Χο. ὦ πρέσβυ, Φοῖβόν τ' οὐ καταισχύνεις λόγοις,
τιμῶν τε Βρόμιον σωφρονεῖς, μέγαν θεόν.
Κα. ὦ παῖ, καλῶς σοι Τειρεσίας παρῄνεσεν. 330
οἴκει μεθ' ἡμῶν, μὴ θύραζε τῶν νόμων·
νῦν γὰρ πέτῃ τε καὶ φρονῶν οὐδὲν φρονεῖς.
κεἰ μὴ γὰρ ἔστιν ὁ θεὸς οὗτος, ὡς σὺ φῄς,
παρὰ σοὶ λεγέσθω· καὶ καταψεύδου καλῶς
ὡς ἔστι, Σεμέλη θ’ ἵνα δοκῇ θεὸν τεκεῖν, 335
ἡμῖν τε τιμὴ παντὶ τῷ γένει προσῇ.1
1 328-336: «Co. O vecchio, non oltraggi Febo con le tue parole, / e onorando Bromio sei saggio, è un dio grande. / Ca. Figlio, bene ti ha consigliato Tiresia. / Sta’ con noi, non fuori dalle norme; / ora infatti voli a vuoto e pur essendo dotato di ragione non ragioni. / E se anche questo non è un dio, come tu dici, / sia detto tra te e te; e di’ una bella menzogna, / che lo è, affinché sembri che Semele abbia partorito un dio, / e si aggiunga onore a noi e a tutta la stirpe».
328-329 – Sulle congratulazioni del coro a Tiresia vedi introduzione al primo episodio.
330 – παρῄνεσεν: aoristo indicativo di παραινέω.
331 – μὴ θύραζε τῶν νόμων: i νόμοι in questione sono le prescrizioni della religione tradizionale, le πάτριοι παραδοχαί del v. 201, che esigono di proclamare Dioniso come dio.
332 – πέτῃ: per l’uso di «volare» nel senso di «vaneggiare» cfr. Teognide, 1053 τῶν γὰρ μαινομένων πέτεται θυμός τε νόος τε, «l’animo e la mente dei folli svolazza», e anche Aristofane, Uccelli, 169 Ἄνθρωπος ὄρνις ἀστάθμητος, πετόμενος, «l’uomo è un uccello instabile, che svolazza».
334 – καταψεύδου καλῶς: un καλὸν ψεῦδος non significa una «menzogna nobile», ma una che produce un effetto positivo, come in Tucidide, VI, 12, 1 τό τε ψεύσασθαι καλῶς χρήσιμον, il mentire bene è utile» (è il discorso di Nicia contro la spedizione in Sicilia). Si pensi anche a Machiavelli (Principe, XVIII, 3): «Dovete adunque sapere come e’ sono dua generazioni di combattere: l'uno, con le leggi; l'altro, con la forza. Quel primo è proprio dello uomo; quel secondo, delle bestie. Ma perché el primo molte volte non basta, conviene ricorrere al secondo: pertanto a uno principe è necessario sapere bene usare la bestia e lo uomo. Questa parte è suta insegnata alli principi copertamente da li antichi scrittori, e’ quali scrivono come Achille e molti altri di quelli principi antichi furno dati a nutrire a Chirone centauro, che sotto la sua disciplina li custodissi. Il che non vuole dire altro, avere per precettore uno mezzo bestia e mezzo uomo, se non che bisogna a uno principe sapere usare l’una e l’altra natura: e l’una sanza l’altra non è durabile.
Sendo dunque necessitato uno principe sapere bene usare la bestia, debbe di quelle pigliare la golpe e il lione: perché el lione non si difende da’ lacci, la golpe non si difende da’ lupi; bisogna adunque essere golpe a conoscere e’ lacci, e lione a sbigottire e’ lupi: coloro che stanno semplicemente in sul lione, non se ne intendono. Non può pertanto uno signore prudente, né debbe, osservare la fede quando tale osservanzia gli torni contro e che sono spente le cagioni che la feciono promettere. E se li uomini fussino tutti buoni, questo precetto non sarebbe buono: ma perché e’ sono tristi e non la osserverebbono a te, tu etiam non l’hai a osservare a loro; né mai a uno principe mancorno cagioni legittime di colorire la inosservanzia. Di questo se ne potrebbe dare infiniti esempli moderni e mostrare quante pace, quante promisse sono state fatte irrite e vane per la infidelità de’ principi: e quello che ha saputo meglio usare la golpe, è meglio capitato. Ma è necessario questa natura saperla bene colorire ed essere gran simulatore e dissimulatore: e sono tanto semplici gli uomini, e tanto ubbidiscono alle necessità presenti, che colui che inganna troverrà sempre chi si lascerà ingannare».
Cadmo è per un verso il vecchio timido e ansioso di tenere dalla parte giusta τὸ θεῖον (v. 341, cfr. 199), per l’altro verso lo scaltro politicante di famiglia, di cui dve difendere l’onore potendo vantare una parentela con la divinità. Si può interpretare la ripetizione di μεθ' ἡμῶν ai vv. 331 e 342 nel senso che la famiglia deve rimanere unita.
335 – τεκεῖν: infinito aoristo, secondo, di τίκτω.
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