venerdì 3 gennaio 2025

Euripide, Baccanti – testo traduzione e commento – Maturità 2025 – 2° episodio: vv. 443-450

 

ἃς δ' αὖ σὺ βάκχας εἷρξας, ἃς συνήρπασας

κἄδησας ἐν δεσμοῖσι πανδήμου στέγης,

φροῦδαί γ' ἐκεῖναι λελυμέναι πρὸς ὀργάδας     445

σκιρτῶσι Βρόμιον ἀνακαλούμεναι θεόν·

αὐτόματα δ' αὐταῖς δεσμὰ διελύθη ποδῶν

κλῇδές τ' ἀνῆκαν θύρετρ' ἄνευ θνητῆς χερός.

πολλῶν δ' ὅδ' ἁνὴρ θαυμάτων ἥκει πλέως

ἐς τάσδε Θήβας. σοὶ δὲ τἄλλα χρὴ μέλειν.1


1 443-450: «Però le baccanti che tu hai rinchiuso, che hai catturato / e hai legato nelle catene del pubblico carcere, / quelle, svanite, libere per i prati / saltellano invocando Bromio come dio; / le si sono sciolte da sole le catene dai piedi / e le chiavi aprirono le porte senza mano mortale. / Quest’uomo è giunto pieno di molti prodigi / qui a Tebe. Però devi occuparti tu del resto».

443-448 – La liberazione delle donne imprigionate, di cui si è parlato ai vv. 226-227 (ὅσας μὲν οὖν εἴληφα, δεσμίους χέρας / σῴζουσι πανδήμοισι πρόσπολοι στέγαις, «Dunque quante ho catturato, con le mani legate / le sorvegliano nelle carceri pubbliche i servitori») ha una duplice funzione nell’economia del dramma: innanzitutto è un prodigio tradizionale di Dioniso (vedi introduzione II, ii); poi funge da avvertimento ignorato da Penteo sul fatto che il soprannaturale non può essere controllato con chiavi e serrature. Dodds ipotizza che il ricordo di questo passo possa aver aiutato a plasmare la storia della miracolosa liberazione di Pietro in Atti degli apostoli, 12; in particolare i vv. 447-448 potrebbero essere dietro Atti, 12, 7 ἐξέπεσαν αὐτοῦ αἱ ἁλύσεις ἐκ τῶν χειρῶν, «le catene caddero dalle sue mani» e 10 (ἡ πύλη) αὐτομάτη ἠνοίγη αὐτοῖς, «(la porta) si aprì da sola per loro». I versi 445-448 presentano sei sostituzioni in quattro versi, molte cioè, con un notevole incremento di brevi, come se nel descrivere la liberazione essi stessi venissero liberati e acquisendo rapidità. κἄδησας: crasi di καὶ ἔδησας. λελυμέναι: participio perfetto medio passivo di λύω, come da manuale. διελύθη: aoristo passivo indicativo di διαλύω. ἀνῆκαν: aoristo cappatico di ἀνίημι.

449-450 – Il soldato confessa a metà la sua fede nello straniero, poi tronca all’improvviso per la paura di offendere il suo signore. È un atteggiamento tipico di servitori e soprattutto degli araldi che spesso sono personaggi meschini nella tragedia: cfr. vv. 670-671 e  Eschilo, Agamennone, 36-37: βοῦς ἐπὶ γλώσσῃ μέγας / βέβηκεν, «c’è un grosso bue sulla lingua» (si tratta della guardia che nel prologo esprime con queste parole l’intenzione di non riferire ad Agamennone quanto successo in patria in sua assenza, cioè che è stato tradito e spodestato: i padroni ora sono Clitemnestra e Egisto); Euripide, Troiane, 424-426: ἦ δεινὸς ὁ λάτρις. τί ποτ’ ἔχουσι τοὔνομα / κήρυκες, ἓν ἀπέχθημα πάγκοινον βροτοῖς, / οἱ περὶ τυράννους καὶ πόλεις ὑπηρέται, «Davvero tremendo il servo! Perché mai hanno il nome / di "araldi", unico odio comune a tutti i mortali, / questi servitori al seguito di tiranni e città?» (cosi si rivolge Cassandra a Taltibio); Oreste, 895-897: τὸ γὰρ γένος τοιοῦτον· ἐπὶ τὸν εὐτυχῆ / πηδῶσ’ ἀεὶ κήρυκες· ὅδε δ’ αὐτοῖς φίλος, / ὃς ἂν δύνηται πόλεος ἔν τ’ ἀρχαῖσιν ᾖ, «giacché è una razza fatta così: dalla parte di chi ha successo / saltano sempre gli araldi; caro a loro è questo, / che abbia il potere della città e sia al comando». Anche in questa tragedia il bersaglio è Taltibio.

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