μάντις δ' ὁ δαίμων ὅδε· τὸ γὰρ βακχεύσιμον
καὶ τὸ μανιῶδες μαντικὴν πολλὴν ἔχει·
ὅταν γὰρ ὁ θεὸς ἐς τὸ σῶμ' ἔλθῃ πολύς, 300
λέγειν τὸ μέλλον τοὺς μεμηνότας ποιεῖ.1
1 298-301: «Questa divinità poi è profeta: l’esperienza bacchica / infatti e quella del delirio hanno molta virtù profetica; / quando infatti il dio giunge al corpo possente, / fa dire il futuro agli invasati».
298 – μάντις: In tracia Dioniso era un dio che si esplicava nel conferire tramite trance prerogative profetiche a un individuo che fungeva da medium: Erodoto (VII, 111) descrive il suo oracolo tra le montagne abitate dai Satri: Σάτραι … ἐόντες ἐλεύθεροι μοῦνοι Θρηίκων … οἱ τοῦ Διονύσου τὸ μαντήιόν εἰσι ἐκτημένοι· τὸ δὲ μαντήιον τοῦτο ἐστὶ μὲν ἐπὶ τῶν ὀρέων τῶν ὑψηλοτάτων· … πρόμαντις δὲ ἡ χρέωσα κατά περ ἐν Δελφοῖσι, καὶ οὐδὲν ποικιλώτερον, «I Satri … che sono gli unici ancora liberi tra i Traci … sono coloro che posseggono l’oracolo di Dioniso; questo oracolo si trova su montagne altissime … ed è una sacerdotessa che pronuncia gli oracoli come a Delfi, e in modo per nulla più complicato»; significa che andava in trance come la Pizia. [La semplicità degli oracoli richiama la sentenza di Eraclito (93 D-K) ὁ ἄναξ, οὗ τὸ μαντεῖον ἐστι τὸ ἐν Δελφοῖς, οὔτε λέγει οὔτε κρύπτει ἀλλὰ σημαίνει, «il signore, il cui oracolo è quello di Delfi, né dice né nasconde, ma significa». Sempre sulla semplicità così si esprime Polinice nelle Fenicie (469-472) ἁπλοῦς ὁ μῦθος τῆς ἀληθείας ἔφυ / κοὐ ποικίλων δεῖ τἄνδιχ’ ἑρμηνευμάτων· / ἔχει γὰρ αὐτὰ καιρόν· ὁ δ’ ἄδικος λόγος / νοσῶν ἐν αὑτῷ φαρμάκων δεῖται σοφῶν, «il discorso della verità è semplice per natura / e ciò che è giusto non ha bisogno di intricate interpretazioni: / ha in sé ciò che è opportuno; il discorso ingiusto invece / avendo il vizio dentro di sé ha bisogno di espedienti sofisticati». Seneca li cita (Epistulae, 49, 12): ut ait ille tragicus, “veritatis simplex oratio est”, ideoque illam implicari non oportet; nec enim quicquam minus convenit quam subdola ista calliditas animis magna conantibus, «come dice quel famoso tragico, “il discorso della verità è semplice”, e quindi non è il caso di complicarlo; e infatti non c’è alcuna cosa che convenga meno di questa furbizia subdola agli animi che si preparano a grandi imprese». Del resto etiam sine ratione ipsa veritas lucet, «anche senza spiegazioni la verità da sola splende» (Seneca, Epistulae, 94, 43)].
