sabato 27 luglio 2024

La storia monumentale

Nietzsche1 distingue tre approcci alla storia: «In tre riguardi al vivente occorre la storia: essa gli occorre in quanto è attivo e ha aspirazioni, in quanto preserva e venera, in quanto soffre e ha bisogno di liberazione. A questi tre rapporti corrispondono tre specie di storia, in quanto sia permesso distinguere una specie di storia monumentale, una specie antiquaria e una specie critica… La storia occorre innanzitutto all’attivo e al potente, a colui che combatte una grande battaglia, che ha bisogno di modelli, maestri e consolatori, e che non può trovarli fra i suoi compagni e nel presente… usa la storia come mezzo contro la rassegnazione… Il suo comandamento suona: ciò che una volta poté esistere oltre e adempiere in modo più bello l’idea «uomo», deve anche esistere in eterno, per poter fare ciò in eterno. Che i grandi momenti della lotta degli individui formino una catena, che attraverso essi si formi lungo i millenni la cresta montuosa dell’umanità, che per me le vette di tali momenti da lungo tempo trascorsi siano ancora vive, chiare e grandi – è questo il pensiero fondamentale di una fede nell’umanità che si esprime nell’esigenza di una storia monumentale

La storia monumentale, dunque, è quella che fornisce gli esempi, i paradigmi. È la visione della storia presente già in Plutarco (circa 50-120 d.C.).

Nella Vita di Emilio (1, 1-2, 4) leggiamo: Ἐμοὶ [μὲν] τῆς τῶν βίων ἅψασθαι μὲν γραφῆς συνέβη δι' ἑτέρους, ἐπιμένειν δὲ καὶ φιλοχωρεῖν ἤδη καὶ δι' ἐμαυτόν, ὥσπερ ἐν ἐσόπτρῳ τῇ ἱστορίᾳ πειρώμενον ἁμῶς γέ πως κοσμεῖν καὶ ἀφομοιοῦν πρὸς τὰς ἐκείνων [2] ἀρετὰς τὸν βίον. οὐδὲν γὰρ ἀλλ' ἢ συνδιαιτήσει καὶ συμβιώσει τὸ γινόμενον ἔοικεν, ὅταν ὥσπερ ἐπιξενούμενον ἕκαστον αὐτῶν ἐν μέρει διὰ τῆς ἱστορίας ὑποδεχόμενοι καὶ παραλαμβάνοντες ἀναθεωρῶμεν

'ὅσσος ἔην οἷός τε' 2,

τὰ κυριώτατα καὶ κάλλιστα πρὸς γνῶσιν ἀπὸ τῶν πράξεων λαμβάνοντες.

[3] φεῦ φεῦ, τί τούτου χάρμα μεῖζον ἂν λάβοις 3

καὶ› πρὸς ἐπανόρθωσιν ἠθῶν ἐνεργότερον;, «A me capitò di metter mano alla scrittura delle vite grazie ad altri, ma di insistervi e di frequentarle volentieri ormai anche grazie a me stesso, in quanto cerco di ordinare e abbellire la vita, servendomi della storia come in uno specchio, in base alle virtù di quei personaggi. Ciò che avviene, infatti, assomiglia proprio a una condivisione di dimora e di vita, quando, attraverso la narrazione, ricevendo e accogliendo per così dire ciascuno a turno come un ospite, consideriamo «quanto grande e quale sia2», scegliendo tra le azioni quelle più importanti e quelle belle per la conoscenza. «Oh, quale gioia più grande di questa potresti ricevere?»3 e più efficace per la correzione4 dei caratteri?».

