lunedì 30 dicembre 2024

La teoria della classe media – 2°

 

Vediamo l’Elettra, vv. 367-376:

οὐκ ἔστ’ ἀκριβὲς οὐδὲν εἰς εὐανδρίαν·

ἔχουσι γὰρ ταραγμὸν αἱ φύσεις βροτῶν.

«Non c’è nulla di preciso in rapporto al valore di un uomo: / sono confuse infatti le nature dei mortali».

ἤδη γὰρ εἶδον ἄνδρα γενναίου πατρὸς

τὸ μηδὲν ὄντα, χρηστά τ’ ἐκ κακῶν τέκνα,

λιμόν τ’ ἐν ἀνδρὸς πλουσίου φρονήματι,

γνώμην τε μεγάλην ἐν πένητι σώματι.

«Ho già visto infatti un uomo di padre nobile / che non vale nulla, e buoni figli nati da infami, / miseria nella boria di un uomo ricco, / grande spirito in un corpo povero».

πῶς οὖν τις αὐτὰ διαλαβὼν ὀρθῶς κρινεῖ;

πλούτῳ; πονηρῷ τἄρα χρήσεται κριτῇ.

ἢ τοῖς ἔχουσι μηδέν; ἀλλ’ ἔχει νόσον

πενία, διδάσκει δ’ ἄνδρα τῇ χρείᾳ κακόν.

«Come dunque uno giudicherà distinguendo correttamente? / In base alla ricchezza? Si avvarrà di un giudice davvero cattivo. / O in base a chi non possiede nulla? Ma ha una malattia / la povertà, insegna all’uomo, col bisogno, il male».

Quindi riferendosi al contadino, dato in marito a Elettra, «uomo povero ma nobile» πένης ἀνὴρ γενναῖος (v. 253), conclude (vv. 386-391):

οἱ γὰρ τοιοῦτοι καὶ πόλεις οἰκοῦσιν εὖ

καὶ δώμαθ’· αἱ δὲ σάρκες αἱ κεναὶ φρενῶν

ἀγάλματ’ ἀγορᾶς εἰσιν. οὐδὲ γὰρ δόρυ

μᾶλλον βραχίων σθεναρὸς ἀσθενοῦς μένει·

ἐν τῇ φύσει δὲ τοῦτο κἀν εὐψυχίᾳ.

«Tali persone infatti amministrano bene sia le città / sia le case: ma le carni vuote di intelligenza / sono statue da piazza. Né infatti sostiene il colpo di una lancia / un braccio forte più di uno debole: / questa virtù si trova nell’indole e in un animo di valore».

In chi Euripide identificasse il rappresentante di questa classe media emerge infine nell’Oreste, vv. 918-920:

μορφῇ μὲν οὐκ εὐωπός, ἀνδρεῖος δ' ἀνήρ,

ὀλιγάκις ἄστυ κἀγορᾶς χραίνων κύκλον,

αὐτουργός, οἵπερ καὶ μόνοι σῴζουσι γῆν,

«uno non dal bel volto nell’aspetto, ma un uomo valoroso, / che di rado entra in contatto con la città e il cerchio della piazza, / un contadino che vive del suo lavoro, e di quelli che soli salvano il paese».

Tale esempio positivo viene contrapposto a quello dei versi precedenti (903-908):

ἀνήρ τις ἀθυρόγλωσσος, ἰσχύων θράσει·

[Ἀργεῖος οὐκ Ἀργεῖος, ἠναγκασμένος,

θορύβῳ τε πίσυνος κἀμαθεῖ παρρησίᾳ,

πιθανὸς ἔτ' αὐτοὺς περιβαλεῖν κακῷ τινι.

ὅταν γὰρ ἡδύς τις λόγοις φρονῶν κακῶς

πείθῃ τὸ πλῆθος, τῇ πόλει κακὸν μέγα·

«un uomo dalla lingua senza freni, forte della sua arroganza; / un Argivo non Argivo, costretto, / uno che confida nella confusione e nella sua ignorante libertà di parola, / persuasivo inoltre nell’avvolgerli in un qualche male. / Qualora uno piacevole nelle parole ma male intenzionato / persuada la massa, per la città è un grande male».

Possiamo vedere qui contrapposte due concezioni di democrazia, una che potremmo definire demagogica (vedi scheda che segue), avversata da Euripide, e una più idealizzata, delineata nei versi citati sopra.

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