Scena
Fuori dalla reggia sulla Cadmea, l’acropoli di Tebe. Sul palcoscenico c’è un sepolcro dalle cui vicinanze si leva del fumo (v. 6); oltre il recinto che la circonda grappoli di vite (vv. 11 sq.). La facciata del palazzo, che fa da scenografia sul fondo del palco, è in stile dorico, con colonne che sorreggono una trabeazione (vv. 591, 1214).
Prologo – vv. 1-63
Come la maggior parte delle tragedie di Euripide, le Baccanti si aprono con un monologo1 (laddove Sofocle predilige un dialogo2). Qui come altrove uno degli scopi del monologo è di collocare l’azione nel contesto della tradizione leggendaria, fornendo le coordinate spazio-temporali, un sommario degli eventi che che la precedono e i rapporti tra i personaggi principali. La tecnica non è tipica di Euripide: i discorsi di apertura delle Trachinie e del Filottete (del 409 a.C.) hanno una funzione simile. Però in mano a Euripide si è irrigidita in qualcosa di simile a una convenzione scenica3, nella quale la rilevanza drammatica è deliberatamente subordinata all’esigenza di una rapida e lucida esposizione di τὰ ἔξω τοῦ δράματος, i fatti esterni all’azione: si tratta del «problemino di aritmetica» di cui parla, sarcasticamente, Nietzsche nella Nascita della tragedia in relazione al «socratismo estetico» (cap. 12 passim):
Potremo ormai avvicinarci all’essenza del socratismo estetico, la cui legge suprema suona a un di presso: “Tutto deve essere razionale per essere bello”, come proposizione parallela al principio socratico: “solo chi sa è virtuoso” […] Come esempio della produttività di quel metodo razionalistico ci può servire il prologo euripideo […] Per Euripide […] l’effetto della tragedia era basato […] su quelle grandi scene retorico-liriche, in cui la passione e la dialettica del protagonista si gonfiavano in un fiume largo e potente. La tragedia eschileo-sofoclea impiegava i mezzi artistici più ingegnosi per dare come per caso in mano allo spettatore, nelle prime scene, tutti i fili necessari alla comprensione […] Euripide credette di notare che, durante quelle prime scene, lo spettatore era in particolare agitazione per risolvere il problemino di aritmetica dell’antefatto, sicché le bellezze artistiche e il pathos dell’esposizione andavano per lui perduti. Perciò pose il prologo […] in bocca a un personaggio in cui si potesse aver fiducia: spesso una divinità doveva […] togliere ogni dubbio sulla realtà del mito […] Della stessa veridicità divina Euripide ha bisogno a chiusura del suo dramma, per assicurare il pubblico circa l’avvenire dei suoi eroi: è questo il compito del famigerato deus ex machina […] Così Euripide è come poeta soprattutto l’eco delle sue cognizioni coscienti […] Egli deve aver avuto spesso l’impressione come di dover far vivere per il dramma l’inizio dello scritto di Anassagora […] “al principio tutto era mescolato, poi venne l’intelletto e creò ordine”. E se col suo nus Anassagora apparve tra i filosofi come il primo sobrio fra individui tutti ebbri, anche Euripide può aver concepito con un’immagine simile il suo rapporto con gli altri poeti della tragedia […] Anche il divino Platone parla per lo più solo ironicamente della facoltà creativa del poeta, quando essa non sia una conoscenza consapevole, e la parifica alla dote dell’indovino e dell’interprete di sogni […] Euripide si accinse a mostrar al mondo […] l’opposto del poeta “irragionevole”; il suo principio estetico “tutto deve essere cosciente per essere bello” è la proposizione parallela al precetto socratico «tutto deve essere cosciente per essere buono”. Per conseguenza Euripide può essere considerato come il poeta del socratismo estetico. Ma Socrate era quel secondo spettatore che non capiva la tragedia antica e perciò non l'apprezzava; in lega con lui Euripide osò essere l’araldo di una nuova creazione artistica. Se a causa di essa la tragedia antica perì, il principio micidiale fu dunque il socratismo estetico […] Riconosciamo in Socrate l’avversario di Dioniso […] e, benché destinato a essere dilaniato dalle Menadi del tribunale ateniese, costringe alla fuga lo stesso potentissimo dio.
