L’epistola si apre con la descrizione di un trasferimento per mare un po’ agitato che provoca a Seneca un forte mal di mare, tale da indurlo a non attendere l’approdo della nave e a buttarsi in mare per raggiungere la riva. Questo gli suggerisce una considerazione:
[4] illud scito, Ulixem non fuisse tam irato mari natum ut ubique naufragia faceret: nausiator erat. Et ego quocumque navigare debuero vicensimo anno perveniam.
[4] «sappilo, Ulisse non nacque per un mare così adirato da fare ovunque naufragio: soffriva il mal di mare. Anche io ovunque dovrò navigare, vi giungerò dopo venti anni».
Quindi, una volta rimessosi in sesto, riflette su quanto spesso tendiamo a dimenticare i nostri difetti, sia fisici che spirituali, con la differenza che delle malattie fisiche ci rendiamo conto mentre di quelle spirituali avviene il contrario.
8. Quare vitia sua nemo confitetur? quia etiam nunc in illis est: somnium narrare vigilantis est, et vitia sua confiteri sanitatis indicium est […] Sola autem nos philosophia excitabit, sola somnum excutiet gravem.
«8. Perché nessuno ammette i propri vizi? Perché vi è ancora dentro: raccontare un sogno è proprio di chi è sveglio, e ammettere i propri vizi è segno di salute […] Ma solo la filosofia ci desterà, solo essa ci scuoterà da un sonno pesante».
Dunque bisogna dedicarsi alla filosofia, ed è essa a esercitare il potere su di noi, non vice versa.
10. Alexander cuidam civitati partem agrorum et dimidium rerum omnium promittenti 'eo' inquit 'proposito in Asiam veni, ut non id acciperem quod dedissetis, sed ut id haberetis quod reliquissem'. Idem philosophia rebus omnibus: 'non sum hoc tempus acceptura quod vobis superfuerit, sed id vos habebitis quod ipsa reiecero’.
«10. Alessandro, a una città che gli prometteva una parte delle terre e la metà di tutte le risorse, disse: “Sono giunto in Asia con il proposito non di accettare ciò che mi avreste dato, ma che voi possedeste ciò che io vi avessi lasciato”. Lo stesso dice la filosofia per tutte le cose: “non ho intenzione di accettare questo tempo che vi sia rimasto, ma voi avrete quello che io stessa avrò rifiutato”.
La filosofia assimila l’uomo a dio, ma con una differenza:
11. Est aliquid quo sapiens antecedat deum: ille naturae beneficio non timet, suo sapiens.
«11. C’è un elemento per cui il sapiente supera dio: quello non prova la paura per merito di natura, il sapiente per merito proprio».
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