martedì 23 luglio 2024

Seneca, Epistulae, 2

 [1] Ex iis quae mihi scribis et ex iis quae audio bonam spem de te concipio: non discurris nec locorum mutationibus inquietaris. Aegri animi ista iactatio est: primum argumentum compositae mentis existimo posse consistere et secum morari.

«Da quello che mi scrivi e da quello che sento concepisco una buona speranza su di te: non corri qua e là né sei turbato dai mutamenti di luoghi. È propria di un animo ammalato questa agitazione: il primo indizio di una mente ordinata è di poter stare ferma e indugiare con se stessa».

[2] Illud autem vide, ne ista lectio auctorum multorum et omnis generis voluminum habeat aliquid vagum et instabile. Certis ingeniis immorari et innutriri oportet, si velis aliquid trahere quod in animo fideliter sedeat. Nusquam est qui ubique est. Vitam in peregrinatione exigentibus hoc evenit, ut multa hospitia habeant, nullas amicitias; idem accidat necesse est iis qui nullius se ingenio familiariter applicant sed omnia cursim et properantes transmittunt.

«Bada invece a quello, che questa lettura di molti autori e di ogni genere di volumi non abbia qualcosa di incostante e instabile. È opportuno insistere con certi ingegni e nutrirsene, se vuoi trarre qualcosa che risieda stabilmente nell’animo. Non è da nessuna parte chi è dappertutto. A coloro che passano la vita in viaggio capita questo, che hanno molti vincoli di ospitalità, nessuna amicizia; lo stesso accade necessariamente a coloro che non si applicano intimamente all’ingegno di nessuno ma oltrepassano tutto di corsa e in fretta».

[3] Non prodest cibus nec corpori accedit qui statim sumptus emittitur; nihil aeque sanitatem impedit quam remediorum crebra mutatio; non venit vulnus ad cicatricem in quo medicamenta temptantur; non convalescit planta quae saepe transfertur; nihil tam utile est ut in transitu prosit. Distringit librorum multitudo; itaque cum legere non possis quantum habueris, satis est habere quantum legas.

«Non giova né giunge al corpo il cibo che viene rimesso appena assunto; nulla impedisce la salute allo stesso modo del frequente cambiamento dei rimedi; non arriva alla cicatrice la ferita in cui si sperimentano medicamenti; non si rafforza la pianta che spesso è trapiantata; niente è tanto utile da giovare di passaggio. Distrae la moltitudine dei libri; e così non potendo leggere quanto possiedi, è sufficiente possedere quanto puoi leggere».

[4] 'Sed modo' inquis 'hunc librum evolvere volo, modo illum.' Fastidientis stomachi est multa degustare; quae ubi varia sunt et diversa, inquinant non alunt. Probatos itaque semper lege, et si quando ad alios deverti libuerit, ad priores redi. Aliquid cotidie adversus paupertatem, aliquid adversus mortem auxili compara, nec minus adversus ceteras pestes; et cum multa percurreris, unum excerpe quod illo die concoquas.

«“Ma” tu dici “ora voglio sfogliare questo libro, ora quello”. È proprio di uno stomaco nauseato assaggiare molte cose; e quando queste sono varie e opposte tra loro, intossicano, non nutrono. Procurati ogni giorno qualche aiuto contro la povertà, qualche aiuto contro la morte, e non meno con le altre catastrofi; e dopo aver scorso molte cose, estrapolane una che quel giorno tu possa digerire».

[5] Hoc ipse quoque facio; ex pluribus quae legi aliquid apprehendo. Hodiernum hoc est quod apud Epicurum nanctus sum - soleo enim et in aliena castra transire, non tamquam transfuga, sed tamquam explorator -: 'honesta' inquit 'res est laeta paupertas’.

«Io stesso pure faccio questo; dalle parecchie cose che ho letto mi impossesso di una. Questo è quello di oggi che ho attinto da Epicuro – sono solito infatti passare anche nell’accampamento degli altri, non come un fuggiasco, ma come una spia – : “è cosa onorevole” dice “una povertà lieta”».

[6] Illa vero non est paupertas, si laeta est; non qui parum habet, sed qui plus cupit, pauper est. Quid enim refert quantum illi in arca, quantum in horreis iaceat, quantum pascat aut feneret, si alieno imminet, si non acquisita sed acquirenda computat? Quis sit divitiarum modus quaeris? primus habere quod necesse est, proximus quod sat est. Vale.

«Quella però non è povertà, se è lieta; è povero non chi ha poco, ma chi brama di più 1. Che importanza ha infatti quanto egli abbia nel forziere, quanto si trovi nel granaio, quanto bestiame abbia o denaro presti, se è proteso sui beni altrui, se conta non ciò che ha raggiunto ma ciò che deve raggiungere? Tu chiedi quale sia la misura della ricchezza? Primo possedere ciò che è necessario, poi ciò che è sufficiente. Sta’ bene».


1 Si può accostare questo pensiero a quello di La Rochefoucauld, Massime, 48: La félicité est dans le goût et non pas dans les choses; et c'est par avoir ce qu'on aime qu'on est heureux, et non par avoir ce que les autres trouvent aimable, «La felicità sta nel gusto e non nelle cose; ed è per il possesso di ciò che si ama che si è felici, e non per quello di ciò che gli altri trovano amabile».

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