L’essenza del socratismo di cui parla Nietzsche si può rintracciare nel Protagora: καὶ γὰρ ὑμεῖς ὡμολογήκατε ἐπιστήμης ἐνδείᾳ ἐξαμαρτάνειν περὶ τὴν τῶν ἡδονῶν αἵρεσιν καὶ λυπῶν τοὺς ἐξαμαρτάνοντας – ταῦτα δέ ἐστιν ἀγαθά τε καὶ κακά –, «anche voi infatti siete d'accordo che per mancanza di scienza sbagliano coloro che sbagliano riguardo alla scelta dei piaceri e dei dolori – questi sono i beni e i mali –» (357d); ἐπί γε τὰ κακὰ οὐδεὶς ἑκὼν ἔρχεται οὐδὲ ἐπὶ ἃ οἴεται κακὰ εἶναι, «nessuno va volontariamente verso i mali, nemmeno verso quelli che crede siano mali» (358d).
Sia nel tono sia nella sostanza questo prologo richiama quello di Afrodite nell’Ippolito (del 429 a.C.): entrambe aprono con un’energica affermazione della divinità di chi parla (qui: Ἥκω Διὸς παῖς, «Sono giunto, figlio di Zeus», v. 1; nell’Ippolito: Πολλὴ μὲν ἐν βροτοῖσι κοὐκ ἀνώνυμος / θεὰ κέκλημαι Κύπρις, «Una dea potente tra i mortali e non priva di gloria, / sono chiamata Cipride», vv. 1-2), mostrano come questa divinità sia disprezzata e annunciano un disegno per ottenere vendetta. Tuttavia Dioniso differisce da Afrodite e dagli altri θεοὶ προλογίζοντες, «gli dèi che recitano il prologo» familiari al pubblico di Euripide, nel fatto che egli non scomparirà dall’azione una volta consegnato il suo sinistro messaggio, ma vi si unirà senza essere riconosciuto, in forma umana, insieme agli attori nel dramma umano. Questo punto doveva essere ben chiaro a ciascun membro del pubblico: per questo viene detto non una sola volta, ma tre (vv. 4, 53, 54).
ΔΙΟΝΥΣΟΣ
Ἥκω Διὸς παῖς τήνδε Θηβαίαν χθόνα
Διόνυσος, ὃν τίκτει ποθ' ἡ Κάδμου κόρη
Σεμέλη λοχευθεῖσ' ἀστραπηφόρῳ πυρί·4
μορφὴν δ' ἀμείψας ἐκ θεοῦ βροτησίαν
πάρειμι Δίρκης νάμαθ' Ἱσμηνοῦ θ' ὕδωρ5. 5
ὁρῶ δὲ μητρὸς μνῆμα τῆς κεραυνίας
τόδ' ἐγγὺς οἴκων καὶ δόμων ἐρείπια
τυφόμενα Δίου πυρὸς ἔτι ζῶσαν φλόγα,
ἀθάνατον Ἥρας μητέρ' εἰς ἐμὴν ὕβριν.
αἰνῶ δὲ Κάδμον, ἄβατον ὃς πέδον τόδε 10
τίθησι, θυγατρὸς σηκόν· ἀμπέλου δέ νιν
πέριξ ἐγὼ 'κάλυψα βοτρυώδει χλόῃ6.
λιπὼν δὲ Λυδῶν τοὺς πολυχρύσους γύας
Φρυγῶν τε, Περσῶν ἡλιοβλήτους πλάκας
Βάκτριά τε τείχη τήν τε δύσχιμον χθόνα 15
Μήδων ἐπελθὼν Ἀραβίαν τ' εὐδαίμονα
Ἀσίαν τε πᾶσαν ἣ παρ' ἁλμυρὰν ἅλα
κεῖται μιγάσιν Ἕλλησι βαρβάροις θ' ὁμοῦ
πλήρεις ἔχουσα καλλιπυργώτους πόλεις,
ἐς τήνδε πρώτην ἦλθον Ἑλλήνων πόλιν, 20
κἀκεῖ χορεύσας καὶ καταστήσας ἐμὰς
τελετάς, ἵν' εἴην ἐμφανὴς δαίμων βροτοῖς7.