299 – μανιῶδες μαντικὴν: l’affermazione di Tiresia è basata su elementi più solidi della sola connessione etimologica tra μανία e μαντική, pur accennata al v. 299 e sostenuta da Platone (Fedro, 244a-c) νῦν δὲ τὰ μέγιστα τῶν ἀγαθῶν ἡμῖν γίγνεται διὰ μανίας, θείᾳ μέντοι δόσει διδομένης. ἥ τε γὰρ δὴ ἐν Δελφοῖς προφῆτις αἵ τ' ἐν Δωδώνῃ ἱέρειαι μανεῖσαι μὲν πολλὰ δὴ καὶ καλὰ ἰδίᾳ τε καὶ δημοσίᾳ τὴν Ἑλλάδα ἠργάσαντο, σωφρονοῦσαι δὲ βραχέα ἢ οὐδέν· … καὶ τῶν παλαιῶν οἱ τὰ ὀνόματα τιθέμενοι οὐκ αἰσχρὸν ἡγοῦντο οὐδὲ ὄνειδος μανίαν· [c] οὐ γὰρ ἂν τῇ καλλίστῃ τέχνῃ, ᾗ τὸ μέλλον κρίνεται, αὐτὸ τοῦτο τοὔνομα ἐμπλέκοντες μανικὴν ἐκάλεσαν. ἀλλ' ὡς καλοῦ ὄντος, ὅταν θείᾳ μοίρᾳ γίγνηται, οὕτω νομίσαντες ἔθεντο, οἱ δὲ νῦν ἀπειροκάλως τὸ ταῦ ἐπεμβάλλοντες μαντικὴν ἐκάλεσαν, «ora i beni più grandi per noi derivano dalla follia, datoci per dono divino. Infatti la profetessa di Delfi e le sacerdotesse di Dodona in preda alla follia hanno resa alla Grecia molti e bei benefici sia privatamente sia pubblicamente, quando erano in senno invece pochi o per niente; … e tra gli antichi coloro che stabilivano i nomi non cosideravano una vergogna né un’onta la follia: infatti, connettendo questo nome alla bellissima arte, con la quale si giudica il futuro, l’non avrebbero chiamata “manica”. Invece siccome è bella, qualora giunga per sorte divina, così credettero e stabilirono, mentre i moderni inserendo il tau per mancanza di buon gusto la chiamarono “mantica”» (questo è il primo tipo di follia; il secondo è quello delle purificazioni e il terzo è quello della poesia, 245a ὃς δ' ἂν ἄνευ μανίας Μουσῶν ἐπὶ ποιητικὰς θύρας ἀφίκηται, πεισθεὶς ὡς ἄρα ἐκ τέχνης ἱκανὸς ποιητὴς ἐσόμενος, ἀτελὴς αὐτός τε καὶ ἡ ποίησις ὑπὸ τῆς τῶν μαινομένων ἡ τοῦ σωφρονοῦντος ἠφανίσθη, «chi sia giunto alle porte della poesia senza la follia delle Muse, ma confidando che sarà un poeta bravo solo con la tecnica, rimane incompiuto e la poesia dell’assennato è oscurata da quella dei folli».
300 – ὅταν … πολύς: c’è chi ha pensato che il verso sia da intendere nel senso che la capacità profetica derivi dal bere molto vino. Probabilmente questa era l’interpretazione di Plutarco (def. orac. 40, 432e οἶνος ἀναθυμιαθεὶς ἕτερα πολλὰ κινήματα καὶ λόγους ἀποκειμένους καὶ λανθάνοντας ἀποκαλύπτει· “τὸ γὰρ βακχεύσιμον καὶ τὸ μανιῶδες μαντικὴν πολλὴν ἔχει”, «il vino coi suoi fumi svela molti altri movimenti e ragionamenti e reconditi e nascosti: “l’esperienza bacchica / infatti e quella del delirio hanno molta virtù profetica”, come dice Euripide». Tuttavia , nota Dodds, Tiresia pochi versi prima 278-285) aveva già descritto la funzione di Dioniso come dio del vino, senza menzionare quella profetica; qui invece è presentato come causa di due inspiegabili modalità di comportamento, preveggenza e panico, due μανίαι (v. 305), la cui comune caratteristica è che in entrambe la volontà e la ragione umane sono sommerse da un impulso misterioso che viene da qualcosa di esterno alla coscienza individuale, e perciò, nella credenza degli antichi, da un potere