle anime di chi apprende per trascuratezza della memoria, in quanto per fede nella scrittura richiamano alla memoria da fuori a partire da modelli esterni, non dallinterno essi stessi da sé stessi5; hai trovato un farmaco non certo della memoria ma del ricordo. Tu procuri ai discepoli lopinione della sapienza, non la verità: divenuti tuoi assidui ascoltatori penseranno di essere, senza insegnamento, molto colti, essendo invece per lo più ignoranti, e difficili da frequentare, divenuti apparentemente sapienti, anziché sapienti».

  Nel Fedro dunque la distinzione avviene sul piano morale, come qui nel Protagora.

τῷ δὲ Προμηθεῖ εἰς μὲν τὴν ἀκρόπολιν τὴν τοῦ Διὸς οἴκησιν οὐκέτι ἐνεχώρει εἰσελθεῖν ‑ πρὸς δὲ καὶ αἱ Διὸς φυλακαὶ φοβεραὶ ἦσαν ‑ εἰς δὲ τὸ τῆς Ἀθηνᾶς καὶ Ἡφαίστου οἴκημα τὸ κοινόν, ἐν ᾧ [e] ἐφιλοτεχνείτην, λαθὼν εἰσέρχεται, καὶ κλέψας τήν τε ἔμπυρον τέχνην τὴν τοῦ Ἡφαίστου καὶ τὴν ἄλλην τὴν τῆς Ἀθηνᾶς δίδωσιν ἀνθρώπῳ, καὶ ἐκ τούτου εὐπορία μὲν ἀνθρώπῳ τοῦ [322] [a] βίου γίγνεται, Προμηθέα δὲ δι' Ἐπιμηθέα ὕστερον, ᾗπερ λέγεται, κλοπῆς δίκη μετῆλθεν.

«E a Prometeo non era più concesso entrare nell’acropoli, la dimora di Zeus – oltretutto le guardie di Zeus erano spaventose – però entra di nascosto nella officina comune di Atena ed Efesto, dove praticavano le amate tecniche, e avendo rubato la tecnica presente nel fuoco di Efesto e l’altra di Atena le dona all’uomo, e grazie a questo deriva all’uomo benessere di vita, ma in seguito a causa di Epimeteo, come appunto si dice, la punizione del furto raggiunse Prometeo».

Ἐπειδὴ δὲ ὁ ἄνθρωπος θείας μετέσχε μοίρας, πρῶτον μὲν διὰ τὴν τοῦ θεοῦ συγγένειαν ζῴων μόνον θεοὺς ἐνόμισεν, καὶ ἐπεχείρει βωμούς τε ἱδρύεσθαι καὶ ἀγάλματα θεῶν· ἔπειτα φωνὴν καὶ ὀνόματα ταχὺ διηρθρώσατο τῇ τέχνῃ, καὶ οἰκήσεις καὶ ἐσθῆτας καὶ ὑποδέσεις καὶ στρωμνὰς καὶ τὰς ἐκ γῆς τροφὰς ηὕρετο. οὕτω δὴ παρεσκευασμένοι κατ' ἀρχὰς [b] ἄνθρωποι ᾤκουν σποράδην, πόλεις δὲ οὐκ ἦσαν·

«Dopo che l’uomo partecipò di sorte divina, dapprima a causa della parentela con la divinità unico tra gli esseri viventi riconosceva gli dèi, e metteva mano alla costruzione di altari e statue di dèi; poi articolò subito  con la tecnica voce e parole, e inventò abitazioni e vesti e calzature e coperte e i nutrimenti provenienti dalla terra. Così equipaggiati agli inizi gli uomini abitavano disseminati, città non esistevano:»

[c] Ζεὺς οὖν δείσας περὶ τῷ γένει ἡμῶν μὴ ἀπόλοιτο πᾶν, Ἑρμῆν πέμπει ἄγοντα εἰς ἀνθρώπους αἰδῶ τε καὶ δίκην, ἵν' εἶεν πόλεων κόσμοι τε καὶ δεσμοὶ φιλίας συναγωγοί.

«Zeus dunque, temendo per la nostra stirpe che andasse in rovina tutta, manda Ermes a portare agli uomini pudore e giustizia, affinché fossero princípi di ordine e vincoli di amicizia che tengono uniti».

ἐρωτᾷ οὖν Ἑρμῆς Δία τίνα οὖν τρόπον δοίη δίκην καὶ αἰδῶ ἀνθρώποις· "Πότερον ὡς αἱ τέχναι νενέμηνται, οὕτω καὶ ταύτας νείμω; νενέμηνται δὲ ὧδε· εἷς ἔχων ἰατρικὴν πολλοῖς ἱκανὸς ἰδιώταις, καὶ οἱ ἄλλοι δημιουργοί· καὶ δίκην δὴ καὶ αἰδῶ [d] οὕτω θῶ ἐν τοῖς ἀνθρώποις, ἢ ἐπὶ πάντας νείμω;»

«Allora Ermeschiede a Zeus in quale modo dare giustizia e pudore agli uomini: “Come le altre tecniche sono state attribuite, così attribuisco anche queste? così sono state attribuite [le prime]: uno solo in possesso della medicina sufficiente per molti individui, e gli altri artigiani; anche giustizia e pudore metto così negli uomini, oppure le attribuisco a tutti?».

