Seneca apre la lettera manifestando comprensione per il dolore di Lucilio, dovuto alla morte di un amico caro. Da qui prende spunto per invitarlo al contegno nel manifestare la sofferenza.
[2] Duram tibi legem videor ponere, cum poetarum Graecorum maximus ius flendi dederit in unum dumtaxat diem, cum dixerit etiam Niobam de cibo cogitasse? Quaeris unde sint lamentationes, unde immodici fletus? per lacrimas argumenta desiderii quaerimus et dolorem non sequimur sed ostendimus; nemo tristis sibi est. O infelicem stultitiam! est aliqua et doloris ambitio.
«[2] Sembra che ti imponga una dura legge, quando il più grande dei poeti Greci concesse la facoltà di piangere, ma limitatamente a un giorno, e disse che anche Niobe pensò al cibo?1 Chiedi da dove derivino le lamentazioni, da dove i pianti senza misura? Noi attraverso le lacrime cerchiamo prove del rimpianto e non cediamo al dolore, ma lo ostentiamo; nessuno è triste per se stesso. O misera stoltezza! C’è un compiacimento anche del dolore».
[4] Id agamus ut iucunda nobis amissorum fiat recordatio. Nemo libenter ad id redit quod non sine tormento cogitaturus est, sicut illud fieri necesse est, ut cum aliquo nobis morsu amissorum quos amavimus nomen occurrat; sed hic quoque morsus habet suam voluptatem.
[4] Facciamo in modo che il ricordo dei defunti sia per noi piacevole. Nessuno torna volentieri a ciò che è destinato a pensare non senza tormento, così come accade necessariamente che il nome dei defunti che abbiamo amato ci si presenti con una stretta al cuore; però anche questa stretta ha un suo piacere».
Seneca quindi riporta una considerazione secondo la quale il ricordo degli amici defunti è gradito come il sapore di certi cibi aspri, cioè comprende un elemento di asprezza. Seneca non è d’accordo:
[7] Ego non idem sentio: mihi amicorum defunctorum cogitatio dulcis ac blanda est; habui enim illos tamquam amissurus, amisi tamquam habeam.
Fac ergo, mi Lucili, quod aequitatem tuam decet, desine beneficium fortunae male interpretari: abstulit, sed dedit.
«[7] Io non la penso allo stesso modo: il pensiero degli amici morti è per me dolce e carezzevole; li ho avuti infatti pensando che li avrei perduti, li ho perduti pensando che continuo ad averli.
Fa’ dunque, mio Lucilio, ciò che si addice al tuo equilibrio, smettila di interpretare male un beneficio della fortuna: ti ha tolto, ma ti ha dato».
1 Cfr. l’episodio della «Matrona di Efeso» nel Satyricon», dove la donna piange per giorni ma a un certo punto cede alla fame. Il riferimento di Seneca è a Omero, Iliade, XIX, 229; XXIV, 602.
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