πρώτας δὲ Θήβας τάσδε γῆς Ἑλληνίδος
ἀνωλόλυξα, νεβρίδ' ἐξάψας χροὸς
θύρσον τε δοὺς ἐς χεῖρα, κίσσινον βέλος·8 25
ἐπεί μ' ἀδελφαὶ μητρός, ἃς ἥκιστ' ἐχρῆν,
Διόνυσον οὐκ ἔφασκον ἐκφῦναι Διός,
Σεμέλην δὲ νυμφευθεῖσαν ἐκ θνητοῦ τινος
ἐς Ζῆν' ἀναφέρειν τὴν ἁμαρτίαν λέχους,
Κάδμου σοφίσμαθ', ὧν νιν οὕνεκα κτανεῖν 30
Ζῆν' ἐξεκαυχῶνθ', ὅτι γάμους ἐψεύσατο.9
τοιγάρ νιν αὐτὰς ἐκ δόμων ᾤστρησ’ ἐγὼ
μανίαις, ὄρος δ' οἰκοῦσι παράκοποι φρενῶν,
σκευήν τ' ἔχειν ἠνάγκασ' ὀργίων ἐμῶν.10
καὶ πᾶν τὸ θῆλυ σπέρμα Καδμείων, ὅσαι 35
γυναῖκες ἦσαν, ἐξέμηνα δωμάτων·
ὁμοῦ δὲ Κάδμου παισὶν ἀναμεμειγμέναι
χλωραῖς ὑπ' ἐλάταις ἀνορόφους ἧνται πέτρας.11
δεῖ γὰρ πόλιν τήνδ' ἐκμαθεῖν, κεἰ μὴ θέλει,
ἀτέλεστον οὖσαν τῶν ἐμῶν βακχευμάτων, 40
Σεμέλης τε μητρὸς ἀπολογήσασθαί μ' ὕπερ
φανέντα θνητοῖς δαίμον' ὃν τίκτει Διί.
Κάδμος μὲν οὖν γέρας τε καὶ τυραννίδα
Πενθεῖ δίδωσι θυγατρὸς ἐκπεφυκότι,
ὃς θεομαχεῖ τὰ κατ' ἐμὲ καὶ σπονδῶν ἄπο 45
ὠθεῖ μ' ἐν εὐχαῖς τ' οὐδαμοῦ μνείαν ἔχει.12
ὧν οὕνεκ' αὐτῷ θεὸς γεγὼς ἐνδείξομαι
πᾶσίν τε Θηβαίοισιν. ἐς δ' ἄλλην χθόνα,
τἀνθένδε θέμενος εὖ, μεταστήσω πόδα,
δεικνὺς ἐμαυτόν· ἢν δὲ Θηβαίων πόλις 50
ὀργῇ σὺν ὅπλοις ἐξ ὄρους βάκχας ἄγειν
ζητῇ, ξυνάψω μαινάσι στρατηλατῶν.13
ὧν οὕνεκ' εἶδος θνητὸν ἀλλάξας ἔχω
μορφήν τ' ἐμὴν μετέβαλον εἰς ἀνδρὸς φύσιν.14
ἀλλ', ὦ λιποῦσαι Τμῶλον, ἔρυμα Λυδίας, 55
θίασος ἐμός, γυναῖκες ἃς ἐκ βαρβάρων
ἐκόμισα παρέδρους καὶ ξυνεμπόρους ἐμοί,
αἴρεσθε τἀπιχώρι' ἐν Φρυγῶν πόλει
τύμπανα, Ῥέας τε μητρὸς ἐμά θ' εὑρήματα,
βασίλειά τ' ἀμφὶ δώματ' ἐλθοῦσαι τάδε 60
κτυπεῖτε Πενθέως, ὡς ὁρᾷ Κάδμου πόλις.15
ἐγὼ δὲ βάκχαις, ἐς Κιθαιρῶνος πτυχὰς
ἐλθὼν ἵν' εἰσί, συμμετασχήσω χορῶν.16
1 Alcesti (Apollo), Medea (la nutrice), Ippolito (Afrodite), Eraclidi Iolao), Supplici (Etra), Andromaca (Andromaca), Ecuba (fantasma di Polidoro), Elettra (il contadino), Eracle, (Anfitrione), Ione (Hermes), Troiane (Poseidone), Ifigenia in Tauride (Ifigenia), Elena (Elena), Fenicie (Giocasta), Oreste (Elettra) e Baccanti. Fa eccezione l’Ifigenia in Aulide.
2 Così Aiace, Antigone, Elettra, Edipo re, Edipo a Colono.
3 Aristofane nelle Rane (del 405 a.C.) al v. 946 dimostra che come tale era percepita ormai: ἀλλ᾽ οὑξιὼν πρώτιστα μέν μοι τὸ γένος εἶπ᾽ ἂν εὐθὺς / τοῦ δράματος, «ma quello che entrava all'inizio per me soleva dire subito l’origine / del dramma». Sono parole del personaggio Euripide.
