C’è un piccolo aggiornamento al v. 353.
Πε. οὐ μὴ προσοίσεις χεῖρα, βακχεύσεις δ' ἰών,
μηδ' ἐξομόρξῃ μωρίαν τὴν σὴν ἐμοί;
τῆς σῆς ‹δ'› ἀνοίας τόνδε τὸν διδάσκαλον 345
δίκην μέτειμι. στειχέτω τις ὡς τάχος,
ἐλθὼν δὲ θάκους τοῦδ' ἵν' οἰωνοσκοπεῖ
μοχλοῖς τριαίνου κἀνάτρεψον ἔμπαλιν,
ἄνω κάτω τὰ πάντα συγχέας ὁμοῦ,
καὶ στέμματ' ἀνέμοις καὶ θυέλλαισιν μέθες· 350
μάλιστα γάρ νιν δήξομαι δράσας τάδε.
οἱ δ' ἀνὰ πόλιν στείχοντες ἐξιχνεύσατε
τὸν θηλύμορφον ξένον, ὃς ἐσφέρει νόσον
καινὴν γυναιξὶ καὶ λέχη λυμαίνεται.
κἄνπερ λάβητε, δέσμιον πορεύσατε 355
δεῦρ' αὐτόν, ὡς ἂν λευσίμου δίκης τυχὼν
θάνῃ, πικρὰν βάκχευσιν ἐν Θήβαις ἰδών.1
1 343-357: «Non farai a meno di accostare la mano, e andrai a baccheggiare, e di attaccarmi la tua pazzia? / Questo maestro della tua dissennatezza / lo punirò. Vada uno subito, / e giunto alle sedi di costui dove osserva gli uccelli / scardinale con leve e capovolgile, / scompigliando insieme tutto sotto sopra, / e getta le bende ai venti e alle tempeste: / Lo colpirò nel modo più duro agendo così. / Voi che andate per la città rintracciate / lo straniero dalle femminee sembianze, che introduce una malattia / nuova tra le donne e corrompe i letti. / E se dunque lo prendete, portatelo qui / in catene, affinché ottenuta la pena della lapidazione / muoia, dopo aver visto amara l’orgia bacchica a Tebe».
343-344 – Penteo parla del dionisismo come se fosse un’infezione corporea trasmissibile per contatto (come per lungo tempo si è pensato per tutte le forme di contaminazione – si pensi agli untori dei Promessi sposi). Il suo violento orrore per un tale contatto è una pennellata da fine psicologo: c’è in lui una sorta di presentimento del fascino e del pericolo che i nuovi riti comportano per lui. – προσοίσεις: futuro di προσφέρω. – ἐξομόρξῃ: futuro di ἐξομόργνυμι.
346 – στειχέτω τις: i servitori nella tragedia greca non possono essere chiamati per nome, come succederebbe invece sul moderno palcoscenico, poiché le convenzioni richiedono che essi rimangano anonimi.
347 – Il seggio di Tiresia, come la camera da letto di Semele, era una delle attrazioni mostrate ai turisti a Tebe (Pausania, IX, 116, 1). Da questo fatto forse deriva la sua menzione qui e in Sofocle, Antigone, 999 παλαιὸν θᾶκον ὀρνιθοσκόπον, «l’antico seggio per osservare gli uccelli» – a meno che non fossero proprio questi passi a stimolare le guide tebane a “scoprirli”. Il veggente cieco era capace di leggere gli omina nei versi degli uccelli (Antigone, 1001 ἀγνῶτ’ ἀκούω φθόγγον ὀρνίθων, «odo un verso ignoto di uccelli») mentre i loro movimenti gli venivano descritti da un assistente. – ἐλθὼν: participio aoristo di ἔρχομαι.
350 – στέμματα: infulae in latino, come quella di Ifigenia in Lucrezio, De rerum natura, I, 87: infula virgineos circum data comptus, « la benda che le avvolgeva le virginee chiome», in quel caso per celebrare il fasullo matrimonio con Achille. Appendere queste bende di lana consacrava il seggio come un luogo di divinazione. L’ordine di Penteo ha dunque lo scopo di dissacrare il luogo. Le bende di lana erano anche un segno di supplica come si vede all’inizio dell’Edipo re di Sofocle (vv. 1-3) Ὦ τέκνα, Κάδμου τοῦ πάλαι νέα τροφή, / τίνας ποθ’ ἕδρας τάσδε μοι θοάζετε / ἱκτηρίοις κλάδοισιν ἐξεστεμμένοι;, «O figli, nuova stirpe dell’antico Cadmo, / quali mai seggi sono questi che sedete / coi rami dei supplici incoronati?» (si tratta di un’ipallage per indicare che le bende di lana avvolgono i rami come segno di supplica). – μέθες: imperativo di μεθίημι.
351 – δήξομαι: futuro deponente di δάκνω.
353 – νόσον: questa malattia immaginata dalla malizia di Penteo ha un’eco nella concezione dell’amore, malata, di Virgilio, il quale così si esprime a proposito di Didone che si sta innamorando di Enea Praecipue infelix, pesti devota futurae, «Particolarmente infelice, consacrata alla peste imminente» (Eneide, I, 712).
355 – λάβητε: congiuntivo aoristo di λαμβάνω.
356 – λευσίμου δίκης τυχὼν: la pena della lapidazione era una modalità di esecuzione eccezionale, che pare avere avuto il carattere di un’espiazione rituale. – τυχὼν: participio aoristo di τυγχάνω.
357 – πικρὰν: predicativo. Così al v. 634 e in Medea, 1388 dove la nipote del Sole maledice Giasone dicendogli che morirà male (κατθανῇ κακὸς κακῶς, «morirai tu infame in modo infame», v. 1386) πικρὰς τελευτὰς τῶν ἐμῶν γάμων ἰδών, «dopo aver visto amara la fine del mio matrimonio». – θάνῃ: congiuntivo aoristo di θνῄσκω. – ἰδών: participio aoristo di ὁράω.
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