lunedì 22 luglio 2024

Seneca, Epistulae, 1

Comincio oggi la pubblicazione delle Epistulae di Seneca con una mia traduzione.

La prima è dedicata al valore del tempo.

Di questa e della prossima fornisco testo e traduzione integrali; delle seguenti i passi più significativi.


[1] Ita fac, mi Lucili: vindica te tibi, et tempus quod adhuc aut auferebatur aut subripiebatur aut excidebat collige et serva. Persuade tibi hoc sic esse ut scribo: quaedam tempora eripiuntur nobis, quaedam subducuntur, quaedam effluunt. Turpissima tamen est iactura quae per neglegentiam fit. Et si volueris attendere, magna pars vitae elabitur male agentibus, maxima nihil agentibus, tota vita aliud agentibus.

«Fa' così, mio Lucilio: rivendica te a te stesso, e il tempo che fino ad ora veniva rubato o sottratto o si perdeva raccoglilo e conservalo. Persuaditi che ciò è così come scrivo: certi momenti ci vengono strappati, certi portati via a nostra insaputa, certi scorrono via. Vergognosissima tuttavia è la perdita che avviene per trascuratezza. E se volessi fare attenzione, una gran parte della vita scivola via per chi fa le cose male, la massima per chi non fa niente, la vita intera per chi fa altro».

[2] Quem mihi dabis qui aliquod pretium tempori ponat, qui diem aestimet, qui intellegat se cotidie mori? In hoc enim fallimur, quod mortem prospicimus: magna pars eius iam praeterit; quidquid aetatis retro est mors tenet. Fac ergo, mi Lucili, quod facere te scribis, omnes horas complectere; sic fiet ut minus ex crastino pendeas, si hodierno manum inieceris.

«Chi mi darai che attribuisca un qualche valore al tempo, che stimi preziosa la giornata, che capisca che muore ogni giorno? In questo infatti ci inganniamo, nel fatto che vediamo la morte davanti a noi: gran parte di essa è ormai alle spalle; tutta la parte di vita che è dietro la contiene la morte. Fa' dunque, mio Lucilio, ciò che scrivi che in effetti fai, abbraccia tutte le ore; così accadrà che tu dipenda meno dal domani, se metti le mani sull’oggi».

[3] Dum differtur vita transcurrit. Omnia, Lucili, aliena sunt, tempus tantum nostrum est; in huius rei unius fugacis ac lubricae possessionem natura nos misit, ex qua expellit quicumque vult. Et tanta stultitia mortalium est ut quae minima et vilissima sunt, certe reparabilia, imputari sibi cum impetravere patiantur, nemo se iudicet quicquam debere qui tempus accepit, cum interim hoc unum est quod ne gratus quidem potest reddere.

«Mentre viene rimandata la vita trascorre. Tutte le cose, Lucilio, appartengono ad altri, solo il tempo appartiene a noi; la natura ci ha messo nel possesso di questa unica cosa fugace e scivolosa, possesso da cui ci espelle chiunque lo voglia. E così grande è la stoltezza dei mortali che i beni più piccoli e meno preziosi, certamente recuperabili, lasciano che vengano messi loro in conto, una volta ottenuti, ma non giudica di essere in debito di qualcosa nessuno che ha ricevuto del tempo, quando invece questa è l'unica cosa che neppure una persona grata può restituire».

[4] Interrogabis fortasse quid ego faciam qui tibi ista praecipio. Fatebor ingenue: quod apud luxuriosum sed diligentem evenit, ratio mihi constat impensae. Non possum dicere nihil perdere, sed quid perdam et quare et quemadmodum dicam; causas paupertatis meae reddam. Sed evenit mihi quod plerisque non suo vitio ad inopiam redactis: omnes ignoscunt, nemo succurrit.

«Chiederai forse che cosa faccio io che ti insegno queste cose. Lo confesserò francamente: ciò che capita a uno dedito al lusso ma oculato, mi torna il conto della spesa. Non posso dire di non perdere niente, però potrei dire che cosa perdo e perché e in che modo; posso rendere ragione della mia povertà. Però mi capita ciò che (capita) alla maggior parte di quelli ridotti in povertà non per proprio difetto: tutti li perdonano, nessuno li soccorre».

[5] Quid ergo est? non puto pauperem cui quantulumcumque superest sat est; tu tamen malo serves tua, et bono tempore incipies. Nam ut visum est maioribus nostris, 'sera parsimonia in fundo est'; non enim tantum minimum in imo sed pessimum remanet. Vale.

«E dunque? Non considero povero quello per cui è sufficiente ciò che rimane, per quanto sia poco; quanto a te, tuttavia, preferisco che conservi il tuo, e che cominci in tempo utile. Infatti come è sembrato giusto ai nostri antenati, “tardiva è la parsimonia alla fine”; sul fondo infatti non rimane solo la parte minore ma la peggiore. Sta' bene».


alessandro veronesi

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