mercoledì 8 gennaio 2025

Gli uomini non sono, o non dovrebbero, essere bestie – Sallustio, Cat., 1

 

[I] 1 Omnis homines, qui sese student praestare ceteris animalibus, summa ope niti decet, ne vitam silentio transeant veluti pecora, quae natura prona atque ventri oboedientia finxit1Sed nostra omnis vis in animo et corpore sita est: animi imperio, corporis servitio magis utimur; alterum nobis cum dis, alterum cum beluis commune est2Quo mihi rectius videtur ingeni quam virium opibus gloriam quaerere et, quoniam vita ipsa, qua fruimur, brevis est, memoriam nostri quam maxume longam efficere3. 4 Nam divitiarum et formae gloria fluxa atque fragilis est, virtus clara aeternaque habetur4.

Sed diu magnum inter mortalis certamen fuit, vine corporis an virtute animi res militaris magis procederet5Nam et, prius quam incipias, consulto et, ubi consulueris, mature facto opus est67 Ita utrumque per se indigens alterum alterius auxilio eget7.

1 «Tutti gli uomini che desiderano essere superiori agli altri esseri viventi bisogna che si sforzino col massimo impegno di non trascorrere la vita sotto silenzio come le bestie, che la natura ha plasmato prone e obbedienti al ventre».

Omnis: desinenza arcaica -is al posto di -es per l’accusativo plurale. ne transeant: completiva volitiva dipendente da niti, infinito di nitor. – pecora … finxit: questo passo, il cui concetto è ripreso con parole simili nel capitolo successivo (multi mortales, dediti ventri atque somno, «molti mortali, dediti al ventre e al sonno»), risente sicuramente di un altro di Platone (Repubblica, 586a): [a] Οἱ ἄρα φρονήσεως καὶ ἀρετῆς ἄπειροι, εὐωχίαις δὲ καὶ τοῖς τοιούτοις ἀεὶ συνόντες, κάτω, ὡς ἔοικεν, καὶ μέχρι πάλιν πρὸς τὸ μεταξὺ φέρονταί τε καὶ ταύτῃ πλανῶνται διὰ βίου, ὑπερβάντες δὲ τοῦτο πρὸς τὸ ἀληθῶς ἄνω οὔτε ἀνέβλεψαν πώποτε οὔτε ἠνέχθησαν, οὐδὲ τοῦ ὄντος τῷ ὄντι ἐπληρώθησαν, οὐδὲ βεβαίου τε καὶ καθαρᾶς ἡδονῆς ἐγεύσαντο, ἀλλὰ βοσκημάτων δίκην κάτω ἀεὶ βλέποντες καὶ κεκυφότες εἰς γῆν καὶ εἰς τραπέζας βόσκονται χορταζόμενοι καὶ ὀχεύοντες, [b] καὶ ἕνεκα τῆς τούτων πλεονεξίας λακτίζοντες καὶ κυρίττοντες ἀλλήλους σιδηροῖς κέρασί τε καὶ ὁπλαῖς ἀποκτεινύασι δι' ἀπληστίαν, ἅτε οὐχὶ τοῖς οὖσιν οὐδὲ τὸ ὂν οὐδὲ τὸ στέγον ἑαυτῶν πιμπλάντες, «Quelli che sono inesperti di pensiero e virtù, che sono sempre in festa e cose siffatte, sono portati, a quanto pare, verso il basso e di nuovo verso il mezzo e durante la vita vagano in questa condizione, né dopo aver superato questo grado, hanno mai alzato lo sguardo né si sono sollevati verso ciò che è veramente alto, né si sono saziati di ciò che realmente è, né hanno gustato un piacere sicuro e puro, ma alla maniera del bestiame, guardando sempre in basso e proni verso la terra e le mense, pascolano ingrassando e accoppiandosi, e per averne di più prendendosi a calci e cornate si uccidono tra loro con corna e zoccoli ferrei a causa dell’insaziabilità, poiché non saziano di sé stessi con cose reali né ciò che è né la dimora». L’idea è espressa da Platone in modo suggestivo anche in un altro dialogo (Sofista, 246a-c), individuando una guerra tra due modi di concepire la vita, una guerra potremmo dire tra materialismo e idealismo: καὶ μὴν ἔοικέ γε ἐν αὐτοῖς οἷον γιγαντομαχία τις εἶναι διὰ τὴν ἀμφισβήτησιν περὶ τῆς οὐσίας πρὸς ἀλλήλους [...] οἱ μὲν εἰς γῆν ἐξ οὐρανοῦ καὶ τοῦ ἀοράτου πάντα ἕλκουσι [...] ταὐτὸν σῶμα καὶ οὐσίαν ὁριζόμενοι [] «e certo in quelli sembra esserci come una gigantomachia dovuta a una disputa tra loro sull’essere [...] gli uni trascinano tutto a terra dal cielo e dall’invisibile [...] definendo come la stessa cosa corpo e essere […]» οἱ πρὸς αὐτοὺς ἀμφισβητοῦντες (τοὺς τῶν εἰδῶν φίλους, 248a) μάλα εὐλαβῶς ἄνωθεν ἐξ ἀοράτου ποθὲν ἀμύνονται, νοητὰ ἄττα καὶ ἀσώματα εἴδη βιαζόμενοι τὴν ἀληθινὴν οὐσίαν εἶναι [...] ἐν μέσῳ δὲ περὶ ταῦτα ἄπλετος ἀμφοτέρων μάχη τις, ὦ Θεαίτητε, ἀεὶ συνέστηκεν, «quelli che disputano con loro (gli amici delle forme, 248a) con molta cautela si difendono dall'alto, da qualche luogo invisibile, imponendo con la violenza che la realtà vera consiste in certe forme intellegibili e incorporee [...] in mezzo, oh Teeteto, sussiste sempre una battaglia accanita di entrambi su queste cose». Per ulteriori approfondimenti vedi la scheda sulla «Gigantomachia sull’essere».