4 1-3: «Sono giunto, figlio di Zeus, a questa terra tebana, / Dioniso, che un giorno la figlia di Cadmo genera, / Semele fatta partorire dal fuoco della folgore;».
1 – Ἥκω: «sono giunto», una parola prediletta per un’apparizione soprannaturale. Cfr. Ecuba (vv. 1.2, il fantasma): Ἥκω νεκρῶν κευθμῶνα καὶ σκότου πύλας / λιπών, «Sono giunto, avendo lasciato i recessi dei morti / e le porte delle tenebre»; Troiane (vv. 1-2, Poseidone): Ἥκω λιπὼν Αἴγαιον ἁλμυρὸν βάθος / πόντου Ποσειδῶν, «Sono giunto, io Poseidone, avendo lasciato la salsa / profondità Egea del mare»; Ione (v. 5, Hermes): ἥκω δὲ Δελφῶν τήνδε γῆν, «sono giunto a questa terra di Delfi»; ma anche Prometeo incatenato (vv. 284-85, Oceano): ἥκω δολιχῆς τέρμα κελεύθου / διαμειψάμενος πρὸς σέ, Προμηθεῦ, «Sono giunto, dopo aver varcato il termine di un lungo / percorso, da te, Prometeo». Διὸς παῖς … Διόνυσος: «figlio di Zeus … Dioniso», l’imperiosa affermazione della sua personalità divina risuona come una sfida e una minaccia. Cfr. vv. 27 Διόνυσον … Διός, 550 ὦ Διὸς παῖ, 859-860 τὸν Διὸς Διόνυσον. Euripide sembra connettere i due nomi etimologicamente prendendo Διόνυσος come «figlio di Zeus».
3 – La storia del parto di Semele viene raccontata nella parodo ai versi 89 sqq.
5 4-5: «dopo aver preso in cambio, da dio, forma mortale / eccomi alle sorgenti di Dirce e all’acqua dell’Ismeno».
5 – πάρειμι = adsum, «eccomi». Dirce e Ismeno sono fiumi di Tebe, la διπόταμος πολις, «la città dai due fiumi» (Euripide, Supplici, 621).
6 6-12: «Ma vedo il sepolcro della madre colpita dal fulmine/ qui vicino alla reggia e le rovine del palazzo / fumanti della fiamma viva ancora del fuoco di Zeus, / immortale oltraggio di Era a mia madre. / Approvo Cadmo, che rende questo suolo / inaccessibile, sacro recinto della figlia; io l’ho coperto / tutto intorno con fronde di vite rigogliose di grappoli».
– Ogni luogo (o persona) colpito da un fulmine era sentito nell’antichità come speciale, un punto in cui il mondo naturale è stato toccato da quello soprannaturale. Proprio come Capaneo divenne ἱερὸς νεκρός, «sacro cadavere» quando il fulmine lo uccise, e dovette essere sepolto in un luogo separato (cfr. Euripide, Supplici, vv. 934-936 dove parlano Teseo e Adrasto: Θη. τὸν μὲν Διὸς πληγέντα Καπανέα πυρὶ / Αδ. ἦ χωρὶς ἱερὸν ὡς νεκρὸν θάψαι θέλεις; / Θη. ναί· τοὺς δέ γ' ἄλλους πάντας ἐν μιᾳ πυρᾳ, «Te. Capaneo colpito dal fuoco di Zeus… / Ad. Vuoi seppellirlo a parte, in quanto sacro cadavere? / Te. Sì: e tutti gli altri in una sola pira»), così il punto della terra che il fulmine a marchiato come suo proprio diventa in Grecia un ἐνηλύσιον, «luogo proibito», in Italia un bidental, cioè un monumento, inaugurato col sacrificio di una pecora bidens, in un luogo colpito dal fulmine, ed è considerato tabù, ἄβατον (v. 10). Questi luoghi erano dedicati a Ζεὺς καταιβάτης, «Zeus che scende» e ad essi erano offerti sacrifici. Un ἄβατον di questo genere esisteva a Tebe ai tempi di Euripide e anche dopo per molto tempo (come ci dice Pausania, 9, 12, 3), ed era mostrato ai turisti come tale ancora nel II secolo d.C.. Euripide evidentemente aveva una certa conoscenza del culto tebano e dei luoghi di culto.
