Ab Urbe condita libri, II, 32, 13-15
Menenius Agrippa intromissus in castra prisco illo dicendi et horrido modo nihil aliud quam hoc narrasse fertur:
Si tramanda che Menenio Agrippa, entrato nell’accampamento, in quel podo antico di parlare e rozzo non abbia raccontato null’altro che questo:
tempore quo in homine non ut nunc omnia in unum consentiant, sed singulis membris suum cuique consilium, suus sermo fuerit, indignatas reliquas partes sua cura, suo labore ac ministerio ventri omnia quaeri, ventrem in medio quietum nihil aliud quam datis voluptatibus frui;
nel tempo in cui nell’essere umano, non come ora tutte le parti sono in armonia per un’unico scopo, ma ciascuna delle membra aveva una propria volontà, una propria parola, le altre parti erano sdegnate che con il proprio zelo, la propria fatica e servizio tutte le cose erano ricercate a vantaggio del ventre, mentre il ventre tranquillo nel mezzo null’altro faceva se non godere dei piaceri forniti;
conspirasse inde ne manus ad os cibum ferrent, nec os acciperet datum, nec dentes quae acciperent conficerent. Hac ira, dum ventrem fame domare vellent, ipsa una membra totumque corpus ad extremam tabem venisse.
cospirarono quindi che le mani non portassero il cibo alla bocca, né la bocca ricevesse quello dato, né i denti sminuzzassero quello che ricevevano. Con questa ira, mentre volevano domare il ventre con la fame, le stesse singole membra e il corpo intero giunsero a una consunzione estrema.
Inde apparuisse ventris quoque haud segne ministerium esse, nec magis ali quam alere eum, reddentem in omnes corporis partes hunc quo vivimus vigemusque, divisum pariter in venas maturum confecto cibo sanguinem. Comparando hinc quam intestina corporis seditio similis esset irae plebis in patres, flexisse mentes hominum.
Quindi apparve che anche quella del ventre era una funzione non inutile, e che quello non era nutrito più di quanto non nutrisse, restituendo in tutte le parti del corpo equamente distribuito nelle vene questo sangue per il quale viviamo e siamo forti, efficace al punto giusto per il cibo digerito. Facendo da qui un paragone su quanto la ribellione intestina del corpo fosse simile all’ira della plebe nei confronti dei patrizi, piegò le menti degli uomini.
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