Quello del cambiamento dei luoghi come falso rimedio al malessere spirituale è un tema caro a Seneca, che lo declina variamente nelle Epistulae. Possiamo individuarne l’origine in Orazio:
Orazio, Epistulae, I, XI, 22-29
Tu quamcumque deus tibi fortunaverit horam / grata sume manu neu dulcia differ in annum, / ut quocumque loco fueris vixisse libenter / te dicas; nam si ratio et prudentia curas, / non locus effusi late maris arbiter aufert, / caelum non animum mutant qui trans mare currunt. / strenua nos exercet inertia: navibus atque / quadrigis petimus bene vivere. quod petis hic est, / est Vlubris, animus si te non deficit aequus, «Tu qualunque ora un dio ti abbia reso felice / prendila con mano grata e non rimandare i piaceri di anno in anno, / così da poter dire, in qualunque luogo tu sia stato di aver vissuto / volentieri; infatti se ragione e saggezza rimuovono le ansie, / non un luogo che domina un ampia distesa di mare, / mutano il cielo non l’animo quelli che corrono oltre il mare. / Ci fa soffrire uno smanioso torpore: con navi e con / quadrighe cerchiamo di vivere bene. Ciò che cerchi è qui, / a Ulubra, se non ti manca un animo equilibrato».
Di seguito alcuni passi tratti dalle Epistulae di Seneca:
[1] Ex iis quae mihi scribis et ex iis quae audio bonam spem de te concipio: non discurris nec locorum mutationibus inquietaris. Aegri animi ista iactatio est: primum argumentum compositae mentis existimo posse consistere et secum morari… [2] Nusquam est qui ubique est. Vitam in peregrinatione exigentibus hoc evenit, ut multa hospitia habeant, nullas amicitias; idem accidat necesse est iis qui nullius se ingenio familiariter applicant sed omnia cursim et properantes transmittunt, «[1] Dalle cose che mi scrivi e da quelle che sento concepisco una buona speranza su di te: non corri qua e là e non sei turbato dal cambiamento dei luoghi. È propria di un animo ammalato questa agitazione: considero come primo segno di una mente ben ordinata essere capaci di stare fermi e indugiare con se stessi… [2] Non è da nessuna parte colui che è dappertutto. A coloro che passano la vita in viaggio capita questo, di avere molti rapporti di ospitalità, nessuna amicizia; la medesima cosa accade necessariamente a coloro che non si applicano intimamente all’ingegno di nessuno ma oltrepassano tutto di corsa e frettolosi».
Seneca, Epistulae, 28
[1] Animum debes mutare, non caelum… [2] Quaeris quare te fuga ista non adiuvet? tecum fugis… [5] Nunc <non> peregrinaris sed erras et ageris ac locum ex loco mutas, cum illud quod quaeris, bene vivere, omni loco positum sit. «[1] Devi cambiare animo, non cielo… [2] Chiedi perché questa fuga non ti aiuta? Fuggi insieme a te stesso… [5] Ora non sei un viaggiatore ma un vagabondo e sei spinto e cambi da un luogo ad un altro, mentre quello che cerchi, vivere bene, si trova in ogni luogo».
Seneca, Epistulae, 69, 1
Mutare te loca et aliunde alio transilire nolo, primum quia tam frequens migratio instabilis animi est: coalescere otio non potest nisi desit circumspicere et errare. Ut animum possis continere, primum corporis tui fugam siste.
«Non voglio che tu muti i luoghi e salti da un posto all’altro, innanzitutto perché uno spostamento tanto frequente è proprio di un animo instabile: non può rinforzarsi nell’ozio se non ha smesso di guardarsi continuamente intorno e errare. Affinché tu possa tenere al suo posto l’animo, interrompi la fuga del tuo corpo».
Diversamente la pensa Ovidio, che raccomanda invece il cambiamento dei luoghi testimoni di un amore ormai concluso:
Ovidio, Remedia amoris, 725-26:
Et loca saepe nocent; fugito loca conscia vestriConcubitus; causas illa doloris habent.
«Anche i luoghi spesso nuocciono; fuggi i luoghi testimoni del vostro / amplesso; quelli sono motivo di dolore».
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