Me libertino natum patre et in tenui re
maiores pennas nido extendisse loqueris,
ut quantum generi demas virtutibus addas;
me primis Vrbis belli placuisse domique;
corporis exigui. praecanum, solibus aptum,
irasci celerem, tamen ut placabilis essem.
Dirai che io, nato da padre libertino e in una modesta
condizione ho aperto ali più grandi del nido,
così da aggiungere alle virtù quanto puoi togliere alla nascita;
che io sono piaciuto ai primi della città in guerra e in pace;
di corporatura piccola, precocemente canuto, amante del sole,
veloce ad arrabbiarmi, in modo tuttavia da essere placabile.
Epistulae, I, XX, 20-25
Me pinguem et nitidum bene curata cute vises
cum ridere voles Epicuri de grege porcum.
Verrai a vedermi grassoccio e lucido con la pelle ben curata,
quando vorrai ridere, un maiale del gregge di Epicuro.
Epistulae, I, IV, 15-16
Si quaeret quid agam, dic multa et pulchra minantem
vivere nec recte nec suaviter; haud quia grando
contuderit vitis oleamque momorderit aestus,
nec quia longinquis armentum aegrotet in agris;
sed quia mente minus validus quam corpore toto
nil audire velim, nil discere, quod levet aegrum;
fidis offendar medicis, irascar amicis,
cur me funesto properent arcere veterno;
quae nocuere sequar, fugiam quae profore credam;
Romae Tibur amem ventosus, Tibure Romam.
Se chiederà come sto, digli che dopo tante promesse
non vivo né saggiamente né piacevolmente; non perché la grandine
abbia ammaccato le viti o la siccità abbia morso gli ulivi,
né perché in campi lontani il bestiame sia ammalato;
ma perché non meno sano di mente che in tutto il corpo
non voglio udire nulla, imparare nulla che allevi la malattia;
me la prendo con medici fidati, mi arrabbio con gli amici,
poiché si affrettano a tenermi lontano da una letale abulia;
insegue ciò che mi ha fatto male, fuggo ciò che credo mi gioverà;
a Roma amo Tivoli, a Tivoli Roma, in balia del vento.
Epistulae, I, VIII, 3-12
Adde quod idem
non horam tecum esse potes, non otia recte
ponere, teque ipsum vitas fugitivus et erro,
iam vino quaerens, iam somno fallere curam:
frustra; nam comes atra premit sequiturque fugacem.
Aggiungi che non sai stare
un’ora con te stesso; non impiegare bene il tempo libero,
e scappi da te stesso come un fuggiasco e un vagabondo,
cercando di ingannare l’ansia ora col vino, ora col sonno:
invano; infatti ti schiaccia e ti segue, nera compagna, mentre fuggi.
Sermones, II, VII, 111-115
Tu quamcumque deus tibi fortunaverit horam
grata sume manu neu dulcia differ in annum,
ut quocumque loco fueris vixisse libenter
te dicas; nam si ratio et prudentia curas,
non locus effusi late maris arbiter aufert,
caelum non animum mutant qui trans mare currunt.
Strenua nos exercet inertia: navibus atque
quadrigis petimus bene vivere. Quod petis hic est,
est Vlubris, animus si te non deficit aequus.
Tu qualunque ora un dio ti abbia reso felice
prendila con mano grata e non rimandare i piaceri di anno in anno,
così da poter dire, in qualunque luogo tu sia stato di aver
vissuto volentieri; infatti se ragione e saggezza rimuovono le ansie,
non un luogo che domina un ampia distesa di mare,
mutano il cielo non l’animo quelli che corrono oltre il mare.
Ci fa soffrire uno smanioso torpore: con navi e con
quadrighe cerchiamo di vivere bene. Ciò che cerchi è qui,
a Ulubra, se non ti manca un animo equilibrato.
Epistulae, I, XI, 22-29
Non es avarus: abi. Quid? Cetera iam simul isto
cum vitio fugere? Caret tibi pectus inani
ambitione? Caret mortis formidine et ira?
Somnia, terrores magicos, miracula, sagas,
nocturnos lemures portentaque Thessala rides?
Natalis grate numeras? Ignoscis amicis?
Lenior et melior fis accedente senecta?
Quid te exempta iuvat spinis de pluribus una?
Vivere si recte nescis, decede peritis.
Lusisti satis, edisti satis atque bibisti:
tempus abire tibi est, ne potum largius aequo
rideat et pulset lasciva decentius aetas.
Non sei avaro: bene. E allora? Gli altri vizi sono fuggiti
insieme a questo? Il tuo cuore è privo della vana
ambizione? è privo della paura della morte e dell’ira?
Irridi i sogni, le terrificanti evocazioni dei morti, dei miracoli, delle streghe,
dei fantasmi notturni e dei prodigi tessalici?
Conti con gratitudine i compleanni? Perdoni gli amici?
Diventi più mite e più buono all’avvicinarsi della vecchiaia?
A cosa ti giova una sola spina tolta da molte?
Se non sai vivere bene, lascia il posto a chi lo sa fare.
Ti sei divertito abbastanza, hai mangiato e bevuto abbastanza:
è tempo per te di andare via, affinché l’età a cui piuttosto si addice
lo scherzo non rida di te e ti scacci dopo che hai bevuto più del dovuto.
Epistulae, II, II, 205-216
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