42. Aeque praecepta bona, si saepe tecum sint, profutura quam bona exempla.
«42. I buoni precetti, se stanno spesso con te, sono destinati a giovare come i buoni esempi».
43. adeo etiam sine ratione ipsa veritas lucet.
«43. A tal punto anche senza spiegazioni la verità da sola splende1».
46. Duae res plurimum roboris animo dant, fides veri et fiducia: utramque admonitio facit.
«46. Due cose danno il massimo della solidità all’animo, la fede nella verità e la fiducia in sé stessi: entrambe le cose produce l’ammonimento».
47. Pars virtutis disciplina constat, pars exercitatione; et discas oportet et quod didicisti agendo confirmes.
«47. Una parte della virtù è fatta di apprendimento, una parte di esercizio; bisogna sia che impari sia che consolidi ciò che hai imparato».
52. nonne apparet opus esse nobis aliquo advocato qui contra populi praecepta praecipiat?
«52. Non è forse evidente che abbiamo bisogno di un qualche difensore che che ci dia insegnamenti contrari a quelli della massa?3».
54. Nemo errat uni sibi, sed dementiam spargit in proximos accipitque invicem… Dum facit quisque peiorem, factus est; didicit deteriora, dein docuit.
«54. Nessuno erra solo per se stesso, ma semina follia sul prossimo e la riceve a sua volta… Mentre ciascuno rende un altro peggiore, è diventato tale; impara cose più brutte, poi le insegna4».
1 Cfr. Schopenhauer (Parerga e paralipomena II, cap. 23, Sul mestiere dello scrittore, 283):
La maschera più resistente è quella della incomprensibilità [...] e ha raggiunto finalmente il suo vertice con Hegel: e sempre con esito fortunatissimo. Eppure non vi è nulla di più facile che scrivere in modo che nessuno possa capire; come, invece, nulla è più difficile che esprimere pensieri significativi in modo che ognuno debba comprenderli. [L’astrusità è parente dell’assurdità, e ogni volta è infinitamente più probabile che essa celi una mistificazione piuttosto che una qualche intuizione profonda]. La reale presenza dello spirito rende tutti i suddetti artifici superflui [...]
Scribendi recte sapere est et principium et fons
La semplicità è sempre stata un indice non soltanto di verità, ma altresì di genialità. Lo stile riceve bellezza dal pensiero[...] Perciò la prima regola, e forse l’unica, del buono stile, è che si abbia qualcosa da dire [...] Una caratteristica di costoro è anche che, se possibile, evitano tutte le espressioni decise, onde, poter, eventualmente, tirare la testa fuori da laccio: per ciò scelgono in tutti i casi l’espressione più astratta [...] una costante paura per tutte le espresssioni definite […] Nel discorso di un uomo d’ingegno troviamo in ogni parola, come in ogni pennellata, un’intenzione specifica; dove manca l’ingegno, tutto è approntato in modo meccanico. * [...] la testa superiore crea ogni frase appositamente per il caso specifico. Se è vero che bisogna possibilmente pensare come uno spirito grande, bisogna invece parlare la stessa lingua che parlano gli altri […] Colui che scrive in modo affettato somiglia a colui che si mette in ghingheri per non essere scambiato e confuso col volgo; è questo un pericolo che il gentlemen non corre mai [...] così lo stile prezioso rivela la testa volgare. Nondimeno è sbagliato voler scrivere proprio come si parla. Piuttosto, ogni stile di scrittura deve rivelare una certa affinità con lo stile lapidario, che è infatti l’antenato di tutti gli stili […] L’oscurità, la mancanza di chiarezza nell’espressione è sempre e dovunque un sintomo assai brutto. Poiché in novantanove casi su cento essa deriva dalla mancanza di chiarezza nel pensiero[...] Quando in una testa sorge un pensiero giusto, cerca subito la chiarezza e la raggiungerà ben presto […] Se uno ha da comunicare una cosa giusta, si sforzerà di parlare in modo non chiaro oppure in modo chiaro? […] Ogni parola superflua agisce proprio in modo contrario al suo scopo [...] Bisogna fare risparmiare al lettore tempo, sforzo e pazienza [...] Qui trova la sua giusta applicazione il detto di Esiodo πλέον ἥμισυ παντὸς. In generale non occorre dire tutto [...] La verità quando è nuda è più bella, e l’impressione che essa fa è tanto più profonda quanto più semplice ne è l’espressione [...] bisogna evitare ogni ornamento retorico non necessario [...] bisogna industriasi per uno stile casto [...] non bisogna mai sacrificare la chiarezza, e tanto meno la grammatica, alla concisione […] L’introduzione della misera grammatica [...] e non, come opinano certi gretti puristi, l’introduzione di singole parole straniere. queste vengono assimilate e arricchiscono la lingua […] I segni di interpunzione tipografici vengono trattati, infatti, come se fossero d’oro […] Non bisogna dunque contrarre parole e forme linguistiche, bensì ingrandire i pensieri: come un convalescente potrà riempire di nuovo i suoi vestiti non facendoli restringere bensì riacquistando la sua prestanza».
