ὁ δαίμων ὁ Διὸς παῖς
χαίρει μὲν θαλίαισιν,
φιλεῖ δ' ὀλβοδότειραν Εἰ-
ρήναν, κουροτρόφον θεάν. 420
ἴσαν δ' ἔς τε τὸν ὄλβιον
τόν τε χείρονα δῶκ' ἔχειν
οἴνου τέρψιν ἄλυπον·
μισεῖ δ' ᾧ μὴ ταῦτα μέλει,
κατὰ φάος νύκτας τε φίλας 425
εὐαίωνα διαζῆν,
σοφὰν δ' ἀπέχειν πραπίδα φρένα τε
περισσῶν παρὰ φωτῶν.
τὸ πλῆθος ὅτι τὸ φαυλότερον ἐνόμισε χρῆ- 430
ταί τε, τόδ' ἂν δεχοίμαν.1
1 417-431: «Il dio che è figlio di Zeus / gode delle feste, / ama Eirene che dona prosperità, / la dea nutrice di giovani. / Uguale al ricco / e al più umile concede di avere / la gioia del vino che libera dalle pene; / odia chi non ha a cuore queste cose: / durante la luce e le amate notti / trascorrere la vita felici, / e tenere saggio il cuore e la mente lontani / dagli uomini straordinari. / Ciò che il volgo più umile pensa e / pratica, questo vorrei accogliere».
420 – κουροτρόφον θεάν: Cfr. Esiodo, Opere, 228: εἰρήνη δ' ἀνὰ γῆν κουροτρόφος, «pace nutrice di giovani sulla terra». Il desiderio di pace spesso trova espressione nei drammi di Euripide, per esempio Oreste, 1682-1683 τὴν καλλίστην / θεῶν Εἰρήνην, «la più bella / tra le dèe, Pace». però qui il riferimento a Εἰρήνη ha una funzione ulteriore perché anche Dioniso è un dio che accresce e arricchisce la vita e la guerra è a lui estranea: ὦ πολύμοχθος Ἄρης, τί ποθ' αἵματι / καὶ θανάτῳ κατέχῃ Βρομίου παράμουσος ἑορταῖς;, «o Ares che molto affliggi, perché mai da sangue / e morte sei posseduto, estraneo all’armonia delle feste di Bromio?» (Fenicie, 784-785).
421-423: ὄλβιος e χείρων sono usati con significato sociale. Dioniso è un dio democratico: è accessibile a tutti, non come Apollo Pitico che lo è attraverso l’intermediazione del clero, ma direttamente nel suo dono del vino e mediante l’appartenenza al suo θίασος. È probabile che il suo culto in origine attecchisse principalmente presso la popolazione che non aveva diritti di cittadinanza nelle πόλεις aristocratiche ed era esclusa dai culti più antichi associati alle grande famiglie. In età classica pare che mantenesse una buona parte del suo carattere popolare: cfr. Aristofane, Rane, 404-406, dove il coro così si rivolge a Dioniso: Σὺ γὰρ κατεσχίσω μὲν ἐπὶ γέλωτι / κἀπ’ εὐτελείᾳ τόδε τὸ σανδαλίσκον / καὶ τὸ ῥάκος, «Tu infatti ci hai messo addosso per far ridere / e per spendere poco questo sandaletto e questo straccio tutti lacerati»; Plutarco, Cup. div., 8, 527d Ἡ πάτριος τῶν Διονυσίων ἑορτὴ τὸ παλαιὸν ἐπέμπετο δημοτικῶς καὶ ἱλαρῶς, «La tradizionale festa delle Dionisie anticamente era celebrata con una processione popolare e allegra».
424-426 – νύκτας τε φίλας: perché i sacri rituali, τὰ ἱερὰ, avevano luogo di notte per lo più, νύκτωρ τὰ πολλά (485-486). – εὐαίωνα: il termine è forte in quanto implica una felicità permanente, come quella che un uomo attribuisce al dio (cfr. Strabone, X, III, 10: εὖ μὲν γὰρ εἴρηται καὶ τοῦτο, τοὺς ἀνθρώπους τότε μάλιστα μιμεῖσθαι τοὺς θεοὺς ὅταν εὐεργετῶσιν: ἄμεινον δ᾽ ἂν λέγοι τις, ὅταν εὐδαιμονῶσι, «infatti è stato detto bene anche questo, che gli uomini allora soprattutto imitano gli dèi, quando fanno del bene; qualcuno però potrebbe dire meglio, quando sono felici», e Nietzsche, La nascita della tragedia, cap. 3: «Fu per poter vivere che i Greci dovettero, per profondissima necessità, creare questi dèi. […] quel popolo […] che aveva un talento così unico per il soffrire, come avrebbe potuto sopportare l’esistenza? […] Così gli dèi giustificano la vita umana vivendola essi stessi – la sola teodicea soddisfacente!»).
L’ “edonismo” – ma sarebbe più corretto chiamarlo eudemonismo religioso – di questo e di altri passi (cfr. vv. 910-911 e 1004) ha sorpreso alcuni critici, ma secondo Dodds, (a) è drammaticamente appropriato, in quanto Dioniso è dispensatore di gioia naturale mentre Penteo di odio puritano per la gioia. (b) Il desiderio di sicurezza e di sollievo dagli affanni, naturale per un mondo stremato dalla guerra, è espresso spesso in Euripide; cfr. in particolare Eracle, 503-507: ἀλλ', ὦ γέροντες, σμικρὰ μὲν τὰ τοῦ βίου, / τοῦτον δ' ὅπως ἥδιστα διαπεράσατε / ἐξ ἡμέρας ἐς νύκτα μὴ λυπούμενοι. / ὡς ἐλπίδας μὲν ὁ χρόνος οὐκ ἐπίσταται / σῴζειν, «ma, vecchi, piccolo è il corso della vita, / attraversatela nel modo più piacevole / senza affliggervi dal giorno alla notte. / Il tempo infatti non sa preservare / le speranze». Quando il contemporaneo di Euripide Antifonte inventò e promosse una τέχνη ἀλυπίας, «arte della non sofferenza» (87 A6 D-K) stava provvedendo a un’esigenza sentita.
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