mercoledì 25 dicembre 2024

Euripide, Baccanti – testo traduzione e commento – Maturità 2025 – 1° stasimo: vv. 386-401 (antistrofe I) – 2°

 

ἀχαλίνων στομάτων

ἀνόμου τἀφροσύνας

τὸ τέλος δυστυχία·

ὁ δὲ τᾶς ἡσυχίας

βίοτος καὶ τὸ φρονεῖν                                 390

ἀσάλευτόν τε μένει καὶ

ξυνέχει δώματα· πόρσω

γὰρ ὅμως αἰθέρα ναίον-

τες ὁρῶσιν τὰ βροτῶν οὐρανίδαι.

τὸ σοφὸν δοὐ σοφία                                395

τό τε μὴ θνατὰ φρονεῖν.

βραχὺς αἰών· ἐπὶ τούτῳ

δὲ τις ἂν μεγάλα διώκων

τὰ παρόντοὐχὶ φέροι. μαι-

νομένων οἵδε τρόποι καὶ                             400

κακοβούλων παρἔμοιγε φωτῶν.1


1 386-401: «Di bocche senza freno / e stoltezza senza legge / la fine è sventura; / Invece la vita / della tranquillità e l’essere assennati / rimangono al riparo dai marosi e / e tengono insieme le case; lontano / infatti pur abitando l’etere / comunque vedono le vicende dei mortali i celesti. / Il sapere non è sapienza, / e anche il concepire pensieri non mortali. / Breve la vita; per questo / uno che inseguisse grandi cose / non otterrebbe quelle presenti. Queste / sono le inclinazioni di persone folli / e sconsiderate per quanto mi riguarda».

389-390 – ὁ δὲ τᾶς ἡσυχίας βίοτος: Dioniso è ripetutamente rappresentato come ἥσυχος (435 sqq., 622, 636) in contrapposizione a Penteo, l’eccitabile uomo d’azione (214, 647, 670 sq., 789 sq.). Ma sebbene ἡσυχία sia appropriata per un dio in quanto tale (cfr. Introduzione, cap. III), la religione orgiastica non è, per il nostro modo di pensare, particolarmente ἥσυχονe si potrebbe essere tentati di individuare un riferimento secondario alla disputa propria di quei tempi di guerra tra pacifismo e inerzia, ἡσυχία e ἀπραγμοσύνηEuripide sembra fare velate allusioni a questa disputa già nella Medea, messa in scena nel 431, anno dello scoppio della guerra: οἱ δἀφἡσύχου ποδὸς / δύσκλειαν ἐκτήσαντο καὶ ῥαιθυμίαν, «altri ancora per un piede tranquillo / hanno acquisito la cattiva fama di indifferenza» (217-218); χωρὶς γὰρ ἄλλης ἧς ἔχουσιν ἀργίας / φθόνον πρὸς ἀστῶν ἀλφάνουσι δυσμενῆ, «a parte infatti laltro marchio di indolenza che hanno, / si guadagnano linvidia malevola da parte dei concittadini» (si sta parlando dei sapienti, 296-297); μηδείς με φαύλην κἀσθενῆ νομιζέτω / μηδ᾽ ἡσυχαίαν, ἀλλὰ θατέρου τρόπου, βαρεῖαν ἐχθροῖς καὶ φίλοισιν εὐμενῆ· τῶν γὰρ τοιούτων εὐκλεέστατος βίος, «nessuno mi consideri vile e debole / e neppure tranquilla, ma di carattere opposto, / dura con i nemici e benvola con gli amici: / di tali persone infatti è gloriosissima la vita» (vv. 807-810). Che egli si stia muovendo in questo passo (che, ricordiamo, è stato scritto tra il 408 e il 407, essendo morto Euripide nell’inverno 407/406 ed essendo giunto in Macedonia nel 408: sono gli ultimi anni della guerra del Peloponneso, quando per Atene si sta mettendo male ma la situazione non è ancora definitivamente compromessa), consapevolmente o no, nel medesimo campo di discussione è suggerito non solo dal riferimento a Εἰρήνη (419-420) ma anche da una comparazione coi versi 1320-1322 degli Uccelli di Aristofane, i quali enumerano le potenze che presiedono Νεφελοκοκκυγία «la terra terra delle nuvole e dei cuculi»: Σοφία, Πόθος, ἀμβρόσιαι Χάριτες /τό τε τῆς ἀγανόφρονος Ἡσυχίας /εὐήμερον πρόσωπον, «Sapienza, Desiderio, Grazie fragranti di divinità / e il volto sereno / dell’amabile Tranquillità». Questi sono gli dèi di chi sfinito dalla guerra sogna la pace, ed è difficilmente attribuibile al caso che ricorrano tutti e quattro nel nostro passo. (395 σοφία, 415 Χάριτες e Πόθος, 389 ἡσυχία).