2 «Invece tutta la nostra forza è situata nellanimo e nel corpo: dellanimo utilizziamo di più la capacità di comandare, del corpo quella di servire; uno lo abbiamo in comune con gli dèi, laltro con le bestie».

Qui emerge la contrapposizione tra anima e corpo, di matrice platonica, ma l’idea che l’uomo occupi una posizione intermedia tra bestia e dio possiamo ricollegarla ad Aristotele (Politica, [1253a]): ὁ ἄνθρωπος φύσει πολιτικὸν ζῷον, καὶ ὁ ἄπολις διὰ φύσιν καὶ οὐ διὰ τύχην ἤτοι φαῦλός ἐστιν, ἢ κρείττων ἢ ἄνθρωπος, «l’uomo è per natura animale politico, e chi è privo di città, per natura e non per casualità, è senza dubbio un abbietto oppure una creatura superiore allessere umano», e la ragione sta nel fatto che οὐθὲν γάρ, ὡς φαμέν, μάτην ἡ φύσις ποιεῖ· λόγον δὲ μόνον ἄνθρωπος ἔχει τῶν ζῴων, «Niente infatti, come diciamo, fa invano la natura: luomo solamente tra gli animali possiede la parola».

3 «Perciò mi sembra più giusto ricercare la gloria con le risorse dell’intelligenza piuttosto che con quelle della forza e, siccome la vita stessa di cui godiamo è breve, rendere il ricordo di noi il più lungo possibile».

4 «Infatti la gloria delle ricchezze e della bellezza è passeggera e fragile, la virtù invece è un possesso splendido ed eterno».

Il concetto che Sallustio ha di virtù si precisa più avanti, in particolare in 11, 1: Sed primo magis ambitio quam avaritia animos hominum exercebat, quod tamen vitium propius virtutem erat, «Ma in principio travagliava gli animi degli uomini più dell’avidità l’ambizione, che tuttavia è un vizio assai vicino alla virtù», si intende ovviamente una virtù alla Machiavelli, cioè svincolata dalla morale, come la definisce Nietzsche (Frammenti postumi 1887-1888, 10 [50]) Tugend im Renaissancestile freilich, virtù, moralinfreie Tugend «Virtù nello stile del Rinascimento naturalmente, virtù, virtù svincolata da morale». Per Machiavelli cfr. Principe, XXV: «iudico potere essere vero che la fortuna sia arbitra della metà delle azioni nostre, ma che etiam lei ne lasci governare l'altra metà, o presso, a noi» in quanto essa «dimostra la sua potenza dove non è ordinata virtù a resisterle». In cosa consista la virtù, cioè la parte che spetta all’uomo, viene spiegato nel cap. XVIII: «Dovete adunque sapere come e' sono dua generazioni di combattere: l'uno, con le leggi; l'altro, con la forza. Quel primo è proprio dello uomo; quel secondo, delle bestie. Ma perché el primo molte volte non basta, conviene ricorrere al secondo: pertanto a uno principe è necessario sapere bene usare la bestia e lo uomo […] Sendo dunque necessitato uno principe sapere bene usare la bestia, debbe di quelle pigliare la golpe e il lione: perché el lione non si difende da' lacci, la golpe non si difende da' lupi; bisogna adunque essere golpe a conoscere e' lacci, e lione a sbigottire e' lupi: coloro che stanno semplicemente in sul lione, non se ne intendono. Non può pertanto uno signore prudente, né debbe, osservare la fede quando tale osservanzia gli torni contro e che sono spente le cagioni che la feciono promettere. E se li uomini fussino tutti buoni, questo precetto non sarebbe buono: ma perché e' sono tristi e non la osserverebbono a te, tu etiam non l'hai a osservare a loro […] e quello che ha saputo meglio usare la golpe, è meglio capitato. Ma è necessario questa natura saperla bene colorire ed essere gran simulatore e dissimulatore: e sono tanto semplici gli uomini, e tanto ubbidiscono alle necessità presenti, che colui che inganna troverrà sempre chi si lascerà ingannare». Così sintetizza il concetto Foscolo (Ultime lettere di Jacopo Ortis, 4 dicembre 1798): «credimi; la fama degli eroi spetta un quarto alla loro audacia; due quarti alla sorte; e l'altro quarto a' loro delitti».

5 «Ma a lungo ci fu tra i mortali una grande disputa, se l’arte militare progredisse di più per la forza del corpo o per la virtù dell’animo».

vine: vi + ne enclitico, per introdurre l’interrogativa indiretta disgiuntiva vine… an

6 «Infatti c’è bisogno sia, prima di cominciare, di decidere, sia, dopo aver deciso, di agire nei tempi opportuni».

consulto … facto: participi perfetti in ablativo dipendenti da opus est, che quando regge un predicato, come in questo caso, si costruisce così.

7 «Così entrambi i fattori in sé difettosi hanno bisogno l’uno dell’aiuto dell’altro».

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