Semele figura come la moglie tebana di Zeus e madre di Dioniso nello strato più tardo della tradizione epica (Iliade, XIV, vv. 323 sqq., Esiodo, Teogonia, vv. 940 sqq.). Esiodo ci dice che partorì Dioniso ἀθάνατον θνητή· νῦν δ' ἀμφότεροι θεοί εἰσιν, «lui mortale ella mortale; ora entrambi sono dèi». Ciò inverte lo svolgimento storico dei fatti. È probabile che fosse una divinità anatolica della terra e quando le leggende di Dioniso si innestarono nella tradizione tebana ella diventò una principessa mortale; ma è come dea della terra che diventò Sposa della Folgore: nell’Europa meridionale il temporale e benefico così come terribile – il fulmine distrugge, ma la pioggia anima il seme nella terra, sicché Semele muore e Dioniso nasce. Però Semele non può restare morta. Nelle Baccanti, sebbene sia mortale, ha un posto nel culto di suo figlio: vedi v. 998, dove il coro biasima Penteo che vuole contrastare <σά> βάκχι’ ὄργια ματρός τε σᾶς, «i riti bacchici tuoi e di tua madre».
11 – θυγατρὸς σηκόν: «sacro recinto della figlia». Il senso della famiglia è caratteristico di Cadmo (cfr. v. 181: δεῖ γάρ νιν ὄντα παῖδα θυγατρὸς ἐξ ἐμῆς, «bisogna infatti che lui essendo figlio di mia figlia»; 334 n.). La vite segnala il punto come un posto sacro a Dioniso.
12 – ‘κάλυψα: = ἐκάλυψα.
7 13-22: «Dopo aver lasciato le terre ricche d’oro dei Lidi / e dei Frigi, e aver percorso le alte pianure dei Persiani / battute dal sole e le mura Battriane e la terra dal duro / inverno dei Medi e l’Arabia felice / e tutta l’Asia che lungo il salso mare / giace con le città dalle belle torri piene / di Greci e barbari mescolati insieme, / a questa città di Greci per prima giunsi, / avendo incitato anche là alla danza sacra e istituito i miei / misteri, per essere ai mortali un dio evidente».
13 – λιπὼν: participio aoristo di λείπω, introduce regolarmente il punto di partenza di un viaggio (cfr. v. 661), e il punto di partenza di Dioniso erano Frigia e Lidia (vv. 55, 86, 234, 462sqq., cfr, Introduzione, I, ii). πολυχρύσους: fa riferimento alla proverbiale prosperità della Lidia, in particolare alla polvere d’oro trovata nelle sabbie del Pactolo. Cfr. Archiloco, fr. 19 W οὔ μοι τὰ Γύγεω τοῦ πολιχρύσου μέλει, «non mi interessa la condizione di Gige dal molto oro».
14 – πλάκας: la Persia è un paese alto, come dovevano sapere i Greci del V secolo.
16 – Ἀραβίαν τ' εὐδαίμονα: l’epiteto è esornativo, come gli altri. Erodoto vide il greco Dioniso nell’arabo Orotalt (III, 8: Ὀνομάζουσι δὲ τὸν μὲν Διόνυσον Ὀροτάλτ, «chiamano Dioniso Orotalt»). – ἐπελθὼν: participio aoristo di ἐπέρχομαι.
17 – Ἀσίαν: nel senso ristretto dell’Asia Minore occidentale. Euripide la rappresenta come già colonizzata dai Greci ai tempi di Cadmo; la tragedia è generalmente indifferente a quasta sorta di anacronismi.
20 – ἦλθον: aoristo indicativo di ἔρχομαι.
21 – χορεύσας: danza sacra a Dioniso è anche quella del coro di qualsiasi tragedia, come emerge nel secondo stasimo dell’Edipo re di Sofocle (vv. 895-896) quando il coro di fronte alla crisi della religione si chiede: Εἰ γὰρ αἱ τοιαίδε πράξεις τίμιαι, / τί δεῖ με χορεύειν;, «se infatti tali azioni sono onorate, / perché devo eseguire la danza sacra?», cioè: «che senso ha continuare a scrivere tragedie?». – καταστήσας: participio aoristo primo, con valore transitivo, di καθίστημι.
22 – εἴην: ottativo obliquo, perché la proposizione finale è in dipendenza da un tempo storico (ἦλθον, v. 20).