392 – ξυνέχει δώματα: il coro sta presumibilmente pensando alla spaccatura tra Penteo e la sua famiglia dovuta al suo difetto di φρόνησις.

395 τὸ σοφὸν δ' οὐ σοφία: è il nucleo centrale della tragedia e il verso più denso; Dodds traduce «cleverness is not wisdom», Murray «the world’s Wise are not wise». Qui ancora una volta il coro fa proprio un pensiero espresso nella scena precedente: τὸ σοφὸν ha le medesime implicazioni del v. 203 (οὐδὲν σοφιζόμεσθα τοῖσι δαίμοσιν. / πατρίους παραδοχάς, ἅς θ' ὁμήλικας χρόνῳ / κεκτήμεθ, οὐδεὶς αὐτὰ καταβαλεῖ λόγος, / οὐδ εἰ δι' ἄκρων τὸ σοφὸν ηὕρηται φρενῶν, «noi non abbiamo nessuna capacità intellettuale in confronto agli dèi. / Le tradizioni patrie, quelle che possediamo della stessa età del tempo, / nessun ragionamento le abbatterà, / neanche se il sapere viene trovato attraverso menti acute»); è la falsa sapienza di uomini come Penteo che φρονῶν οὐδὲν φρονεῖ («pur essendo dotato di ragione non ragiona», 332; cfr. 266 sqq., 311 sq.) in contrapposizione alla vera sapienza di una devota accettazione (179 σοφὴν σοφοῦ παρ' ἀνδρός, 186 σὺ γὰρ σοφός).

Questo genere di paradossi sono il prodotto tipico di un’epoca in cui i valori tradizionali stanno rapidamente cambiando nel modo descritto nel famoso passaggio di Tucidide sulla trasvalutazione dei valori (III, 82): siamo nel 427 e lo storiografo descrive il clima favorito dalla guerra civile a Corcira dove ἐπέπεσε πολλὰ καὶ χαλεπὰ κατὰ στάσιν ταῖς πόλεσι, γιγνόμενα μὲν καὶ αἰεὶ ἐσόμενα, ἕως ἂν ἡ αὐτὴ φύσις ἀνθρώπων ᾖ, «piombarono molte e dure sofferenze sulle città a causa della guerra civile, cose che capitano e sempre capiteranno, finché la natura umana è la medesima» in quanto ὁ δὲ πόλεμος βίαιος διδάσκαλος, «la guerra è maestra di violenza» per gli uomini (2); e uno degli effetti paradossali fu che καὶ τὴν εἰωθυῖαν ἀξίωσιν τῶν ὀνομάτων ἐς τὰ ἔργα ἀντήλλαξαν τῇ δικαιώσει. τόλμα μὲν γὰρ ἀλόγιστος ἀνδρεία φιλέταιρος ἐνομίσθη, μέλλησις δὲ προμηθὴς δειλία εὐπρεπής, τὸ δὲ σῶφρον τοῦ ἀνάνδρου πρόσχημα, καὶ τὸ πρὸς ἅπαν ξυνετὸν ἐπὶ πᾶν ἀργόν, «essi anche il valore abituale delle parole in relazione ai fatti cambiarono, in base al loro arbitrio. L’audacia irrazionale infatti fu considerata coraggio fazioso, il temporeggiare previdente viltà ammantata di decoro, la moderazione un pretesto per coprire la codardia, e l’intelligenza in tutto indolenza in tutto» (3; per quest’ultimo stravolgimento cfr. i versi citati supra della Medea). L’esito di tutto ciò fu che Οὕτω πᾶσα ἰδέα κατέστη κακοτροπίας διὰ τὰς στάσεις τῷ Ἑλληνικῷ, καὶ τὸ εὔηθες, οὗ τὸ γενναῖον πλεῖστον μετέχει, καταγελασθὲν ἠφανίσθη, «Così per il mondo greco a causa delle guerre civili si produsse ogni forma di malizia, e anche la semplicità, di cui la nobiltà per lo più partecipa, derisa svanì» (83, 1).

Per ulteriori approfondimenti vedi il mio articolo τὸ σοφὸν δοὐ σοφία, «il sapere non è sapienza» - un percorso tra tragedia e filosofia.

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