Duo – latino
L’inutilità dei viaggi per un animo inquieto
(Seneca, Epistulae, 104, 13-18)
13. Quid per se peregrinatio prodesse cuiquam potuit? Non uoluptates illa temperauit, non cupiditates refrenauit, non iras repressit, non indomitos amoris impetus fregit, nulla denique animo mala eduxit.
Quale giovamento ha potuto dare a qualcuno il viaggio in sé? Non ha moderato i piaceri, non ha frenato le brame, non ha represso le ire, non ha vinto gli indomiti slanci d’amore, insomma non ha eliminato dall’animo nessun vizio.
Non iudicium dedit, non discussit errorem, sed ut puerum ignota mirantem ad breue tempus rerum aliqua nouitate detinuit.
Non ha dato discernimento, non ha dissipato l’errore, ma ha attratto per breve tempo con una qualche stranezza di fatti, come un bambino che mira cose sconosciute.
14. Ceterum inconstantiam mentis, quae maxime aegra est, lacessit, mobiliorem leuioremque reddit ipsa iactatio. Itaque quae petierant cupidissime loca cupidius deserunt et auium modo transuolant citiusque quam uenerant abeunt.
Viceversa stimola l’incostanza di una mente che è malata al massimo, lo sballottamento stesso la rende più volubile e instabile. E così quei luoghi che avevano ricercato bramosissimamente ancor più bramosamente li abbandonano e come uccelli attraversano di volata e se ne vanno più velocemente di quanto erano arrivati.
17. Nullam tibi opem feret iste discursus; peregrinaris enim cum adfectibus tuis et mala te tua sequuntur. Vtinam quidem sequerentur! Longius abessent: nunc fers illa, non ducis. Itaque ubique te premunt et paribus incommodis urunt.
XVIII. Medicina aegro, non regio quaerenda est.
Questo correre qua e là non ti darà nessun aiuto; viaggi infatti insieme alle tue passioni e i tuoi vizi ti seguono. Magari ci seguissero! Sarebbero più lontano: ora li porti con te, non li guidi. E così ovunque ti incalzano e bruciano con pari malanni. Un malato deve cercare una medicina, non un luogo.
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