ἀχαλίνων στομάτων
ἀνόμου τ' ἀφροσύνας
τὸ τέλος δυστυχία·
ὁ δὲ τᾶς ἡσυχίας
βίοτος καὶ τὸ φρονεῖν 390
ἀσάλευτόν τε μένει καὶ
ξυνέχει δώματα· πόρσω
γὰρ ὅμως αἰθέρα ναίον-
τες ὁρῶσιν τὰ βροτῶν οὐρανίδαι.
τὸ σοφὸν δ' οὐ σοφία, 395
τό τε μὴ θνατὰ φρονεῖν.
βραχὺς αἰών· ἐπὶ τούτῳ
δὲ τις ἂν μεγάλα διώκων
τὰ παρόντ' οὐχὶ φέροι. μαι-
νομένων οἵδε τρόποι καὶ 400
κακοβούλων παρ' ἔμοιγε φωτῶν.1
1 386-401: «Di bocche senza freno / e stoltezza senza legge / la fine è sventura; / Invece la vita / della tranquillità e l’essere assennati / rimangono al riparo dai marosi e / e tengono insieme le case; lontano / infatti pur abitando l’etere / comunque vedono le vicende dei mortali i celesti. / Il sapere non è sapienza, / e anche il concepire pensieri non mortali. / Breve la vita; per questo / uno che inseguisse grandi cose / non otterrebbe quelle presenti. Queste / sono le inclinazioni di persone folli / e sconsiderate per quanto mi riguarda».
389-390 – ὁ δὲ τᾶς ἡσυχίας βίοτος: Dioniso è ripetutamente rappresentato come ἥσυχος (435 sqq., 622, 636) in contrapposizione a Penteo, l’eccitabile uomo d’azione (214, 647, 670 sq., 789 sq.). Ma sebbene ἡσυχία sia appropriata per un dio in quanto tale (cfr. Introduzione, cap. III), la religione orgiastica non è, per il nostro modo di pensare, particolarmente ἥσυχον, e si potrebbe essere tentati di individuare un riferimento secondario alla disputa propria di quei tempi di guerra tra pacifismo e inerzia, ἡσυχία e ἀπραγμοσύνη. Euripide sembra fare velate allusioni a questa disputa già nella Medea, messa in scena nel 431, anno dello scoppio della guerra: οἱ δ' ἀφ' ἡσύχου ποδὸς / δύσκλειαν ἐκτήσαντο καὶ ῥαιθυμίαν, «altri ancora per un piede tranquillo / hanno acquisito la cattiva fama di indifferenza» (217-218); χωρὶς γὰρ ἄλλης ἧς ἔχουσιν ἀργίας / φθόνον πρὸς ἀστῶν ἀλφάνουσι δυσμενῆ, «a parte infatti l’altro marchio di indolenza che hanno, / si guadagnano l’invidia malevola da parte dei concittadini» (si sta parlando dei sapienti, 296-297); μηδείς με φαύλην κἀσθενῆ νομιζέτω / μηδ᾽ ἡσυχαίαν, ἀλλὰ θατέρου τρόπου, / βαρεῖαν ἐχθροῖς καὶ φίλοισιν εὐμενῆ· / τῶν γὰρ τοιούτων εὐκλεέστατος βίος, «nessuno mi consideri vile e debole / e neppure tranquilla, ma di carattere opposto, / dura con i nemici e benvola con gli amici: / di tali persone infatti è gloriosissima la vita» (vv. 807-810). Che egli si stia muovendo in questo passo (che, ricordiamo, è stato scritto tra il 408 e il 407, essendo morto Euripide nell’inverno 407/406 ed essendo giunto in Macedonia nel 408: sono gli ultimi anni della guerra del Peloponneso, quando per Atene si sta mettendo male ma la situazione non è ancora definitivamente compromessa), consapevolmente o no, nel medesimo campo di discussione è suggerito non solo dal riferimento a Εἰρήνη (419-420) ma anche da una comparazione coi versi 1320-1322 degli Uccelli di Aristofane, i quali enumerano le potenze che presiedono Νεφελοκοκκυγία «la terra terra delle nuvole e dei cuculi»: Σοφία, Πόθος, ἀμβρόσιαι Χάριτες / τό τε τῆς ἀγανόφρονος Ἡσυχίας / εὐήμερον πρόσωπον, «Sapienza, Desiderio, Grazie fragranti di divinità / e il volto sereno / dell’amabile Tranquillità». Questi sono gli dèi di chi sfinito dalla guerra sogna la pace, ed è difficilmente attribuibile al caso che ricorrano tutti e quattro nel nostro passo.
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