giovedì 12 dicembre 2024

Euripide, Baccanti – testo traduzione e commento – Maturità 2025 – 1° episodio: vv. 215-220

 

ΠΕΝΘΕΥΣ

ἔκδημος ὢν μὲν τῆσδ' ἐτύγχανον χθονός,1     215

κλύω δὲ νεοχμὰ τήνδ' ἀνὰ πτόλιν κακά,

γυναῖκας ἡμῖν δώματ' ἐκλελοιπέναι

πλασταῖσι βακχείαισιν, ἐν δὲ δασκίοις

ὄρεσι θοάζειν, τὸν νεωστὶ δαίμονα

Διόνυσον, ὅστις ἔστι, τιμώσας χοροῖς,2


1 215-247 – Le convenzioni sceniche del teatro greco prevedono che Penteo ignori la presenza dei due anziani per più di 30 versi, dopo i quali li nota con un certo disgusto (lo scarto è segnalato, come succede spesso, da ἀτάρ). Il suo monologo ha una finzione espositiva: è una sorta di secondo prologo, un contromanifesto di quello di Dioniso – dopo aver ascoltato il piano d’azione del dio ora ascoltiamo quello dell’uomo.

2 215-220: «Mi trovavo ad essere fuori da questa terra, / e sento di nuovi mali che incombono su questa città, / che le donne ci hanno abbandonato le case / per baccanali simulati, e che vagano / su monti ombrosi, onorando con danze / la divinità recente, Dioniso, chiunque sia,»
Un’idea della condizione della donna ad Atene (e di come Penteo possa rappresentare il maschio comune, scandalizzato dall’emancipazione femminile) emerge dai vv. 230-251 della Medea, in cui la protagonista, rivolgendosi alle donne di Corinto, così si esprime: πάντων δ' ὅσ' ἔστ' ἔμψυχα καὶ γνώμην ἔχει / γυναῖκές ἐσμεν ἀθλιώτατον φυτόν· / ἃς πρῶτα μὲν δεῖ χρημάτων ὑπερβολῇ / πόσιν πρίασθαι δεσπότην τε σώματος / λαβεῖν· κακοῦ γὰρ τοῦτ' ἔτ' ἄλγιον κακόν. / κἀν τῷδ' ἀγὼν μέγιστος, ἢ κακὸν λαβεῖν / ἢ χρηστόν· οὐ γὰρ εὐκλεεῖς ἀπαλλαγαὶ / γυναιξὶν οὐδ' οἷόν τ' ἀνήνασθαι πόσιν. / ἐς καινὰ δ' ἤθη καὶ νόμους ἀφιγμένην / δεῖ μάντιν εἶναι, μὴ μαθοῦσαν οἴκοθεν, / οἵῳ μάλιστα χρήσεται ξυνευνέτῃ. / κἂν μὲν τάδ' ἡμῖν ἐκπονουμέναισιν εὖ / πόσις ξυνοικῇ μὴ βίᾳ φέρων ζυγόν, / ζηλωτὸς αἰών· εἰ δὲ μή, θανεῖν χρεών. / ἀνὴρ δ', ὅταν τοῖς ἔνδον ἄχθηται ξυνών, / ἔξω μολὼν ἔπαυσε καρδίαν ἄσης /[ἢ πρὸς φίλον τιν' ἢ πρὸς ἥλικα τραπείς]· / ἡμῖν δ' ἀνάγκη πρὸς μίαν ψυχὴν βλέπειν. / λέγουσι δ' ἡμᾶς ὡς ἀκίνδυνον βίον / ζῶμεν κατ' οἴκους, οἱ δὲ μάρνανται δορί, / κακῶς φρονοῦντες· ὡς τρὶς ἂν παρ' ἀσπίδα / στῆναι θέλοιμ' ἂν μᾶλλον ἢ τεκεῖν ἅπαξ, «Tra tutte le cose quante sono animate e hanno senno / noi donne siamo la creatura più misera: / per prima cosa con una quantità esagerata di denaro dobbiamo / comprarci uno sposo e prenderlo come padrone / del corpo; e questo è un male ancora più doloroso del male. / E in questo (consiste) la gara più grande, prenderlo cattivo / o buono. Non procurano buona reputazione le separazioni / alle donne, e non è possibile ripudiare un marito. / Poi giunta in nuovi costumi e leggi / bisogna che sia unindovina, se non lo ha appreso da casa, /(per sapere) di chi si avvarrà soprattutto come marito. / E se con noi che ci sforziamo in questo con successo / il marito convive sopportando il giogo non per forza, / allora la vita è invidiabile; se no, bisogna morire. / Un uomo, invece, qualora fosse oppresso dalla convivenza con quelli di casa, / andato fuori fa cessare la noia dal cuore, /[volgendosi ad un amico o a dei coetanei]; / per noi invece è necessario puntare su una sola persona. / Dicono di noi che viviamo una vita / priva di pericoli in casa, mentre loro combattono con la lancia; / pensando male (però): giacché tre volte di fianco allo scudo / preferirei stare piuttosto che partorire una sola volta».
219 – θοάζειν: analogamente Cassandra è definita μαινὰς θοάζουσα, «menade vagante» in Troiane, 349. τὸν νεωστὶ: più spregiativo che τὸν νέον; cfr. Medea, 366 τοῖς νεωστὶ νυμφίοις, e 514 τῷ νεωστὶ νυμφίῳ, in entrambi i casi riferito sarcasticamente alle recenti nozze di Giasone.

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