giovedì 12 dicembre 2024

Seneca, Epistulae, 33

 Bisogna essere autori, non interpreti

(cfr. il mio articolo «il sapere non è sapienza»)


 5. non est formonsa cuius crus laudatur aut brachium, sed illa cuius universa facies admirationem partibus singulis abstulit.

 «5. Non è bella la donna della quale è lodata una gamba o un braccio, ma quella della quale l’aspetto complessivo ha sottratto l’ammirazione alle singole parti».

 7. turpe est enim seni aut prospicienti senectutem ex commentario sapere… impera et dic quod memoriae tradatur, aliquid et de tuo profer. 8. Omnes itaque istos, numquam auctores, semper interpretes, sub aliena umbra latentes, nihil existimo habere generosi, numquam ausos aliquando facere quod diu didicerant. Memoriam in alienis exercuerunt; aliud autem est meminisse, aliud scire. Meminisse est rem commissam memoriae custodire; at contra scire est et sua facere quaeque nec ad exemplar pendere et totiens respicere ad magistrum.

 «7. È vergognoso infatti per un vecchio o uno che si affaccia alla vecchiaia avere un sapere libresco… Prendi il comando e di’ una cosa che sia tramandata alla memoria, aggiungi anche qualcosa di tuo. 8. E così tutti costoro mai autori, sempre interpreti, che si nascondono sotto l’ombra altrui, penso che non abbiano nulla di nobile, che non abbiano mai osato fare ciò che a lungo avevano imparato. Esercitarono la memoria nelle idee degli altri; ma un conto è ricordare, un altro conto è sapere. Ricordare è conservare una cosa affidata alla memoria; al contrario sapere è rendere anche propria ciascuna cosa e non dipendere da un modello e rivolgere lo sguardo tanto spesso a un maestro».

 10. Numquam autem invenietur, si contenti fuerimus inventis. Praeterea qui alium sequitur nihil invenit, immo nec quaerit.

 «10. Poi non ci saranno mai nuove scoperte, se ci saremo accontentati delle cose già scoperte. Inoltre chi segue un altro non scopre niente, anzi nemmeno cerca1».

  1 Mentre ὁ δὲ ἀνεξέταστος βίος οὐ βιωτὸς ἀνθρώπῳ, «la vita senza ricerca non è degna di essere vissuta per un uomo» (Platone, Apologia, 38a).

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