mercoledì 22 gennaio 2025

Nietzsche sulla «Nascita della tragedia»

 Riporto alcuni passi in cui Nietzsche riflette retrospettivamente sulla sua opera giovanile.


Crepuscolo degli idoli, Scorribande di un inattuale, 10

Che cosa significa l’antitesi, da me introdotta nell’estetica, tra i concetti di apollineo e dionisiaco, entrambi intesi come specie dell’ebbrezza? – L’ebbrezza apollinea riesce soprattutto a eccitare l’occhio, così che esso acquista la forza della visione. Il pittore, lo scultore, il poeta epico… Nello stato dionisiaco per contro l’intero sistema degli affetti è eccitato e potenziato, in modo che questo scarica in una volta tutti i suoi mezzi espressivi e al tempo stesso proietta fuori la forza del rappresentare, dell’imitare, del trasfigurare, del trasformare… l’essenziale sta nella capacità della metamorfosi… È impossibile per l’uomo dionisiaco non comprendere una qualsiasi suggestione… Entra in ogni pelle, in ogni moto dell’anima.


Crepuscolo degli idoli, Quel che devo agli antichi, 4

Fui il primo che… considerai seriamente quel meraviglioso fenomeno chiamato col nome di Dioniso: esso è spiegabile unicamente sulla base di un eccesso di forza… Se si cerca il contrario, si veda la quasi esilarante povertà d’istinto dei filologi tedeschi, quand’essi giungono in prossimità del dionisiaco… Che cosa si garantivano i Greci con questi misteri? La vita eterna, l’eterno ritorno della vita… il trionfante sì alla vita… la vita vera, come sopravvivenza collettiva attraverso la procreazione, attraverso i misteri della sessualità. Perciò il simbolo sessuale fu per i Greci il simbolo in sé… Nella dottrina dei misteri il dolore è santificato… Affinché esista il piacere del creare, affinché la volontà di vita affermi se stessa eternamente, deve esistere eternamente anche il «tormento della partoriente».


Crepuscolo degli idoli, Quel che devo agli antichi, 5

La tragedia… Il dire sì alla vita persino nei suoi problemi più oscuri e più gravi, la volontà di vivere che, nel sacrificio dei suoi tipi più elevati, si allieta della propria inesauribilità – questo io chiamai dionisiaco, questo io divinai come il ponte verso la psicologia del poeta tragico. Non per affrancarsi dal terrore della compassione, non per purificarsi da una pericolosa passione mediante un veemente scaricarsi della medesima – come pensava Aristotele – bensì per essere noi stessi, al di là del terrore e della compassione, l’eterno piacere del divenire – quel piacere che comprende in sé anche il piacere dell’annientamento. E così io torno a toccare il punto da cui una volta presi le mosse – la Nascita della tragedia è stata la mia prima trasvalutazione di tutti i valori… io, l’ultimo discepolo del filosofo Dioniso – io, il maestro dell’eterno ritorno…


Ecce homo, La nascita della tragedia, 1

… ciò che di prezioso si occultava nel fondo di quello scritto. «Grecità e pessimismo»: questo sarebbe stato un titolo non equivoco, cioè, un primo ragguaglio su come i Greci la fecero finita col pessimismo – per mezzo di che cosa lo superarono… Proprio la tragedia è la prova che i Greci non erano pessimisti: su questo punto, come su tutto il resto, Schopenhauer si è sbagliato.

… ha un ripugnante odore hegeliano e solo in certe formule è impregnata del profumo di cerimoniere funebre di Schopenhauer. Un’«idea» – l’opposizione di apollineo e dionisiaco – tradotta in metafisica; la storia stessa vista come lo sviluppo di questa «idea»; l’opposizione risolta in unità nella tragedia.

… Due sono le innovazioni decisive del libro: intanto la comprensione del fenomeno dionisiaco fra i Greci – il libro ne dà la prima psicologia, vedendo in esso la radice una di tutta l’arte greca. L’altra è la comprensione del socratismo: Socrate come strumento della disgregazione greca, riconosciuto per la prima volta come tipico décadent. «Razionalità» contro «istinto»… In tutto il libro, silenzio profondo, del tutto ostile sul cristianesimo. Il quale non è né apollineo né dionisiaco; nega tutti i valori estetici – gli unici valori che vengono riconosciuti nella «Nascita della tragedia»: nel senso più profondo esso è nichilistico, mentre nel simbolo dionisiaco viene raggiunto il limite estremo dell’affermazione.


Ecce homo, La nascita della tragedia, 2

Ero il primo a vedere il vero contrasto: da una parte l’istinto degenerante ( –  il cristianesimo, la filosofia di Shopenhauer, in un certo senso già la filosofia di Platone, tutto l’idealismo ne sono forme tipiche – ), e dall’altra una formula dell’affermazione suprema, nata dalla pienezza, dalla sovrabbondanza, un dire sì senza riserve, al dolore stesso, alla colpa stessa, a tutto ciò che l’esistenza ha di problematico e di ignoto…

La conoscenza, il dire sì alla realtà, è una necessità per il forte, così come lo è per il debole, per ispirazione della debolezza, la viltà e la fuga dalla realtà – l’«ideale»… Chi non solo comprende la parola «dionisiaco», ma comprende se stesso nella parola «dionisiaco», non ha bisogno di confutare Platone o il cristianesimo o Schopenhauer – fiuta la putrefazione… 


Ecce homo, La nascita della tragedia, 3

In quale misura io avessi così trovato il concetto di «tragico», la conoscenza definitiva della psicologia della tragedia, l’ho spiegato da ultimo anche nel Crepuscolo degli idoli, alla pagina 139. «Il dire sì alla vita anche nei suoi problemi più oscuri e avversi, la volontà di vita, che nell’immolare i suoi esemplari più alti, sente la gioia della propria inesauribilità – questo io chiamo dionisiaco, questo io ho inteso come ponte verso la psicologia del poeta tragico. Non per svincolarsi dal terrore della pietà, non per purificarsi da una passione pericolosa per mezzo di una violenta scarica – questo è stato l’equivoco di Aristotele –: bensì perché, al di là di terrore e pietà, siamo noi stessi  la gioia eterna del divenire – quella gioia che comprende in sé anche la gioia dell’annientare…». In questo senso io ho il diritto di considerarmi il primo filosofo tragico… Prima di me non esisteva questa trasposizione dell’elemento dionisiaco in pathos filosofico: mancava la saggezza tragica – ne ho cercato invano un qualche segno perfino nei grandi Greci della filosofia, quelli dei due secoli prima di Socrate. Mi è restato un dubbio per Eraclito… L’affermazione del flusso e dell’annientare, che è il carattere decisivo di una filosofia dionisiaca, il sì al contrasto e alla guerra, il divenire, con rifiuto radicale perfino del concetto di «essere» – … La dottrina dell’«eterno ritorno», cioè della circolazione incondizionata e infinitamente ripetuta di tutte le cose – questa dottrina di Zarathustra potrebbe essere già stata insegnata da Eraclito.


Ecce homo, La nascita della tragedia, 4

Io prometto un’epoca tragica: l’arte suprema del dire sì alla vita, la tragedia, rinascerà di nuovo…

… la necessità di qualche Anti-Alessandro che stringa di nuovo il nodo gordiano della civiltà greca, dopo che è stato sciolto… 

Nessun commento:

Posta un commento