1. Alit lectio ingenium et studio fatigatum, non sine studio tamen, reficit. 2. Nec scribere tantum nec tantum legere debemus: altera res contristabit vires et exhauriet (de stilo dico), altera solvet ac diluet. Invicem hoc et illo commeandum est et alterum altero temperandum, ut quidquid lectione collectum est stilus redigat in corpus. 3. Apes, ut aiunt, debemus imitari, quae vagantur et flores ad mel faciendum idoneos carpunt, deinde quidquid attulere disponunt ac per favos digerunt et, ut Vergilius noster ait, “liquentia mella / stipant et dulci distendunt nectare cellas”.
«1. Nutre l’intelligenza la lettura e quando è affaticata dallo studio, tuttavia non senza studio, la ristora. 2. Non dobbiamo né solamente scrivere né solamente leggere: una cosa avvilirà le forze e le esaurirà (parlo della scrittura), l’altra le fiaccherà e disgregherà. Bisogna passare da questo a quello alternandoli e equilibrare l’uno con l’altro, cosicché tutto ciò che è stato raccolto con la lettura la penna lo riconduca a un insieme omogeneo. 3. Dobbiamo, come dicono, imitare le api, le quali vagano e attingono ai fiori idonei a fare il miele, poi distribuiscono e ripartiscono per i favi tutto ciò che hanno portato e, come dice il nostro Virgilio, “ammucchiano il limpido miele e riempiono di dolce nettare le celle1”».
5. nos quoque has apes debemus imitari et quaecumque ex diversa lectione congessimus separare (melius enim distincta servantur), deinde adhibita ingenii nostri cura et facultate in unum saporem varia illa libamenta confundere.
«5. Noi pure dobbiamo imitare queste api e tutto ciò che abbiamo accumulato da letture diverse separarlo (si conservano meglio infatti le cose distinte), poi facendo ricorso alla dedizione e alle risorse dell’ingegno amalgamare quei vari assaggi in un unico sapore2».
6. quaecumque hausimus non patiamur integra esse, ne aliena sint. 7. Concoquamus illa; alioqui in memoriam ibunt, non in ingenium3.
«6. Tutto quanto abbiamo attinto non lasciamo che sia intero, affinché non sia estraneo. Digeriamolo; altrimenti andranno nella memoria, non nello spirito».
8. Etiam si cuius in te comparebit similitudo quem admiratio tibi altius fixerit, similem esse te volo quomodo filium, non quomodo imaginem: imago res mortua est… Puto aliquando ne intellegi quidem posse, si magni vir ingenii omnibus quae ex quo voluit exemplari traxit formam suam inpressit, ut in unitatem illa conpetant. 9. Non vides quam multorum vocibus chorus constet? unus tamen ex omnibus redditur.
«8. Anche se in te si manifesterà la somiglianza con qualcuno che l’ammirazione abbia impresso in te con particolare profondità, voglio che tu sia simile come un figlio, non come un ritratto: il ritratto è una cosa morta… Penso che a volte non sia possibile neppure capire5, se un uomo di grande ingegno ha impresso il suo stampo a tutte le cose che ha tratto dal modello che volle, così che quelle coincidano in un tutto unico. 9. Non vedi di quante voci è fatto un coro? Uno solo tuttavia risulta da tutti».
10. Talem animum esse nostrum volo: multae in illo artes, multa praecepta sint, multarum aetatum exempla, sed in unum conspirata.
«10. Tale voglio che sia il nostro animo: ci siano in esso molte qualità, molti precetti, modelli di molte epoche, ma il tutto fuso in un’unica armonia».
1 Eneide, I, 432-433.
2 Cfr. Schopenhauer, Parerga e paralipomena II, Capitolo ventiduesimo, Pensare da sé: «257. Come la più ricca biblioteca, se è in disordine, non è utile, quanto una piuttosto modesta, ma ben ordinata; parimenti la più grande quantità di conoscenze se non elaborate a fondo con il proprio pensiero vale assai meno di una quantità molto minore di esse, che però sia stata pensata a fondo e da più punti di vista. Infatti soltanto mediante la combinazione, svolta in ogni senso, di quello che sappiamo, e mediante il confronto di ogni verità con ogni altra, è possibile assimilare il proprio saper e averne sicuro possesso. Si può pensare a fondo soltanto ciò che si sa, perciò bisogna imparare qualcosa, ma si sa, altresì, soltanto ciò che si è pensato a fondo… 260. La lettura non è che un surrogato del pensiero autonomo… Bisogna leggere, dunque, soltanto quando la sorgente dei pensieri propri cessa di sgorgare… Invece, è un peccato contro lo spirito santo scacciare i pensieri propri… Anche se alle volte una verità, una intuizione, che siamo riusciti a cogliere con molta fatica e lentamente, pensando e combinando i nostri pensieri in modo autonomo, si sarebbe potuta trovare bella e pronta e agevolmente in un libro, quella verità è tuttavia cento volte più preziosa, se si è raggiunta pensando da sé… porta il colore, la sfumatura, l’impronta del nostro intero modo di pensare… Perciò i versi di Goethe:
Ciò che hai in eredità dai padri
guadagnalo per possederlo
… Colui che pensa da sé impara a conoscere le autorità che confermano le sue vedute soltanto in seguito… mentre il filosofo libresco parte dalle autorità».
3 Cfr. Platone, «Mito di Theuth».
5 Intendere: «a chi risalga un’argomentazione, un pensiero utilizzato in uno scritto».
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