martedì 20 agosto 2024

Seneca, Epistulae, 17

La frugalità è una povertà volontaria 


4. Facile est pascere paucos ventres et bene institutos et nihil aliud desiderantes quam impleri: parvo fames constat, magno fastidium. Paupertas contenta est desideriis instantibus satis facere: quid est ergo quare hanc recuses contubernalem cuius mores sanus dives imitatur? [5] Si vis vacare animo, aut pauper sis oportet aut pauperi similis. Non potest studium salutare fieri sine frugalitatis cura; frugalitas autem paupertas voluntaria est.

«4. È facile pascere pochi ventri e per giunta ben istruiti e che non desiderano niente altro che essere saziati; la fame costa poco, la nausea molto. La povertà si accontenta di soddisfare i desideri impellenti: che ragione c’è dunque per cui dovresti rifiutare questa compagna i cui costumi un ricco che sia sano imita? Se vuoi dedicare il tuo tempo allo spirito, o bisogna che tu sia povero o simile a un povero. Non può risultare salutare lo studio senza cura della frugalità; la frugalità del resto è una povertà volontaria».


10. Repraesentat opes sapientia, quas cuicumque fecit supervacuas dedit.

«10. La sapienza produce immediatamente ricchezze, che diede a chiunque le ha rese del tutto superflue».


11. Poteram hoc loco epistulam claudere, nisi te male instituissem. Reges Parthos non potest quisquam salutare sine munere; tibi valedicere non licet gratis.

«11. Avrei potuto chiudere la lettera a questo punto, se non ti avessi educato male. Nessuno può salutare i Parti senza un dono; da te non è consentito congedarsi gratis».


L’ultima frase allude all’abitudine di Seneca di congedarsi con un precetto o una bella frase, che, nel caso di questa epistola come di molte altre, è di Epicuro:


11. multis parasse divitias non finis miseriarum fuit sed mutatio.

«per molti essersi procurati le ricchezze ha significato non la fine della miseria ma un cambiamento».

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