La filosofia insegna a fare, non a dire
2. Aliud propositum est declamantibus et assensionem coronae captantibus, aliud his qui iuvenum et otiosorum aures disputatione varia aut volubili detinent: facere docet philosophia, non dicere, et hoc exigit, ut ad legem suam quisque vivat, ne orationi vita dissentiat vel ipsa inter se vita; <ut> unus sit omnium actio[dissentio]num color [sit]. Maximum hoc est et officium sapientiae et indicium, ut verbis opera concordent, ut ipse ubique par sibi idemque sit. 'Quis hoc praestabit?' Pauci, aliqui tamen. Est enim difficile [hoc]; nec hoc dico, sapientem uno semper iturum gradu, sed una via.
«2. Diverso è l’obiettivo per coloro che declamano in pubblico e vanno a caccia dell’approvazione dell’uditorio, diverso per questi che intrattengono le orecchie dei giovani e degli oziosi con dissertazioni di vario tipo e scorrevoli: la filosofia insegna a fare, non a dire1, e questo esige, che ciascuno viva secondo la sua legge, che la vita non sia in disaccordo con la parola o la vita stessa con se stessa; che uno solo sia il colore di tutte le nostre azioni. Questo è il più importante dovere e segno della sapienza, che le azioni concordino con le parole, che uno sia ovunque pari e identico a se stesso. “Chi assicurerà ciò?” Pochi, tuttavia alcuni. Non è facile in effetti; e non dico questo, che il sapiente andrà sempre dello stesso passo, ma per la stessa via».
5. quid est sapientia? semper idem velle atque idem nolle. Licet illam exceptiunculam non adicias, ut rectum sit quod velis; non potest enim cuiquam idem semper placere nisi rectum. [6] Nesciunt ergo homines quid velint nisi illo momento quo volunt; in totum nulli velle aut nolle decretum est; variatur cotidie iudicium et in contrarium vertitur ac plerisque agitur vita per lusum.
«5. Che cos’è la sapienza? sempre volere la medesima cosa e non volere la medesima cosa. Si può non aggiungere quella piccola eccezione, che sia giusto ciò che vuoi; infatti non può piacere sempre la medesima cosa a qualcuno se non è giusto. 6. Gli uomini dunque non sanno cosa vogliono se non in quel momento in cui lo vogliono2; per nessuno è stabilito una volta per tutte volere o non volere; cambia ogni giorno il giudizio e si volge al contrario e per i più la vita si svolge per gioco».
13. Nemo nascitur dives; quisquis exit in lucem iussus est lacte et panno esse contentus: ab his initiis nos regna non capiunt.
«13. Nessuno nasce ricco; chiunque esce alla luce è obbligato ad accontentarsi del latte e di un panno: eppure partiti da questi inizi non ci bastano i regni».
1 Cfr. Epistulae, 16, 3: Non est philosophia populare artificium nec ostentationi paratum; non in verbis sed in rebus est, «La filosofia non è una tecnica per conquistare popolarità né è stata messa a punto per l’ostentazione; non è fatta di parole ma di fatti»; 88, 32: sapientia […] res tradit, non verba, «la sapienza… trasmette cose, non parole»; 108, 35: Sic ista ediscamus ut quae fuerint verba sint opera, «Così dobbiamo imparare queste cose, in modo che quelle che sono state parole siano opere».
2 L’importanza di sapere ciò che si vuole e di essere in grado di ottenerlo è anche il primo presupposto della felicità, come è detto proprio all’inizio del De vita beata (1): Viuere, Gallio frater, omnes beate uolunt, sed ad peruidendum quid sit quod beatam uitam efficiat caligant […] Proponendum est itaque primum quid sit quod adpetamus; tunc circumspiciendum qua contendere illo celerrime possimus, «Tutti, oh fratello Gallione, vogliono vivere felicemente, ma quanto a vedere chiaramente cosa sia ciò che rende felice la vita felice, hanno come la vista ottenebrata […] E così bisogna porsi davanti agli occhi innanzitutto cosa sia ciò che desideriamo; a quel punto bisogna esaminare con cura per quale via possiamo giungere là con la massima velocità».
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