4. …in hoc aliquid gaudeo discere, ut doceam; nec me ulla res delectabit, licet sit eximia et salutaris, quam mihi uni sciturus sum. Si cum hac exceptione detur sapientia, ut illam inclusam teneam nec enuntiem, reiciam: nullius boni sine socio iucunda possessio est.
«4. …in questo provo piacere ad imparare qualcosa, nell’insegnarlo; e non mi diletterà nessuna cosa, sia pure eccezionale e vantaggiosa, che sono destinato a conoscere per me solo. Se fosse concessa con questa condizione, di tenerla chiusa dentro e di non divulgarla, la rifiuterei [1]: di nessun bene è allegro il possesso senza un compagno».
5. Plus tamen tibi et viva vox et convictus quam oratio proderit; in rem praesentem venias oportet, primum quia homines amplius oculis quam auribus credunt, deinde quia longum iter est per praecepta, breve et efficax per exempla.
«5. Tuttavia ti gioverà di più sia la viva voce sia la convivenza che un discorso organizzato; è opportuno che ti presenti di persona, primo perché gli uomini credono di più algli occhi che alle orecchie, poi perché lunga è la strada attraverso i precetti, breve ed efficace attraverso gli esempi [2]».
6. Platon et Aristoteles et omnis in diversum itura sapientium turba plus ex moribus quam ex verbis Socratis traxit;
«6. Platone e Aristotele tutta la massa dei filosofi che sarebbe andata in direzioni opposte trasse di più dai costumi che dalle parole di Socrate».
Sul valore dell’esempio nella storia vedi il post «La storia monumentale».
[1] Si ricorda di queste parole Montaigne (Essais, III, 9 – pag. 1833 ed. Bompiani): «Nessun piacere ha gusto per me senza comunicazione (Nul plaisir n'a goûte pour moi sans communication). Non mi viene una sola bella idea nell'anima senza che mi dispiaccia di averla prodotta da solo, e di non avere a chi offrirla». Poi cita il passo di Seneca e aggiunge un brano di Cicerone (De officiis, I, 43/153): si contigerit ea vita sapienti, ut omnium rerum affluentibus copiis [quamvis] omnia, quae cognitione digna sint, summo otio secum ipse consideret et contempletur, tamen si solitudo tanta sit, ut hominem videre non possit, excedat e vita, «se al sapiente toccasse una vita tale che, affluendo grandi quantità di ogni bene, tutte le cose che sono degne di conoscenza potesse considerarle e contemplarle tra sé e sé in massima pace, ciò nonostante, se la solitudine fosse così grande da non poter vedere anima viva, si ritirerebbe dalla vita». Della frase di Montaigne si ricorda infine Pascal (Pensieri inediti, IX) commentandola così: «segno della stima che l’uomo ha dell’uomo».
[2] Cfr. Schopenhauer (1788-1860), Parerga e paralipomena II, cap. 8, Sull’etica, 119: «L’influenza dell’esempio, che tuttavia è maggiore di quello della dottrina… Prima di tutto, l’esempio agisce o frenando o stimolando… l’uomo, di regola, ha troppo poca facoltà di giudizio, spesso anche troppo poca conoscenza, per esplorare da sé la sua strada, perciò ricalca volentieri le orme degli altri. Sicché ognuno sarà tanto più aperto all’influenza dell’esempio quanto più gli mancheranno quelle due capacità… l’esempio agisce come mezzo che promuove la comparsa di qualità del carattere, buone e cattive; ma esso non le crea, perciò vale anche qui la sentenza di Seneca: “velle non discitur” (Epistulae, 81, 13)».
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