giovedì 9 gennaio 2025

Agire e raccontare: Sallustio, Platone e Tucidide – Catilina, III

 

[III] 1 Sed in magna copia rerum aliud alii natura iter ostendit. Pulchrum est bene facere rei publicae, etiam bene dicere haud absurdum est; vel pace vel bello clarum fieri licet; et qui fecere et qui facta aliorum scripsere, multi laudantur1Ac mihi quidem, tametsi haudquaquam par gloria sequitur scriptorem et actorem rerum, tamen in primis arduum videtur res gestas scribere: primum, quod facta dictis exaequanda sunt; dehinc, quia plerique, quae delicta reprehenderis, malevolentia et invidia dicta putant, ubi de magna virtute atque gloria bonorum memores, quae sibi quisque facilia factu putat, aequo animo accipit, supra ea veluti ficta pro falsis ducit2.

Sed ego adulescentulus initio, sicuti plerique, studio ad rem publicam latus sum ibique mihi multa advorsa fuere. Nam pro pudore, pro abstinentia, pro virtute audacia, largitio, avaritia vigebant3Quae tametsi animus aspernabatur insolens malarum artium, tamen inter tanta vitia imbecilla aetas ambitione corrupta tenebatur;4  ac me, cum ab reliquorum malis moribus dissentirem, nihilo minus honoris cupido eadem, qua ceteros, fama atque invidia vexabat5.


1 «Ma in una grande abbondanza di attività la natura mostra a uno una strada a un altro un’altra strada. È bello agire bene per lo stato, anche dirne bene non è assurdo; vuoi in pace vuoi in guerra è possibile diventare famosi; sia coloro che hanno agito sia coloro che hanno scritto le azioni degli altri, in molti sono lodati».

2 «E sebbene una gloria in nessun modo pari segue lo scrittore e lautore della storia, tuttavia mi sembra particolarmente arduo scrivere le imprese: innanzitutto poiché le parole devono essere adeguate ai fatti; poi perché i più considerano dettati da malignità e invidia le colpe che si possono rimproverare; quando invece si fa menzione della grande virtù e gloria dei valorosi, le cose che ciascuno ritiene facili a farsi da parte sua, le accetta con animo sereno, quelle superiori le considera false, come inventate».

facta dictis exaequanda: stesso concetto in Isocrate, Panegirico, XIII: χαλεπόν ἐστιν ἴσους τοὺς λόγους τῷ μεγέθει τῶν ἔργων ἐξευρεῖν, «è difficile trovare le parole adeguate alla grandezza dei fatti».

pleriqueducit: Il passo è ispirato al λόγος ἐπιτάφιος di Tucidide, II, 35, 2: χαλεπὸν γὰρ τὸ μετρίως εἰπεῖν ἐν ᾧ μόλις καὶ ἡ δόκησις τῆς ἀληθείας βεβαιοῦται. ὅ τε γὰρ ξυνειδὼς καὶ εὔνους ἀκροατὴς τάχ' ἄν τι ἐνδεεστέρως πρὸς ἃ βούλεταί τε καὶ ἐπίσταται νομίσειε δηλοῦσθαι, ὅ τε ἄπειρος ἔστιν ἃ καὶ πλεονάζεσθαι, διὰ φθόνον, εἴ τι ὑπὲρ τὴν αὑτοῦ φύσιν ἀκούοι. μέχρι γὰρ τοῦδε ἀνεκτοὶ οἱ ἔπαινοί εἰσι περὶ ἑτέρων λεγόμενοι, ἐς ὅσον ἂν καὶ αὐτὸς ἕκαστος οἴηται ἱκανὸς εἶναι δρᾶσαί τι ὧν ἤκουσεν· τῷ δὲ ὑπερβάλλοντι αὐτῶν φθονοῦντες ἤδη καὶ ἀπιστοῦσιν, «È difficile infatti parlare con la giusta misura in una situazione in cui a stento viene confermata la presunzione della verità. Infatti l’ascoltatore consapevole e benevolo potrebbe forse pensare che qualche aspetto sia illustrato in modo piuttosto carente rispetto a ciò che vuole e sa, e quello inesperto, per invidia, che ce ne siano alcuni anche esagerati, se sente qualcosa di al di sopra della propria natura. Fino a questo punto infatti sono tollerabili le lodi pronunciate su altri, nella misura in cui ciascuno pensa di essere capace egli stesso di fare qualcuna delle cose che ha sentito dire; quanto invece a ciò che eccede le proprie capacità provando subito invidia neanche vi credono».

3 «Ma io in principio da ragazzo, così come i più, fui portato alla politica dalla passione, e là molte circostanze mi furono avverse. Infatti al posto del pudore, dell’integrità, della virtù erano in auge l’audacia, la corruzione, l’avidità».