20-22 – Dioniso spiega perché è giunto così tardi a Tebe, sua città natale: la sua missione è rivolta a tutta l’umanità e ha cominciato tra i βάρβαροι passando poi alla popolazione mista della costa asiatica e infine a tutta la Grecia.
8 23-25: «Per prima Tebe di questa terra Ellenica / ho fatto risuonare delle mie grida, avendo messo sulla / pelle la nebride e dato in mano il tirso, dardo di edera;»
24 – ἀνωλόλυξα: L’ὀλολυγή è il grido rituale di trionfo o di ringraziamento delle donne. νεβρίδα: la pelle di cerbiatto, il tradizionale mantello delle menadi sia in poesia sia nei vasi, serviva senza dubbio come necessario riparo contro il freddo dell’ὀρειβασία invernale; ma è anche un ἱερὸν ἐνδυτόν, «un indumento sacro» (v. 137), originariamente indossato perché comunicava a chi lo indossava la virtù dionisiaca del cerbiatto (cfr. v. 866), come la pelle di leone conferisce a Eracle la virtù del leone.
25 – θύρσον: nella sua forma originale, come si vede nei vasi attici del VI secolo, è un βακχεῖον κλάδον (v. 308), ramo dell’albero sacro al dio: averlo con sé significava avere con sé la divinità. Nel pitture del V secolo comincia ad essere sostituito dal νάρθηξ, o bastone di ferula (il finocchio selvatico), che in sé era un oggetto profano (usato per esempio per bacchettare i ragazzi) ma diventa un θύρσος con l’aggiunta di un magico ramo di foglie d’edera attorcigliato sulla cima. Il νάρθηξ dunque è, in senso stretto, una parte del θύρσος, ma nelle Baccanti le due parole sembrano essere spesso sinonimi. Questa è la descrizione che fa Dodds: The thirsus was formed by inserting a bunch of ivy leaves in the hollow tip fo a fennel-rod. Nell’arte posteriore il ramo di foglie d’edera si stilizza esemplifica progressivamente fino a diventare simile a, ed essere scambiato per, una pigna. – κίσσινον: l’edera non era usata come un comodo sostituto invernale delle le foglie di vite o per rinfrescare le fronti febbricitanti delle bevitrici, come pensava Plutarco (Quastiones convivales, 3, 2), ma perché nella sua sempreverde vitalità essa rappresenta la vittoria della vegetazione sull’inverno suo nemico, come anche il μῖλαξ (v. 108) e l’abete (v. 110). Il suo posto nel rituale dionisiaco è originario, forse più antico di quello della vite. – δοὺς: participio aoristo di δίδωμι. – βέλος: non è una mera metafora; il tirso era effettivamente usato come un dardo (vv. 762, 1099).
9 26-31: «perché le sorelle di mia madre, e meno di tutti dovevano, / ripetevano che Dioniso non è nato da Zeus, / ma che Semele messa incinta da un mortale / riportava a Zeus il peccato di letto, / scaltro espediente di Cadmo, per cui si compiacevano / che Zeus l’avesse uccisa per il fatto di aver mentito sulle nozze».
26 – μητρός: Agave, madre di Penteo, e figlia di Cadmo; ha tre sorelle: due vive, Autonoe e Ino (anch’esse baccanti), e Semele, madre di Dioniso. – ἐχρῆν: imperfetto di χρῆ.
27 – Tale insinuazione è il motivo scatenante della vendetta di Dioniso. In altre circostanze era servita invece ad Andromaca per sfogare contro Elena tutta la sua irosa disperazione, dopo aver saputo da Taltibio della morte decretata per Astianatte (Troiane, vv. 766-771): ὦ Τυνδάρειον ἔρνος, οὔποτ’ εἶ Διός, / πολλῶν δὲ πατέρων φημί σ’ ἐκπεφυκέναι, / Ἀλάστορος μὲν πρῶτον, εἶτα δὲ Φθόνου, / Φόνου τε Θανάτου θ’ ὅσα τε γῆ τρέφει κακά. / οὐ γάρ ποτ’ αὐχῶ Ζῆνά γ’ ἐκφῦσαί σ’ ἐγώ, / πολλοῖσι κῆρα βαρβάροις Ἕλλησί τε, « Oh rampollo di Tindaro, tu non sei mai di Zeus, / ma da molti padri dico che sei nata, / prima di tutto da Genio vendicatore, poi da Astio, / e da Strage e da Morte e da quanti mali nutre la terra. / Infatti non presumo mai che Zeus almeno abbia generato te, / sciagura per molti barbari e Greci». Nei due versi precedenti aveva lanciato l’anatema contro la guerra che sicuramente era suonato un’accusa agli Ateniesi stessi: ὦ βάρβαρ’ ἐξευρόντες Ἕλληνες κακά, / τί τόνδε παῖδα κτείνετ’ οὐδὲν αἴτιον;, «Oh Greci che avete inventato barbare atrocità, / perché uccidete questo bambino che non ha nessuna colpa?».
