L’estasi dionisiaca contiene un elemento letargico, in cui, con il crollo delle barriere e dei limiti soliti dell’esistenza, si oblia il vissuto individuale. Così in quei momenti la dimensione dionisiaca e quella della realtà quotidiana si separano; ma non appena quest’ultima ritorna alla coscienza suscita nausea e produce una negazione ascetica della volontà.
In questo senso l’uomo dionisiaco assomiglia ad Amleto: entrambi hanno gettato una volta uno sguardo vero nell’essenza delle cose, hanno conosciuto, e provano nausea di fronte all’agire; giacché la loro azione non può mutare nulla nell’essenza eterna delle cose, ed essi sentono come ridicolo o infame che si pretenda da loro che rimettano in sesto il mondo che è fuori dai cardini. La conoscenza uccide l'azione, per agire occorre essere avvolti nell'illusione – questa è la dottrina di Amleto.
Vediamo i passi di Shakespeare, che sono due, a cui allude Nietzsche.
Amleto, III, 1, 82-88:
Thus conscience does make cowards of us all,
And thus the native hue of resolution
Is sicklied o'er with the pale cast of thought,
And enterprises of great pitch and moment
With this regard their currents turn awry,
And lose the name of action.
Amleto, I, 5, 196-97:
The time is out of joint. O cursèd spite,
That ever I was born to set it right!
Amleto è stato interpretato in vari modi, come archetipo dell’eroe moderno in contrapposizione a quello antico (Pirandello); in chiave psicanalitica (Freud); in chiave estetica (Wilde). Vediamo queste interpretazioni nelle parole degli autori.
Pirandello (Il fu Mattia Pascal, XII, L’occhio e Papiano) vede manifestarsi in Amleto la perdita delle certezze e delle sicurezze che avevano caratterizzato il mondo antico:
— La tragedia d’Oreste in un teatrino di marionette! — venne ad annunziarmi il signor Anselmo Paleari. — Marionette automatiche, di nuova invenzione. Stasera, alle ore otto e mezzo, in via dei Prefetti, numero cinquantaquattro. Sarebbe da andarci, signor Meis.
— La tragedia d’Oreste?
— Già! D’après Sophocle, dice il manifestino. Sarà l’Elettra. Ora senta un po’ che bizzarria mi viene in mente! Se, nel momento culminante, proprio quando la marionetta che rappresenta Oreste è per vendicare la morte del padre sopra Egisto e la madre, si facesse uno strappo nel cielo di carta del teatrino, che avverrebbe? Dica lei.
— Non saprei, — risposi, stringendomi ne le spalle.
— Ma è facilissimo, signor Meis! Oreste rimarrebbe terribilmente sconcertato da quel buco nel cielo.
— E perché?
— Mi lasci dire. Oreste sentirebbe ancora gl’impulsi della vendetta, vorrebbe seguirli con smaniosa passione, ma gli occhi, sul punto, gli andrebbero lì, a quello strappo, donde ora ogni sorta di mali influssi penetrerebbero nella scena, e si sentirebbe cader le braccia. Oreste, insomma, diventerebbe Amleto. Tutta la differenza, signor Meis, fra la tragedia antica e la moderna consiste in ciò, creda pure: in un buco nel cielo di carta.
L’immagine della marionetta d’Oreste sconcertata dal buco nel cielo mi rimase tuttavia un pezzo nella mente. A un certo punto — Beate le marionette, — sospirai, — su le cui teste di legno il finto cielo si conserva senza strappi! Non perplessità angosciose, né ritegni, né intoppi, né ombre, né pietà: nulla! E possono attendere bravamente e prender gusto alla loro commedia e amare e tener se stesse in considerazione e in pregio, senza soffrir mai vertigini o capogiri, poiché per la loro statura e per le loro azioni quel cielo è un tetto proporzionato.
Il buco nel cielo di carta del teatrino può essere paragonato allo squarcio nel velo di Maya, dunque alla perdita del principium individuationis dominato dall’illusione e dall’apparenza.
Freud interpreta Amleto psicanaliticamente (L'interpretazione dei sogni, pp. 250-251):
Secondo la concezione tuttora prevalente, che risale a Goethe, Amleto rappresenta il tipo d'uomo la cui vigorosa forza d'agire è paralizzata dalla forza opprimente dell'attività mentale ("la tinta nativa della risoluzione è resa malsana dalla pallida cera del pensiero", III, 1). Secondo altri, il poeta ha tentato di descrivere un carattere morboso, indeciso, che rientra nell'ambito della nevrastenia. Senonché, la finzione drammatica dimostra che Amleto non deve affatto apparirci come una persona incapace di agire in generale. Lo vediamo agire due volte, la prima in un improvviso trasporto emotivo, quando uccide colui che sta origliando dietro il tendaggio, una seconda volta in modo premeditato, quasi perfido, quando con tutta la spregiudicatezza del principe rinascimentale manda i due cortigiani alla morte a lui stesso destinata. Che cosa dunque lo inibisce nell'adempimento del compito che lo spettro del padre gli ha assegnato? Appare qui di nuovo chiara la spiegazione: la particolare natura di questo compito. Amleto può tutto, tranne compiere la vendetta sull'uomo che ha eliminato suo padre prendendone il posto presso sua madre, l'uomo che gli mostra attuati i suoi desideri infantili rimossi.
Infine Oscar Wilde vede in Amleto il ribaltamento del realismo in arte, per cui non è l’arte a imitare la vita ma è la vita a imitare l’arte (La decadenza della menzogna, del 1889):
La vita imita l'arte assai più di quanto l'arte imiti la vita...Un grande artista inventa un tipo, e la vita tenta di copiarlo, di riprodurlo in forma popolare...I greci, con il loro rapido istinto artistico, capirono questo, e mettevano nella stanza della sposa la statua di Ermes o di Apollo, affinché ella potesse generare figli altrettanto ben formati delle opere d'arte che contemplava nell'estasi o nel dolore. Sapevano che la vita non solo guadagna dall'arte la spiritualità, la profondità del pensiero e del sentimento, il turbamento o la pace dell'anima, ma che essa può formarsi sulle stesse linee e colori dell'arte, e può riprodurre la dignità di Fidia come la grazia di Prassitele...Schopenhauer ha analizzato il pessimismo che caratterizza il pensiero moderno, ma Amleto lo ha inventato. Il mondo è diventato triste perché una volta una marionetta fu malinconica.
Il nichilista, quello strano martire che non ha fede, che va al patibolo senza entusiasmo, e muore per quello in cui non crede, è un prodotto puramente letterario. Esso fu inventato da Turgenev e completato da Dostoevskij.
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