Sed ego adulescentulus: comincia qui un excursus autobiografico che risente sicuramente della più celebre delle lettere di Platone (VII); riporto alcuni passi particolarmente presenti in Sallustio: Νέος ἐγώ ποτε ὢν πολλοῖς δὴ ταὐτὸν ἔπαθον· ᾠήθην, εἰ θᾶττον ἐμαυτοῦ γενοίμην κύριος, ἐπὶ τὰ κοινὰ τῆς πόλεως [c] εὐθὺς ἰέναι, «Un tempo quando ero giovane ebbi le medesime esperienze di molti: pensai, non appena fossi diventato padrone di me stesso, di indirizzarmi subito alle questioni comuni della città» (324b-c); l’epoca era quella successiva alla sconfitta nella guerra del Peloponneso (404 a.C.) con il governo dei Trenta: ᾠήθην γὰρ αὐτοὺς ἔκ τινος ἀδίκου βίου ἐπὶ δίκαιον τρόπον ἄγοντας διοικήσειν δὴ τὴν πόλιν, ὥστε αὐτοῖς σφόδρα προσεῖχον τὸν νοῦν, τί πράξοιεν. καὶ ὁρῶν δήπου τοὺς ἄνδρας ἐν χρόνῳ ὀλίγῳ χρυσὸν ἀποδείξαντας τὴν ἔμπροσθεν πολιτείαν […] ἐδυσχέρανά τε καὶ ἐμαυτὸν ἐπανήγαγον ἀπὸ τῶν τότε κακῶν, «pensai infatti che essi avrebbero governato la città guidandola da una vita ingiusta a un carattere giusto, sicché prestavo loro molta attenzione, a cosa facessero. E vedendo alla fine che quegli uomini in poco tempo fecero apparire ora il precedente governo […] mi sdegnai e mi allontanai dai mali di quel tempo» (324d-325a); quindi viene restaurata la democrazia e πάλιν δὲ βραδύτερον μέν, εἷλκεν δέ με ὅμως ἡ [b] περὶ τὸ πράττειν τὰ κοινὰ καὶ πολιτικὰ ἐπιθυμία, «di nuovo con meno slancio, ma comunque il desiderio mi trascinava a occuparmi delle questioni che riguardano la comunità e la politica» (325a-b).

pro pudore vigebant: qui si esprime l’idea di uno stravolgimento di valori che ha il suo culmine nel cambiamento di significato delle parole, di cui parla Catone in LII, 11: Iam pridem equidem nos vera vocabula rerum amisimus: quia bona aliena largiri liberalitas, malarum rerum audacia fortitudo vocatur, eo res publica in extremo sita est, «Ma già da tempo abbiamo perduto i veri significato delle parole: poiché sperperare i beni altrui si chiama generosità; l’audacia nel compiere azioni cattive forza d’animo, e per questo lo stato è in fin di vita». L’origine di questa idea si trova nel famoso passaggio di Tucidide sulla trasvalutazione dei valori (III, 82): siamo nel 427 e lo storiografo descrive il clima favorito dalla guerra civile a Corcira dove ἐπέπεσε πολλὰ καὶ χαλεπὰ κατὰ στάσιν ταῖς πόλεσι, γιγνόμενα μὲν καὶ αἰεὶ ἐσόμενα, ἕως ἂν ἡ αὐτὴ φύσις ἀνθρώπων ᾖ, «piombarono molte e dure sofferenze sulle città a causa della guerra civile, cose che capitano e sempre capiteranno, finché la natura umana è la medesima» in quanto ὁ δὲ πόλεμος βίαιος διδάσκαλος, «la guerra è maestra di violenza» per gli uomini (2); e uno degli effetti paradossali fu che καὶ τὴν εἰωθυῖαν ἀξίωσιν τῶν ὀνομάτων ἐς τὰ ἔργα ἀντήλλαξαν τῇ δικαιώσει. τόλμα μὲν γὰρ ἀλόγιστος ἀνδρεία φιλέταιρος ἐνομίσθη, μέλλησις δὲ προμηθὴς δειλία εὐπρεπής, τὸ δὲ σῶφρον τοῦ ἀνάνδρου πρόσχημα, καὶ τὸ πρὸς ἅπαν ξυνετὸν ἐπὶ πᾶν ἀργόν, «essi anche il valore abituale delle parole in relazione ai fatti cambiarono, in base al loro arbitrio. L’audacia irrazionale infatti fu considerata coraggio fazioso, il temporeggiare previdente viltà ammantata di decoro, la moderazione un pretesto per coprire la codardia, e l’intelligenza in tutto indolenza in tutto» (3; per quest’ultimo stravolgimento cfr. i versi citati supra della Medea). L’esito di tutto ciò fu che Οὕτω πᾶσα ἰδέα κατέστη κακοτροπίας διὰ τὰς στάσεις τῷ Ἑλληνικῷ, καὶ τὸ εὔηθες, οὗ τὸ γενναῖον πλεῖστον μετέχει, καταγελασθὲν ἠφανίσθη, «Così per il mondo greco a causa delle guerre civili si produsse ogni forma di malizia, e anche la semplicità, di cui la nobiltà per lo più partecipa, derisa svanì» (83, 1).

4 «E sebbene l’animo disprezzasse queste cose, non essendo avvezzo a cattivi comportamenti, tuttavia tra vizi tanto grandi l’età debole era tenuta prigioniera corrotta dall’ambizione».

5 «e sebbene io dissentissi dai cattivi costumi degli altri, ciò non di meno mi travagliava la medesima brama di onori degli altri, a causa della maldicenza e dell’invidia».

2 commenti:

  1. Sallustio, Tucidide , Platone, cosi presentati,fanno capire la necessità della passione politica e le trappole in cui un giovane può cadere, se non è guidato dall'esperienza dei maestri.

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