mercoledì 9 aprile 2025

Vivit is qui multis usui est, vivit is qui se utitur – Seneca, Epistulae, 60

 

4. Hos itaque, ut ait Sallustius, 'ventri oboedientes' animalium loco numeremus, non hominum, quosdam vero ne animalium quidem, sed mortuorum. Vivit is qui multis usui est, vivit is qui se utitur; qui vero latitant et torpent sic in domo sunt quomodo in conditivo. Horum licet in limine ipso nomen marmori inscribas: mortem suam antecesserunt.

«4. E così questi, come dice Sallustio, “obbedienti al ventre” annoveriamoli tra gli animali, non tra gli uomini, e alcuni nemmeno tra gli animali, ma tra i morti. Vive colui che è utile a molti, vive colui che usa se stesso; coloro invece che si nascondono e vivono nell’inerzia stanno in casa come in un sepolcro. Di costoro è consentito incidere il nome nel marmo proprio sulla soglia: hanno anticipato la propria morte».

Seneca fa riferimento al proemio del De Catilinae coniuratione.

[I] 1 Omnis homines, qui sese student praestare ceteris animalibus, summa ope niti decet, ne vitam silentio transeant veluti pecora, quae natura prona atque ventri oboedientia finxit1.


1 «Tutti gli uomini che desiderano essere superiori agli altri esseri viventi bisogna che si sforzino col massimo impegno di non trascorrere la vita sotto silenzio come le bestie, che la natura ha plasmato prone e obbedienti al ventre».

– Omnis: desinenza arcaica -is al posto di -es per l’accusativo plurale. – ne  transeant: completiva volitiva dipendente da niti, infinito di nitor– pecora … finxit: questo passo, il cui concetto è ripreso con parole simili nel capitolo successivo (multi mortales, dediti ventri atque somno, «molti mortali, dediti al ventre e al sonno»), risente sicuramente di un altro di Platone (Repubblica, 586a): [a] Οἱ ἄρα φρονήσεως καὶ ἀρετῆς ἄπειροι, εὐωχίαις δὲ καὶ τοῖς τοιούτοις ἀεὶ συνόντες, κάτω, ὡς ἔοικεν, καὶ μέχρι πάλιν πρὸς τὸ μεταξὺ φέρονταί τε καὶ ταύτῃ πλανῶνται διὰ βίου, ὑπερβάντες δὲ τοῦτο πρὸς τὸ ἀληθῶς ἄνω οὔτε ἀνέβλεψαν πώποτε οὔτε ἠνέχθησαν, οὐδὲ τοῦ ὄντος τῷ ὄντι ἐπληρώθησαν, οὐδὲ βεβαίου τε καὶ καθαρᾶς ἡδονῆς ἐγεύσαντο, ἀλλὰ βοσκημάτων δίκην κάτω ἀεὶ βλέποντες καὶ κεκυφότες εἰς γῆν καὶ εἰς τραπέζας βόσκονται χορταζόμενοι καὶ ὀχεύοντες, [b] καὶ ἕνεκα τῆς τούτων πλεονεξίας λακτίζοντες καὶ κυρίττοντες ἀλλήλους σιδηροῖς κέρασί τε καὶ ὁπλαῖς ἀποκτεινύασι διἀπληστίαν, ἅτε οὐχὶ τοῖς οὖσιν οὐδὲ τὸ ὂν οὐδὲ τὸ στέγον ἑαυτῶν πιμπλάντες, «Quelli che sono inesperti di pensiero e virtù, che sono sempre in festa e cose siffatte, sono portati, a quanto pare, verso il basso e di nuovo verso il mezzo e durante la vita vagano in questa condizione, né dopo aver superato questo grado, hanno mai alzato lo sguardo né si sono sollevati verso ciò che è veramente alto, né si sono saziati di ciò che realmente è, né hanno gustato un piacere sicuro e puro, ma alla maniera del bestiame, guardando sempre in basso e proni verso la terra e le mense, pascolano ingrassando e accoppiandosi, e per averne di più prendendosi a calci e cornate si uccidono tra loro con corna e zoccoli ferrei a causa dell’insaziabilità, poiché non saziano di sé stessi con cose reali né ciò che è né la dimora». L’idea è espressa da Platone in modo suggestivo anche in un altro dialogo (Sofista246a-c), individuando una guerra tra due modi di concepire la vita, una guerra potremmo dire tra materialismo e idealismo: καὶ μὴν ἔοικέ γε ἐν αὐτοῖς οἷον γιγαντομαχία τις εἶναι διὰ τὴν ἀμφισβήτησιν περὶ τῆς οὐσίας πρὸς ἀλλήλους [...] οἱ μὲν εἰς γῆν ἐξ οὐρανοῦ καὶ τοῦ ἀοράτου πάντα ἕλκουσι [...] ταὐτὸν σῶμα καὶ οὐσίαν ὁριζόμενοι [] «e certo in quelli sembra esserci come una gigantomachia dovuta a una disputa tra loro sull’essere [...] gli uni trascinano tutto a terra dal cielo e dall’invisibile [...] definendo come la stessa cosa corpo e essere […]» οἱ πρὸς αὐτοὺς ἀμφισβητοῦντες (τοὺς τῶν εἰδῶν φίλους, 248a) μάλα εὐλαβῶς ἄνωθεν ἐξ ἀοράτου ποθὲν ἀμύνονται, νοητὰ ἄττα καὶ ἀσώματα εἴδη βιαζόμενοι τὴν ἀληθινὴν οὐσίαν εἶναι [...] ἐν μέσῳ δὲ περὶ ταῦτα ἄπλετος ἀμφοτέρων μάχη τις, ὦ Θεαίτητε, ἀεὶ συνέστηκεν«quelli che disputano con loro (gli amici delle forme, 248a) con molta cautela si difendono dall'alto, da qualche luogo invisibile, imponendo con la violenza che la realtà vera consiste in certe forme intellegibili e incorporee [...] in mezzo, oh Teeteto, sussiste sempre una battaglia accanita di entrambi su queste cose». Per ulteriori approfondimenti vedi la scheda sulla «Gigantomachia sull’essere».


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