28 – νυμφευθεῖσαν: un eufemismo per «sedotta». – ἐκφῦναι: infinito aoristo terzo, con valore intransitivo, di ἐκφύω.
30 – Κάδμου σοφίσμαθ᾽: Le sorelle di Semele pensavano, senza carità, che la storia della sua unione con Zeus fosse stata inventata da Cadmo per coprire il suo sbandamento morale. – κτανεῖν: infinito aoristo secondo di κτείνω.
31 – ἐξεκαυχῶνθ’: impf. da ἐκκαυχάομαι; il verbo esprime il malizioso trionfo delle sorelle.
10 32-34: «Perciò le ho spinte fuori dalla casa assillandole / con la follia, e abitano la montagna fuori di senno, / e le ho costrette ad indossare i paramenti dei miei riti».
33 – ὄρος: si tratta del Citerone (v. 62) che si trova a circa 13 chilometri da Tebe. È ancora densamente alberato di abeti bianchi (gli ἐλάται del v. 38); la vetta è rocciosa.
34 – ὀργίων: ὄργια, dalla medesima radice di ἔργον, sono propriamente «cose fatte» in un senso religioso ( cfr. anche ἔρδειν, «fare sacrifici»), le azioni di un rituale religioso. Il senso moderno di «orge» deriva dalla concezione ellenistica e romana della natura della religione dionisiaca: non deve essere importato nelle Baccanti.
1 35-38: «E tutto il seme femminile dei Cadmei, quante / donne c’erano, le spinsi a delirare fuori dalle case; / e mescolate insieme alle figlie di Cadmo all’ombra / di verdi pini stanno sedute su rocce senza tetto».
35-36 – πᾶν τὸ θῆλυ σπέρμα … ὅσαι γυναῖκες ἦσαν: la seconda espressione rispetto alla prima è puramente tautologica. Non può limitare il senso di πᾶν τὸ θῆλυ σπέρμα escludendo le nubili: le παρθένοι sono incluse (v. 694); e neanche le bambine perché γυνή non indica una donna cresciuta in opposizione a una fanciulla. La ripetizione allora può avere lo scopo di enfatizzare l’esclusione dei maschi in quanto il culto dionisiaco è prettamente femminile: questo è un punto cruciale del dramma – cfr. gli ingiusti sospetti di Penteo (vv. 223, 354) e la loro confutazione (v. 686). – ἐξέμηνα: aoristo indicativo di ἐκμαίνομαι
37 – ὁμοῦ … ἀναμεμειγμέναι: il culto dionisiaco non fa distinzioni tra nobili e gente del popolo. – ἀναμεμειγμέναι: participio perfetto medio passivo di ἀναμείγνυμι.
38 – ἧνται: da ἧμαι.
12 39-46: «Bisogna infatti che questa città comprenda, anche se non vuole, / che non è iniziata ai miei riti bacchici, / e bisogna che io difenda mia madre Semele / manifestandomi ai mortali come divinità che ella / partorisce a Zeus. Cadmo allora autorità e imperio / li dà a Penteo nato dalla figlia, / il quale combatte la divinità del mio culto e mi caccia dalle / libagioni e nelle preghiere non mi menziona mai».
39 – ἐκμαθεῖν: infinito aoristo di ἐκμανθάνω.
41 – ὕπερ: anastrofe con baritonesi.
42 – φανέντα: participio aoristo passivo, forte, di φαίνω.
44 – ἐκπεφυκότι: participio perfetto, con valore intransitivo, di ἐκφύω.
45 – ἄπο: anastrofe con baritonesi.
13 47-52: «Per queste ragioni mostrerò che sono un dio a lui/ e ai figli Tebani. Ma in un’altra terra, / dopo aver sistemato le faccende di qui, metterò piede, / mostrando me stesso; ma qualora la città dei Tebani in / preda all’ira cercasse in armi di spingere le baccanti / giù dal monte, attaccherò guidando un esercito di furie».
