Riprendo dal post precedente
9. ecce spectaculum dignum ad quod respiciat intentus operi suo deus, ecce par deo dignum, uir fortis cum fortuna mala compositus, utique si et prouocauit. Non uideo, inquam, quid habeat in terris Iuppiter pulchrius, si <eo> conuertere animum uelit, quam ut spectet Catonem iam partibus non semel fractis stantem nihilo minus inter ruinas publicas rectum.
«ecco uno spettacolo degno a cui possa rivolgere lo sguardo un dio intento alla sua opera, ecco una coppia degna di dio, un uomo forte alle prese con la cattiva sorte, specialmente se l’ha provocata. Non vedo, dico, che cosa abbia sulla terra Giove di più bello, se vuole rivolgere lì l’attenzione, che guardare Catone5, quando ormai il partito era andato in pezzi non una sola volta, stare dritto ciò non ostante tra le rovine dello stato».
10. ‘Licet' inquit ‘omnia in unius dicionem concesserint, custodiantur legionibus terrae, classibus maria, Caesarianus portas miles obsideat, Cato qua exeat habet: una manu latam libertati uiam faciet. Ferrum istud, etiam ciuili bello purum et innoxium, bonas tandem ac nobiles edet operas: libertatem quam patriae non potuit Catoni dabit.
«10. ‘E sia,’ disse, ‘tutti i poteri siano andati a finire sotto il controllo di uno solo, le terre siano presidiate dalle legioni, i mari dalle flotte, un soldato di Cesare assedi le porte, Catone ha una via d’uscita: con una sola mano aprirà la strada alla libertà. Questa spada, puro e inncente anche nella guerra civile, darà alla luce alla fine buone e nobili azioni: darà a Catone la libertà che non poté dare alla patria».
Aggredere, anime, diu meditatum opus, eripe te rebus humanis. Iam Petreius et Iuba concucurrerunt iacentque alter alterius manu caesi, fortis et egregia fati conuentio, sed quae non deceat magnitudinem nostram: tam turpe est Catoni mortem ab ullo petere quam uitam.’
«Intraprendi, animo, l’opera a lungo meditata, strappa te stesso alle vicende umane. Già Petreio e Giuba si sono scontrati e giacciono uccisi uno per mano dell’altro, patto di morte coraggioso e senza pari, ma che non si addice alla nostra grandezza: Per Catone è vergognoso chiedere a qualcun altro tanto la morte quanto la vita’».
11. Liquet mihi cum magno spectasse gaudio deos, dum ille uir, acerrimus sui uindex, alienae saluti consulit et instruit discedentium fugam, dum studia etiam nocte ultima tractat, dum gladium sacro pectori infigit, dum uiscera spargit et illam sanctissimam animam indignamque quae ferro contaminaretur manu educit.
Non ho dubbi che gli dèi abbiano guardato con grande gioia, mentre quell’eroe, rigorosissimo vendicatore di se stesso, provvede alla salvezza degli altri e organizza la fuga di chi rinuncia a combattere, mentre si dedica allo studio6 anche nell’ultima notte, mentre pianta la spada nel sacro petto, mentre sparge le viscere e con la mano tira fuori quell’anima santissima e indegna di essere contaminata dal ferro7».
5 È Catone Uticense (o il Giovane), così soprannominato per distinguerlo dall’avo, il Censore, morto nel 149 a.C.. Fiero avversario di Cesare, dopo la battaglia di Farsálo del 48 a.C., in cui Cesaro sconfisse Pompeo, continuò a battersi, ma per non cadere prigioniero del rivale si diede in Utica la morte nel 46 a.C.. È l’eroe degli stoici.
6 Si tratta del Fedone platonico, che tratta dell’immortalità dell’anima. Lo sappiamo da 68, 2: κατακλιθεὶς ἔλαβεν εἰς χεῖρας τῶν Πλάτωνος διαλόγων τὸν περὶ ψυχῆς, «prese tra le mani quello sull’anima dei dialoghi di Platone».
7 In Epistulae, 24, 8 descrive così l’ultimo gesto: nudas in vulnus manus egit et generosum illum contemptoremque omnis potentiae spiritum non emisit sed eiecit, «mise le mani nude nella ferita e quello spirito nobile e sprezzante di ogni potenza non lo lasciò andare ma lo cacciò fuori». Così Plutarco, Vita di Catone, 70, 10: dopo essersi inferto il colpo sviene e i medici tentano sistemare le viscere uscite e lo ricuciono; ὡς οὖν ἀνήνεγκεν ὁ Κάτων καὶ συνεφρόνησε, τὸν μὲν ἰατρὸν ἀπεώσατο, ταῖς χερσὶ δὲ τὰ ἔντερα σπαράξας καὶ τὸ τραῦμ' ἐπαναρρήξας, ἀπέθανεν, «come dunque rinvenne Catone e riprese lucidità, cacciò via il medico, poi lacerandosi con le mani le viscere e squarciando di nuovo la ferita morì».
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