"Ἐπὶ πάντας," ἔφη ὁ Ζεύς, "καὶ πάντες μετεχόντων· οὐ γὰρ ἂν γένοιντο πόλεις, εἰ ὀλίγοι αὐτῶν μετέχοιεν ὥσπερ ἄλλων τεχνῶν· καὶ νόμον γε θὲς παρ' ἐμοῦ τὸν μὴ δυνάμενον αἰδοῦς καὶ δίκης μετέχειν κτείνειν ὡς νόσον πόλεως.

«“A tutti” disse Zeus, “e tutti ne partecipino: non ci sarebbero infatti città, se pochi ne partecipassero come delle altre tecniche; poi stabilisci una legge garantita da me che impone di uccidere come malattia della città chi non sia capace di partecipare di pudore e giustizia”».


 Aggiungo alcuni altri passi platonici in cui al piano della tecnica viene contrapposto quello dell’etica e della politica.


Platone, Politico, 276b-c

ΞΕ. Ἐπιμέλεια δέ γε ἀνθρωπίνης συμπάσης κοινωνίας οὐδεμία ἂν ἐθελήσειεν ἑτέρα μᾶλλον καὶ προτέρα τῆς βασιλικῆς [c] φάναι καὶ κατὰ πάντων ἀνθρώπων ἀρχῆς εἶναι τέχνη.

«Straniero di Elea «Ma nessuna altra arte può pretendere di definirsi, di più e prima di quella regia, cura di tutta quanta la comunità umana e arte di governo su tutti gli uomini».

ΝΕ. ΣΩ. Λέγεις ὀρθῶς.

Socrate il giovane «Dici bene».

ΞΕ. Μετὰ ταῦτα δέ γε, ὦ Σώκρατες, ἆρ' ἐννοοῦμεν ὅτι πρὸς αὐτῷ δὴ τῷ τέλει συχνὸν αὖ διημαρτάνετο;

Str. «Dopo di che, oh Socrate, non notiamo che proprio alla fine è stato commesso un grosso errore?»

ΝΕ. ΣΩ. Τὸ ποῖον;

Socr. g.«Quale?»

ΞΕ. Τόδε, ὡς ἄρ' εἰ καὶ διενοήθημεν ὅτι μάλιστα τῆς δίποδος ἀγέλης εἶναί τινα θρεπτικὴν τέχνην, οὐδέν τι μᾶλλον ἡμᾶς ἔδει βασιλικὴν αὐτὴν εὐθὺς καὶ πολιτικὴν ὡς ἀποτετελεσμένην προσαγορεύειν.

Str. «Questo, che dunque se anche avessimo creduto in massimo grado che esiste una certa arte di allevare il gregge bipede, per nessuna ragione avremmo dovuto chiamarla subito regia e politica, come se fosse perfetta».


Menesseno (epitafio di Aspasia)

πᾶσά τε ἐπιστήμη χωριζομένη [247] [a] δικαιοσύνης καὶ τῆς ἄλλης ἀρετῆς πανουργία, οὐ σοφία φαίνεται.

«Ogni scienza separata da giustizia e dalle altre virtù si rivela malignità, non sapienza».


Platone, Repubblica, 505a

ἡ τοῦ ἀγαθοῦ ἰδέα μέγιστον μάθημα […] εἰ δὲ μὴ ἴσμεν, ἄνευ δὲ ταύτης εἰ ὅτι μάλιστα τἆλλα ἐπισταίμεθα, οἶσθ’ ὅτι οὐδὲν ἡμῖν ὄφελος,

«l’idea del bene è il massimo apprendimento […] se non la conosciamo, senza questa, se sappiamo al meglio le altre cose, capisci che niente è per noi un vantaggio».


Interessante anche un passo del Simposio, dove al sapere tecnico viene contrapposto quello erotico.


Simposio (discorso di Diotima)

[203] [a] θεὸς δὲ ἀνθρώπῳ οὐ μείγνυται, ἀλλὰ διὰ τούτου πᾶσά ἐστιν ἡ ὁμιλία καὶ ἡ διάλεκτος θεοῖς πρὸς ἀνθρώπους, καὶ ἐγρηγορόσι καὶ καθεύδουσι· καὶ ὁ μὲν περὶ τὰ τοιαῦτα σοφὸς δαιμόνιος ἀνήρ, ὁ δὲ ἄλλο τι σοφὸς ὢν ἢ περὶ τέχνας ἢ χειρουργίας τινὰς βάναυσος. οὗτοι δὴ οἱ δαίμονες πολλοὶ καὶ παντοδαποί εἰσιν, εἷς δὲ τούτων ἐστὶ καὶ ὁ Ἔρως.

