sabato 5 aprile 2025

L’assenza di volontà nel male è una giustificazione? – II

 Riprendo da dove mi ero interrotto, cioè dalla conclusione dell’Ippia minore.

Una posizione analoga, ma meno contorta ed espressa in modo molto più chiaro ed efficace1, si trova in Critone, 44d:

Εἰ γὰρ ὤφελον, ὦ Κρίτων, οἷοί τ’ εἶναι οἱ πολλοὶ τὰ μέγιστα κακὰ ἐργάζεσθαι, ἵνα οἷοί τ’ ἦσαν καὶ ἀγαθὰ τὰ μέγιστα, καὶ καλῶς ἂν εἶχεν. νῦν δὲ οὐδέτερα οἷοί τε· οὔτε γὰρ φρόνιμον οὔτε ἄφρονα δυνατοὶ ποιῆσαι, ποιοῦσι δὲ τοῦτο ὅτι ἂν τύχωσι.

«Magari, o Critone, i più fossero capaci di compiere i più grandi mali, affinché fossero capaci di compiere anche i più grandi beni, e sarebbe bello! Ora invece non sono capaci di nessuna delle due cose: non sono in grado di rendere né intelligenti né stolti, ma fanno quello che gli capita»
2Curiosamente Guicciardini si trova, su questo, d’accordo con Platone (Ricordi, 168):

Che mi rilieva me che colui che mi offende lo facci per ignoranza e non per malignità? Anzi, è spesso molto peggio, perché la malignità ha e fini suoi determinati e procede con le sue regole, e però non sempre offende quanto può. Ma la ignoranza, non avendo né fine, né regola, né misura, procede furiosamente e dà mazzate da ciechi3.Si può aggiungere alla riflessione di Guicciardini una di Machiavelli4 che parlando di Cesare e confrontandolo con Catilina dice che «tanto è più biasimevole Cesare, quanto più è da biasimare quello che ha fatto, che quello che ha voluto fare un male».

L’idea espressa da Socrate nei due dialoghi presi in considerazione è coerente, per la sua natura intellettualistica, con quella più generale che potremmo, sulla scorta di Nietzsche, far rientrare nel concetto di socratismo5, secondo cui la morale dipende dalla conoscenza. Tale teoria trova espressione nel Protagora di Platone (357d, 358d):

καὶ γὰρ ὑμεῖς ὡμολογήκατε ἐπιστήμης ἐνδείᾳ ἐξαμαρτάνειν περὶ τὴν τῶν ἡδονῶν αἵρεσιν καὶ λυπῶν τοὺς ἐξαμαρτάνοντας – ταῦτα δέ ἐστιν ἀγαθά τε καὶ κακά – [] ἐπί γε τὰ κακὰ οὐδεὶς ἑκὼν ἔρχεται οὐδὲ ἐπὶ ἃ οἴεται κακὰ εἶναι. 
«anche voi infatti siete daccordo che per mancanza di scienza sbagliano coloro che sbagliano riguardo alla scelta dei piaceri e dei dolori questi sono i beni e i mali [] nessuno va volontariamente verso i mali, nemmeno verso quelli che crede siano mali».

Peraltro sempre nel Protagora (352d-e) trova spazio anche la tesi opposta, con parole che richiamano quasi letteralmente alcuni versi dell’Ippolito6 di Euripide e concettualmente pure quelli di tre anni prima (431 a. C.) della Medea7:

οἶσθα οὖν ὅτι οἱ πολλοὶ τῶν ἀνθρώπων ἐμοί τε καὶ σοὶ οὐ πείθονται, ἀλλὰ πολλούς φασι γιγνώσκοντας τὰ βέλτιστα οὐκ ἐθέλειν πράττειν, ἐξὸν αὐτοῖς, ἀλλὰ ἄλλα πράττειν· καὶ ὅσους δὴ ἐγὼ ἠρόμην ὅτι ποτε αἴτιόν ἐστι τούτου, ὑπὸ ἡδονῆς φασιν [e] ἡττωμένους ἢ λύπης ἢ ὧν νυνδὴ ἐγὼ ἔλεγον ὑπό τινος τούτων κρατουμένους ταῦτα ποιεῖν τοὺς ποιοῦντας. 
«Sai che i più tra gli uomini non crede né a me né a te, ma dicono che molti, pur conoscendo il meglio ed essendo per quelli possibile non vogliono praticarlo, ma agiscono diversamente; e a quanti ho chiesto quale mai fosse la causa di ciò, affermano che coloro che fanno queste cose le fanno vinti dal piacere8 o dal dolore o dominati da una di queste passioni di cui or ora dicevo».