Come amava ripetere Schopenhauer, ἁπλοῦς ὁ μῦθος τῆς ἀληθείας ἔφυ: si tratta di un verso (469) delle Fenicie di Euripide: «il discorso della verità è semplice per natura»; i versi che seguono (470-472) recitano così: κοὐ ποικίλων δεῖ τἄνδιχ’ ἑρμηνευμάτων· / ἔχει γὰρ αὐτὰ καιρόν· ὁ δ’ ἄδικος λόγος / νοσῶν ἐν αὑτῷ φαρμάκων δεῖται σοφῶν, «e ciò che è giusto non ha bisogno di intricate interpretazioni: / ha in sé ciò che è opportuno; il discorso ingiusto invece / avendo il vizio dentro di sé ha bisogno di espedienti sofisticati». Seneca li cita (Epistulae, 49, 12): ut ait ille tragicus, “veritatis simplex oratio est”, ideoque illam implicari non oportet; nec enim quicquam minus convenit quam subdola ista calliditas animis magna conantibus, «come dice quel famoso tragico, “il discorso della verità è semplice”, e quindi non è il caso di complicarlo; e infatti non c’è alcuna cosa che convenga meno di questa furbizia subdola agli animi che si preparano a grandi imprese».
3 Cfr. De vita beata, 1: Decernatur itaque et quo tendamus et qua, non sine perito aliquo cui explorata sint ea in quae procedimus, quoniam quidem non eadem hic quae in ceteris peregrinationibus condicio est: in illis comprensus aliquis limes et interrogati incolae non patiuntur errare at hic tritissima quaeque uia et celeberrima maxime decipit, «Si stabilisca dunque sia dove tendere sia per dove, non senza una persona esperta per cui siano stati esplorati quei campi verso cui procediamo, perché certamente qui la condizione non è la medesima che negli altri viaggi: in quelli un sentiero riconosciuto e gli abitanti interrogati non consentono di sbagliare strada, mentre qui tutte le vie più sono battute e frequentate più traggono in inganno».
4 Cfr. De vita beata, 1: Nemo sibi tantummodo errat, sed alieni erroris et causa et auctor est; nocet enim adplicari antecedentibus et, dum unusquisque mauult credere quam iudicare, numquam de uita iudicatur, semper creditur, uersatque nos et praecipitat traditus per manus error. Alienis perimus exemplis: sanabimur, [si] separemur modo a coetu. «Nessuno erra soltanto per sé, ma è causa e fonte dell’errore altrui; nuoce infatti appoggiarsi a coloro che ci precedono e, finché ciascuno preferisce credere piuttosto che giudicare, mai si esprime un giudizio sulla vita, sempre si crede, e ci tormenta e fa precipitare l’errore tramandato di mano in mano. Periamo a causa degli esempi altrui: guariremo, basta che ci separiamo dalla folla».
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