superiore. Detto in termini nietscheiani: «O per l’influsso di bevande narcotiche… o per il poderoso avvicinarsi della primavera… si destano quegli impulsi dionisiaci, nella cui esaltazione l’elemento soggettivo svanisce in un completo oblio di sé … Sotto l’incantesimo del dionisiaco non solo si restringe il legame tra uomo e uomo, ma anche la natura estraniata, ostile o soggiogata celebra di nuovo la sua festa di riconciliazione col suo figlio perduto, l’uomo… Ora lo schiavo è uomo libero, ora s’infrangono tutte le rigide, ostili delimitazioni che la necessità, l’arbitrio o la «moda sfacciata» hanno stabilite fra gli uomini. Ora … ognuno si sente non solo … fuso col suo prossimo, ma addirittura uno con esso, come se il velo di Maia fosse stato strappato e sventolasse ormai in brandelli davanti alla misteriosa unità originaria. Cantando e danzando, l’uomo si manifesta come membro di una comunità superiore… egli sente se stesso come dio… L’uomo non è più artista, è divenuto opera d’arte: si rivela qui fra i brividi dell’ebbrezza il potere artistico dell’intera natura» (La nascita della tragedia, cap. 1).
Tutti gli stati psicologici di questo tipo che non potevano essere né spiegati né controllati, erano attribuiti a interferenze fisiche esterne: si veda il linguaggio che Euripide usa per descrivere l’incontrollabile impulso del desiderio che abbatte la volontà dell’individuo (Ippolito, 443) Κύπρις γὰρ οὐ φορητὸν ἢν πολλὴ ῥυῇ, «Cipride infatti è irresistibile se piomba in tutta la sua potenza». Questa potenza è utilizzata da Giasone per negare a Medea il merito di averlo aiutato (Medea, vv. 524-531): ἐγὼ δ', ἐπειδὴ καὶ λίαν πυργοῖς χάριν, / Κύπριν νομίζω τῆς ἐμῆς ναυκληρίας / σώτειραν εἶναι θεῶν τε κἀνθρώπων μόνην. / σοὶ δ' ἔστι μὲν νοῦς λεπτός· ἀλλ' ἐπίφθονος / λόγος διελθεῖν ὡς Ἔρως σ' ἠνάγκασεν. / τόξοις ἀφύκτοις τοὐμὸν ἐκσῶσαι δέμας, «Io, siccome tu esageri anche troppo il merito, / considero che Cipride sola tra dèi e uomini sia / salvatrice della mia impresa navale. / Tu hai una mente sottile; ma è un odioso / discorso spiegare come Eros ti ha costretto / con dardi inevitabili a salvare il mio corpo». Medea nei versi precedenti aveva condannato l’ingratitudine di Giasone con questa amara considerazione (vv. 516-519): ὦ Ζεῦ, τί δὴ χρυσοῦ μὲν ὃς κίβδηλος ἦι / τεκμήρι’ ἀνθρώποισιν ὤπασας σαφῆ, / ἀνδρῶν δ' ὅτωι χρὴ τὸν κακὸν διειδέναι / οὐδεὶς χαρακτὴρ ἐμπέφυκε σώματι;, «Oh Zeus, perché dell’oro che sia falso / hai fornito agli esseri umani chiari indizi, / mentre nessun marchio è connaturato al corpo / con cui riconoscere quello malvagio?»; la medesima strumentalizzazione è operata anche nelle Troiane (vv. 948-950) da Elena che tenta di discolparsi di fronte a Menelao: τὴν θεὸν κόλαζε καὶ Διὸς κρείσσων γενοῦ, / ὃς τῶν μὲν ἄλλων δαιμόνων ἔχει κράτος, / κείνης δὲ δοῦλός ἐστι· συγγνώμη δ’ ἐμοί, « Punisci la dea e diventa più forte di Zeus, / il quale sulle altre divinità ha il potere, / ma di quella è schiavo: ci sia indulgenza per me».
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