Il medesimo stato d’animo è descritto da Machiavelli nell’epistola al Vettori: «Venuta la sera, mi ritorno a casa ed entro nel mio scrittoio [19]; e in sull'uscio mi spoglio quella veste cotidiana, piena di fango e di loto, e mi metto panni reali e curiali; e rivestito condecentemente, entro nelle antique corti delli antiqui huomini, dove, da loro ricevuto amorevolmente, mi pasco di quel cibo che solum è mio e ch’io nacqui per lui; dove io non mi vergogno parlare con loro e domandarli della ragione delle loro azioni; e quelli per loro humanità mi rispondono; e non sento per quattro hore di tempo alcuna noia, sdimentico ogni affanno, non temo la povertà, non mi sbigottisce la morte: tutto mi transferisco in loro»

Tornando a Plutarco, poco dopo aggiunge: ἡμεῖς δὲ τῇ περὶ τὴν ἱστορίαν διατριβῇ καὶ τῆς γραφῆς τῇ συνηθείᾳ παρασκευάζομεν ἑαυτούς, τὰς τῶν ἀρίστων καὶ δοκιμωτάτων μνήμας ὑποδεχομένους ἀεὶ ταῖς ψυχαῖς, εἴ τι φαῦλον ἢ κακόηθες ἢ ἀγεννὲς αἱ τῶν συνόντων ἐξ ἀνάγκης ὁμιλίαι προσβάλλουσιν, ἐκκρούειν καὶ διωθεῖσθαι, πρὸς τὰ κάλλιστα τῶν [6] παραδειγμάτων ἵλεω καὶ πρᾳεῖαν ἀποστρέφοντες τὴν διάνοιαν, «Noi, invece, grazie allo studio della storia e alla consuetudine con la scrittura, ci disponiamo, nell’accogliere via via negli animi i ricordi degli uomini migliori e più famosi, a respingere e rigettare, se mai i rapporti inevitabili con chi si frequenta arrecano qualcosa di mediocre o cattivo o ignobile, rivolgendo il propizio e mite a quelli più belli tra gli esempi».

Tra i Romani presenta una visione simile Tito Livio (59 a.C.-17 d.C.), nella praefatio alla sua storia: Hoc illud est praecipue in cognitione rerum salubre ac frugiferum, omnis te exempli documenta in inlustri posita monumento intueri; inde tibi tuaeque rei publicae quod imitere capias, inde foedum inceptu foedum exitu quod vites, «Questa è quella cosa particolarmente salutare e fruttuosa nella conoscenza della storia, che tu osservi gli insegnamenti di ogni esempio posti in luminosi monumenti; di là puoi prendere ciò che tu debba imitare per te e per il tuo stato, di là ciò che tu debba evitare in quanto turpe all’inizio e turpe alla fine».

Interessante anche la posizione di Schopenhauer5, la cui riflessione però risulta più pessimista: “L’influenza dell’esempio, che tuttavia è maggiore di quello della dottrina… Prima di tutto, l’esempio agisce o frenando o stimolando… l’uomo, di regola, ha troppo poca facoltà di giudizio, spesso anche troppo poca conoscenza, per esplorare da sé la sua strada, perciò ricalca volentieri le orme degli altri. Sicché ognuno sarà tanto più aperto all’influenza dell’esempio quanto più gli mancheranno quelle due capacità… l’esempio agisce come mezzo che promuove la comparsa di qualità del carattere, buone e cattive; ma esso non le crea, perciò vale anche qui la sentenza di Seneca: «velle non discitur6»”.


1 Sull’utilità e il danno della storia per la vita, cap. 2.

2 Iliade, XXIV, 630.

3 Sofocle, fr. 636 R.

4 Cfr. Polibio, I, 1, 1: μηδεμίαν ἑτοιμοτέραν εἶναι τοῖς ἀνθρώποις διόρθωσιν τῆς τῶν προγεγενημένων πράξεων ἐπιστήμης, «non c’è nessuna correzione più a portata di mano per gli uomini della conoscenza dei fatti accaduti».

5 Parerga e paralipomena II, cap. 8, Sull’etica, 119.

6 Epistulae, 81, 13. Cfr. anche Epistulae, 6.

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