«Il dio non si mescola con l’uomo, ma attraverso questo (τὸ δαιμόνιον, il demonico caratteristico di Amore, che è a metà tra dèi e uomini) c’è ogni frequentazione e dialogo per gli dèi con gli uomini, sia quando sono svegli sia quando sono addormentati; e chi è sapiente in tali cose è un uomo demonico, quello invece che è sapiente in qualcos’altro o nelle tecniche o in certi lavori pratici è un manovale. Questi demoni sono molti e di vario tipo, e uno di questi è anche Amore».



1 È Protagora di Abdera che parla a Socrate che gli ha chiesto se la virtù politica sia insegnabile: secondo lui non sembra, dato che molti ne mancano, a partire dai figli dei grandi politici. Il sofista allora gli spiega il suo punto di vista con un mito.

2 Prometeo ed Epimeteo sono fratelli e sono nomi parlaniti: il primo significa «che comprende prima» (πρό, «prima» e μανθάνω, «comprendo»), il secondo «che comprende dopo» (ἐπί, «dopo» e μανθάνω, «comprendo»).

 3 In Repubblica 475d Platone contrappone agli spettacoli del teatro quello della verità: egli biasima quanti tra gli amanti degli spettacoli (οἵ τε φιλοθεάμονες) e delle audizioni (οἵ τε φιλήκοοι) ἀτοπώτατοί τινές εἰσιν ὥς γἐν φιλοσόφοις τιθέναι, «sono certo ben strani da porre tra i filosofi», tutte persone che invece che partecipare a discorsi razionali ὥσπερ δὲ ἀπομεμισθωκότες τὰ ὦτα ἐπακοῦσαι πάντων χορῶν περιθέουσι τοῖς Διονυσίοις οὔτε τῶν κατὰ πόλεις οὔτε τῶν κατὰ κώμας ἀπολειπόμενοι, «come se avessero dato in affitto le orecchie, corrono ad ascoltare tutti i cori alle Dionisie senza tralasciare né quelle di città né quelle dei villaggi»; lo spettacolo della verità che è invece quello amano i filosofi (τοὺς τῆς ἀληθείας φιλοθεάμονας, 475e). In Leggi (701a) se la prende con lo strapotere dei teatri: τὰ θέατρα ἐξ ἀφώνων φωνήεντἐγένοντο, ὡς ἐπαΐοντα ἐν μούσαις τό τε καλὸν καὶ μή, καὶ ἀντὶ ἀριστοκρατίας ἐν αὐτῇ θεατροκρατία τις πονηρὰ γέγονεν, «i teatri da silenziosi sono diventati risonanti di voci, come se comprendessero ciò che è bello e ciò che non lo è nelle opere poetiche, si è prodotta al posto di un’aristocrazia del gusto una maligna teatrocrazia».

4 «Il dialogo platonico fu per così dire la barca su cui la poesia antica naufraga si salvò con tutte le sue creature» (Nietzsche, La nascita della tragedia, 14).

5 È la famosa condanna della scrittura associata alla dottrina della conoscenza in quanto reminiscenza formulata in Menone, 81b-c: Socrate sta spiegando a Menone che, essendo lanima immortale, nasciamo più volte e quindi impariamo tutto nel corso delle varie vite; ἅτε γὰρ τῆς φύσεως ἁπάσης συγγενοῦς οὔσης, καὶ μεμαθηκυίας τῆς ψυχῆς ἅπαντα, οὐδὲν κωλύει ἓν μόνον ἀναμνησθέντα ὃ δὴ μάθησιν καλοῦσιν ἄνθρωποι τἆλλα πάντα αὐτὸν ἀνευρεῖν, ἐάν τις ἀνδρεῖος ᾖ καὶ μὴ ἀποκάμνῃ ζητῶν· τὸ γὰρ ζητεῖν ἄρα καὶ τὸ μανθάνειν ἀνάμνησις ὅλον ἐστίν«siccome infatti la natura è tutta imparentata con se stessa e lanima ha appreso tutto, nulla impedisce che ricordando una sola cosa, ciò che gli uomini appunto chiamano apprendimento, riscopra tutte le altre cose, qualora sia un uomo di valore e non si stanchi di cercare; infatti il cercare e lapprendere sono nel complesso reminiscenza».
 A questa idea si può contrapporre quanto dice Schopenhauer (Parerga e paralipomena II, Capitolo ventitreesimo, Sul mestiere dello scrittore e sullo stile, 289a«Quanto grandi e degni di ammirazione sono stati quei primi spiriti del genere umano i quali… inventarono la più meravigliosa delle opere darte, la grammatica della lingua… tutto questo nella nobile intenzione di avere un organo materiale adeguato e sufficiente per la piena e degna espressione del pensiero umano».

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