sabato 10 agosto 2024

Seneca, Epistulae, 14

Sulla vanità del potere e delle ricchezze    


  13. iam non agitur de libertate: olim pessum data est. Quaeritur1 utrum Caesar an Pompeius possideat rem publicam: quid tibi cum ista contentione? nullae partes tuae sunt. Dominus eligitur: quid tua, uter vincat? potest melior vincere, non potest non peior esse qui vicerit.

 «13. Non è più una questione di libertà: da un pezzo è andata in malora. Si chiede se Cesare o Pompeo sia padrone dello stato: cosa c’entri tu con questa contesa? Nessuna parte è la tua. Si sceglie un padrone: cosa ti importa chi dei due vinca? Può vincere il migliore, non può non essere il peggiore quello che vincesse».

  17. Is maxime divitiis fruitur qui minime divitiis indiget.

  «17. Delle ricchezze gode soprattutto quello che meno delle ricchezze sente la mancanza».

  18. Qui eget divitiis timet pro illis; nemo autem sollicito bono fruitur. Adicere illis aliquid studet; dum de incremento cogitat, oblitus est usus. Rationes accipit, forum conterit, kalendarium versat: fit ex domino procurator.

  «18. Chi sente la mancanza di ricchezze teme per quelle2; nessuno del resto gode di un bene che è motivo di inquietudine. Desidera aggiungere qualcosa a quelle; pentre pensa ad accrescerle, ha deimenticato di usarle. Riceve i conti, consuma il foro, sfoglia il libro dei conti; diventa da padrone amministratore».


  1 Cfr. i versi del nipote Lucano, che probabilmente qui Seneca aveva in mente: quem tumulum Nili, quem Thybridis adluat unda / quaeritur, et ducibus tantum de funere pugna est, «Si chiede quale sepolcro bagni l’onda del Nilo, quale quella del Tevere, / e la battaglia per i condottieri è soltanto per una tomba» (Farsalia, VI, 810-811).

  2 Nel senso che ha pauraa di perderle.


Sempre sulle ricchezze cfr. Epistulae2 e 9

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