lunedì 23 dicembre 2024

Euripide, Baccanti – testo traduzione e commento – Maturità 2025 – 1° episodio: vv. 337-342

 

ὁρᾷς τὸν Ἀκταίωνος ἄθλιον μόρον,

ὃν ὠμόσιτοι σκύλακες ἃς ἐθρέψατο

διεσπάσαντο, κρείσσον' ἐν κυναγίαις

Ἀρτέμιδος εἶναι κομπάσαντ’, ἐν ὀργάσιν.     340

ὃ μὴ πάθῃς σύ· δεῦρό σου στέψω κάρα

κισσῷ· μεθ' ἡμῶν τῷ θεῷ τιμὴν δίδου.1


1 337-342: «Tu vedi lo sventurato destino di Atteone, / che le crudivore cagne che aveva allevato / sbranarono nelle praterie, perché si era vantato / di essere più forte di Artemide nelle cacce. / Non subire ciò, tu: qui ti incoronerò il capo / con l’edera: rendi onore al dio insieme a noi».

Il vecchio patriarca che vive per la sua famiglia richiama la sorte toccata all’altro suo nipote, il cugino di Penteo Atteone, il quale era stato fatto a pezzi dalle sue stesse cagne perché come Penteo aveva disdegnato una divinità. Il parallelo è più stringente di quanto Cadmo si renda conto: anche Penteo subirà lo σπαραγμός nel medesimo posto. Questo rende conto del motivo per cui Atteone spunti così spesso nelle Baccanti (vv. 230, 1227, 1291). Ci sono varie versione del mito. La testimonianza più antica (Stesicoro fr. 68) ne faceva un rivale di Zeus per la mano di Semele. Quando Semele però è diventata zia di Atteone, la versione non reggeva più ed egli ha spostato la sua attenzione su Artemide oppure divenne uno sbruffone punito come Eurito (Odissea, VIII, 224 sqq.) o Agamennone nell’Elettra di Sofocle (564 sqq.). Euripide è l’autorità più antica per questa versione. La storia che alla fine si è consolidata, secondo cui fu punito per aver sorpreso Artemide mentre si faceva il bagno, compare per la prima volta in Callimaco (Lav. Pall., 110 sqq.) ed è quella che troviamo in Ovidio (Met., III, 137-252): in effetti questa versione dallo spirito «borghese» si accorda bene con il gusto ellenistico-alessandrino. ἐθρέψατο: aoristo primo medio di τρέφω. διεσπάσαντο: aoristo primo medio di διασπάω, da cui il sostantivo σπαραγμός. ὃ μὴ πάθῃς: congiuntivo aoristo secondo di πάσχω, esortativo, come in Sofocle, Edipo a Colono, 1538 ὃ μὴ σύ, τέκνον Αἰγέως, βούλου παθεῖν, «figlio di Egeo, non voler subire ciò» (cioè trascurare τὰ θεῖα «le leggi divine») e in Tucidide, V, 103, 2: ὃ ὑμεῖς ἀσθενεῖς τε καὶ ἐπὶ ῥοπῆς μιᾶς ὄντες μὴ βούλεσθε παθεῖν μηδὲ ὁμοιωθῆναι τοῖς πολλοῖς, οἷς παρὸν ἀνθρωπείως ἔτι σῴζεσθαι, ἐπειδὰν πιεζομένους αὐτοὺς ἐπιλίπωσιν αἱ φανεραὶ ἐλπίδες, ἐπὶ τὰς ἀφανεῖς καθίστανται μαντικήν τε καὶ χρησμοὺς καὶ ὅσα τοιαῦτα μετ᾽ ἐλπίδων λυμαίνεται, «e voi che siete deboli e avete una sola possibilità, non vogliate subire ciò né essere assimilati ai più, i quali, pur essendo loro possibile ancora salvarsi con mezzi umani, dopo che, schiacciati, li abbiano abbandonati le speranze visibili, si rivolgono a quelle invisibili, come la mantica e gli oracoli e quante cose siffatte portano alla rovina insieme alle speranze» (sono parole degli Ateniesi ai Meli nel drammatico dialogo).

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