47 – γεγὼς: participio perfetto di γίγνομαι. – ἐνδείξομαι: futuro medio di ἐνδείκνυμι, per cui cfr. il latino indico, -as, index.
48 – ἐς δ' ἄλλην χθόνα: secondo Apollodoro (III, 5, 2) Dioniso andò da Tebe ad Argo, dove fu contrastato di nuovo e di nuovo maledisse le donne con la pazzia.
49 – θέμενος: participio aoristo medio di τίθημι. – μεταστήσω: futuro di μεθίστημι.
52 – ξυνάψω μαινάσι στρατηλατῶν: Penteo di fatto non cerca di recuperare le donne con la forza, sebbene sia sul punto di farlo (vv. 784, 809, 845); sicché le minacce del dio non si realizzano. Qualcuno ha visto in ciò l’indizio di una mancata revisione dell’opera in quanto Euripide avrebbe cambiato progetto nel corso della stesura senza aver avuto il tempo di rivedere il proplogo. Tuttavia è un vecchio trucco di Euripide riservare una sorpresa per il suo pubblico producendo una falsa aspettativa nel prologo (così i prologhi di Medea e Ippolito). Il punto è interessante poiché dimostra che l’elemento della sorpresa nella tecnica teatrale era in Grecia più importante di quanto si pensi comunemente.
14 53-54: «Perciò ho preso in cambio un aspetto mortale / e ho mutato la mia forma nella natura di un uomo».
– Alcuni hanno storto il naso per questa tautologia, ma c’è una buona ragione di ordine pratico: la necessità di rendere sufficientemente chiaro al pubblico che chi parla, accolto come un dio, sarà invece accolto come uomo dai personaggi del dramma.
53 – ἀλλάξας ἔχω: il cosiddetto schema Sophocleum, comune anche in Euripide. In Erodoto e nei tragici è equivalente ad un perfetto resultativo. Risulta da ἔχω + participio aoristo.
54 – μετέβαλον: aoristo indicativo di μεταβάλλω.
15 55-61: «Ma, o voi che avete lasciato lo Tmolo, baluardo di Lidia, / mio tiaso, donne che dai barbari / ho portato come mie assistenti e compagne, / sollevate i timpani usuali nella città dei Frigi, / invenzioni della madre Rea e mie, / e venendo qui intorno al palazzo reale / di Penteo fate rumore, affinché la città di Cadmo veda».
55 – Τμῶλον: il monte Tmolo, la grande catena che forma la spina dorsale della Lidia e domina Sardi e i bacini dei fiumi Ermo e Caistro. È una montagna sacra (v. 65, Eschilo, Persiani, 49), cioè le baccanti lidie praticavano la loro ὀρειβασία sulle sue alture. Le sue pendici erano famose per i vigneti, come attestato da Virgilio, Georgiche, II, 97-98: sunt et Aminneae uites, firmissima uina, / Tmolius adsurgit quibus, «ci sono anche li viti aminee, vini fortissimi, / davanti ai quali lo Tmolo si inchina». – λιποῦσαι: participio aoristo di λείπω.
56 – θίασος: è una parola di etimologia incerta, forse pre-greca. Può essere applicata a qualsiasi confraternita religiosa che aveva lo scopo di celebrare un culto privato e distinto da quello della città; però descrive in particolare l’unità organizzativa caratteristica della religione dionisiaca.
59 – τύμπανα: «tamburelli» o «timpani». Il τύμπανον era composto da un canestro coperto da una parte con del cuoio (v. 124 βυρσότονον κύκλωμα); qualche volta aveva dei piattini attaccati intorno, come nei tamburelli moderni. È insieme al flauto lo strumento caratteristico del culto orgiastico. Pare non avere avuto posto nel culto ufficiale di Dioniso ad Atene, che non era orgiastico. – Ῥέας … εὑρήματα: nella parodo ne verrà raccontata la storia (vv. 120 sqq.).
60 – ἐλθοῦσαι: participio aoristo di ἔρχομαι.
61 – ὁρᾷ: congiuntivo finale.
16 62-63: «Quanto a me insieme alle baccanti, dopo essere andato / alle balze del Citerone dove si trovano, parteciperò alle danze».
63 – ἐλθὼν: participio aoristo di ἔρχομαι. – συμμετασχήσω: futuro di συμμετέχω.
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