Cicerone, Tusc., XXXIV, 97-98
Quis hoc non videt, desideriis omnia ista condiri ? Darius in fuga cum aquam turbidam et cadaveribus inquinatam bibisset, negavit umquam se bibisse iucundius: numquam videlicet sitiens biberat.
Chi non vede ciò, che tutte queste cose sono condite dai desideri? Dario in fuga, avendo bevuto dell’acqua torbida e contaminata da cadaveri, disse di non aver mai bevuto con più piacere: evidentemente non aveva mai bevuto con la sete.
Nec esuriens Ptolomaeus ederat; cui cum peragranti Aegyptum comitibus non consecutis cibarius in casa panis datus esset, nihil visum est illo pane iucundius.
Né Tolomeo aveva mangiato con la fame; quando a lui, mentre attraversava l’Egitto senza compagni al seguito, venne offerto del pane ordinario in un capanna, nulla gli parve più piacevole di quel pane.
Socraten ferunt, cum usque ad vesperum contentius ambularet quaesitumque esset ex eo, quare id faceret, respondisse se, quo melius cenaret, obsonare ambulando famem.
Riportano che Socrate, quando passeggiava piuttosto energicamente fino a sera e gli era stato chiesto perché lo facesse, avesse risposto che per cenare meglio si procurava la fame passeggiando.
[98] Quid? victum Lacedaemoniorum in philitiis nonne videmus? ubi cum tyrannus cenavisset Dionysius, negavit se iure illo nigro, quod cenae caput erat, delectatum.
E allora? Non vediamo l’alimentazione dei Lacedemoni nei pasti comuni? Quando il tiranno Dionigi ebbe cenato là, disse che non gli era piaciuto quel brodo nero, che era il piatto principale della cena.
Tum is qui illa coxerat: 'Minime mirum; condimenta enim defuerunt.' 'Quae tandem?' inquit ille. 'Labor in venatu, sudor, cursus ad Eurotam, fames, sitis; his enim rebus Lacedaemoniorum epulae condiuntur.’
Alloro quello che lo aveva cucinato: “Non c’è nulla di strano; infatti sono mancati i condimenti”. “Quali insomma” disse egli. “La fatica nella caccia, la corsa all’Eurota, la fame, la sete; da queste cose infatti sono conditi i banchetti dei Lacedemoni”.
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