 

1 Cfr. nota 8.

2 Cfr. La Rochefoucauld, Massime, 237: Nul ne mérite d’être loué de bonté s’il na pas la force d’être méchant; toute autre bonté n’est le plus souvent quune paresse ou une impuissance de la volonté, «Nessuno merita di essere lodato per bontà se gli manca la forza di essere cattivo. Ogni altra bontà è più spesso soltanto pigrizia o impotenza della volontà».

3 Un sostegno inaspettato può venire da Seneca (Epistulae, 95): Non promittet se talem in perpetuum qui bonus casu est, «Non garantisce che sarà tale per sempre colui che è buono per caso» (39); è in ciò infatti che consiste la differenza tra la sapienza e le altre arti, poiché in illis excusatius est voluntate peccare quam casu, in hac maxima culpa est sponte delinquere, «in quelle è più scusabile sbagliare per volontà che per caso, in questa la colpa più grande è cadere in fallo volontariamente» (8).

4 Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio, I, 10, 3.

5 Secondo Nietzsche lessenza del socratismo, che è di natura etica, trova una sua declinazione anche in chiave estetica in Euripide (La nascita della tragedia, cap. 12, Milano, Adelphi, 1972): «Potremo ormai avvicinarci allessenza del socratismo estetico, la cui legge suprema suona a un di presso: “Tutto deve essere razionale per essere bello”, come proposizione parallela al principio socratico: “solo chi sa è virtuoso” […] Così Euripide è come poeta soprattutto leco delle sue cognizioni coscienti [] Egli deve aver avuto spesso limpressione come di dover far vivere per il dramma linizio dello scritto di Anassagora [] al principio tutto era mescolato, poi venne lintelletto e creò ordine”. E se col suo nus Anassagora apparve tra i filosofi come il primo sobrio fra individui tutti ebbri, anche Euripide può aver concepito con unimmagine simile il suo rapporto con gli altri poeti della tragedia [] Euripide si accinse a mostrar al mondo [] lopposto del poeta irragionevole; il suo principio estetico tutto deve essere cosciente per essere bello” è la proposizione parallela al precetto socratico «tutto deve essere cosciente per essere buono. Per conseguenza Euripide può essere considerato come il poeta del socratismo estetico».

6 Queste le parole di Fedra (vv. 380-83): τὰ χρήστ᾽ ἐπιστάμεσθα καὶ γιγνώσκομεν, / οὐκ ἐκπονοῦμεν δ᾽, οἱ μὲν ἀργίας ὕπο, / οἱ δ᾽ ἡδονὴν προθέντες ἀντὶ τοῦ καλοῦ / ἄλλην τιν᾽, «conosciamo il bene e lo comprendiamo, / ma non ci impegniamo a metterlo in pratica, alcuni per pigrizia, / altri preferendo al bello un qualche altro / piacere».

7 Medea, combattuta tra lamore per i figli e la sete di vendetta, si risolve per la vendetta con la seguente rassegnata considerazione (vv. 1078-80): καὶ μανθάνω μὲν οἷα τολμήσω κακά, / θυμὸς δὲ κρείσσων τῶν ἐμῶν βουλευμάτων, / ὅσπερ μεγίστων αἴτιος κακῶν βροτοῖς, «e comprendo quali mali oserò, / ma più forte delle mie riflessioni è la passione, / la quale è causa dei massimi mali per i mortali».

8 Magari proprio il piacere del male, in cui l’uomo si dimostra la peggiore delle belve, in quanto numquam enim illas ad nocendum nisi necessitas incitat; [hae] aut fame aut timore coguntur ad pugnam: homini perdere hominem libet, «quelle in effetti non le aizza mai a nuocere nulla se non la necessità: sono costrette alla lotta o dalla fame o dalla paura: all’uomo dà piacere distruggere l’uomo» (Seneca, Epistualae, 103, 2).

Nessun commento:

Posta un commento