Continuo dal post precedente.
Dunque la rivendicazione delle proprie responsabilità distingue l’eroe tragico dall’uomo comune. Viceversa i personaggi meschini come messaggeri, araldi e guardie manifestano la loro volgarità giustificando l’esecuzione di un ordine infame con il fatto di eseguirlo contro la propria volontà. Così per esempio si esprime Taltibio nelle Troiane di Euripide quando comunica ad Andromaca che Astianatte sarà ucciso (vv. 709-711):
Φρυγῶν ἀρίστου πρίν ποθ’ Ἕκτορος δάμαρ,
μή με στυγήσῃς· οὐχ ἑκὼν γὰρ ἀγγελῶ.
Δαναῶν δὲ κοινὰ Πελοπιδῶν τ’ ἀγγέλματα.
«Moglie di Ettore, una volta, in precedenza, il migliore dei Frigi, / non odiarmi: infatti non di mia volontà annuncerò / gli annunci comuni dei Danai e dei Pelopidi».
Dopo aver tergiversato un po’ comunica infine la sentenza strappando ad Andromaca una delle più espressive esecrazioni della guerra (vv. 764-765):
ὦ βάρβαρ’ ἐξευρόντες Ἕλληνες κακά,
τί τόνδε παῖδα κτείνετ’ οὐδὲν αἴτιον;
«Oh Greci che avete inventato barbare atrocità, / perché uccidete questo bambino che non ha nessuna colpa?»1.
Restando su Euripide abbiamo un altro esempio nelle Baccanti, dove il “bravo” di Penteo, che gli ha ordinato di arrestare Dioniso, così si giustifica (vv. 441-442):
κἀγὼ δι’ αἰδοῦς εἶπον· Ὦ ξέν’, οὐχ ἑκὼν
ἄγω σε, Πενθέως δ’ ὅς μ’ ἔπεμψ’ ἐπιστολαῖς.
«Ed io per rispetto dissi: “Straniero, non di mia volontà / ti porto via, ma per ordini di Penteo che mi ha inviato”».
Come Platone la Repubblica, termino questa serie di esempi con il «mito di Er», un uomo che, dopo quella che noi chiameremmo un’esperienza di pre-morte, racconta quanto ha visto una volta che l’anima si è separata temporaneamente dal corpo. Tra le altre cose racconta anche la scelta della vita successiva che le anime devono compiere dopo essere state punite sotto terra o premiate in cielo per le azioni della vita precedente. Le vite a disposizione sono in numero maggiore rispetto alle anime e l’ordine con cui le anime si apprestano alla scelta è stabilito per sorteggio. Prima che procedano alla scelta si fa avanti un araldo con queste parole (617d-e):
Ἀνάγκης θυγατρὸς κόρης Λαχέσεως λόγος. Ψυχαὶ ἐφήμεροι, ἀρχὴ ἄλλης περιόδου θνητοῦ γένους θανατηφόρου. [e] οὐχ ὑμᾶς δαίμων λήξεται, ἀλλ’ ὑμεῖς δαίμονα αἱρήσεσθε. πρῶτος δ’ ὁ λαχὼν πρῶτος αἱρείσθω βίον ᾧ συνέσται ἐξ ἀνάγκης. ἀρετὴ δὲ ἀδέσποτον, ἣν τιμῶν καὶ ἀτιμάζων πλέον καὶ ἔλαττον αὐτῆς ἕκαστος ἕξει. αἰτία ἑλομένου· θεὸς ἀναίτιος.
«Parola di Lachesi vergine figlia di Ananke. Anime effimere, è il principio di un altro periodo del genere mortale portatore di morte. Non il dio sorteggerà voi, ma voi sceglierete il dio. Il primo sorteggiato scelga per primo una vita con cui sarà unito per necessità. La virtù è senza padrone, virtù che ciascuno avrà di più e di meno a seconda che la onori o la disprezzi. La responsabilità è di chi ha scelto: il dio è irresponsabile».
Qui Socrate interrompe il racconto per fare una considerazione (618b-c):
ἔνθα δή, ὡς ἔοικεν, ὦ φίλε Γλαύκων, ὁ πᾶς κίνδυνος ἀνθρώπῳ, καὶ διὰ ταῦτα μάλιστα [c] ἐπιμελητέον ὅπως ἕκαστος ἡμῶν τῶν ἄλλων μαθημάτων ἀμελήσας τούτου τοῦ μαθήματος καὶ ζητητὴς καὶ μαθητὴς ἔσται, ἐάν ποθεν οἷός τ’ ᾖ μαθεῖν καὶ ἐξευρεῖν τίς αὐτὸν ποιήσει δυνατὸν καὶ ἐπιστήμονα, βίον καὶ χρηστὸν καὶ πονηρὸν διαγιγνώσκοντα, τὸν βελτίω ἐκ τῶν δυνατῶν ἀεὶ πανταχοῦ αἱρεῖσθαι·
«Qui, pertanto, oh caro Glaucone, c’è tutto il rischio per un uomo, e per questo bisogna fare la massima attenzione che ciascuno di noi, trascurando gli altri apprendimenti, sia ricercatore e studioso di questo apprendimento, cioè se mai sia in grado di capire e trovare chi2 lo renderà capace e sapiente, distinguendo una vita buona e cattiva, nel scegliere sempre in ogni circostanza quella migliore tra le possibili».
Il racconto poi prosegue con la descrizione delle varie scelte, a cominciare dal primo sorteggiato, il quale si sceglie la vita di un tiranno senza considerare i particolari con attenzione e accorgendosi solo dopo delle terribili sciagure contenute in essa, come stragi e divoramenti di figli. Si dispera quindi attribuendo la colpa a tutti tranne che a sé stesso, senza attenersi alle parole dell’araldo. Così commenta Socrate (619c-d):
εἶναι δὲ αὐτὸν τῶν ἐκ τοῦ οὐρανοῦ ἡκόντων, ἐν τεταγμένῃ πολιτείᾳ ἐν τῷ προτέρῳ βίῳ βεβιωκότα, ἔθει [d] ἄνευ φιλοσοφίας ἀρετῆς μετειληφότα. ὡς δὲ καὶ εἰπεῖν, οὐκ ἐλάττους εἶναι ἐν τοῖς τοιούτοις ἁλισκομένους τοὺς ἐκ τοῦ οὐρανοῦ ἥκοντας, ἅτε πόνων ἀγυμνάστους· τῶν δ’ ἐκ τῆς γῆς τοὺς πολλούς, ἅτε αὐτούς τε πεπονηκότας ἄλλους τε ἑωρακότας, οὐκ ἐξ ἐπιδρομῆς τὰς αἱρέσεις ποιεῖσθαι.
«Era egli di quelli che erano giunti dal cielo, che aveva vissuto nella vita precedente in una costituzione ben ordinata, che aveva partecipato della virtù per abitudine senza filosofia3. E, per così dire, non erano in numero minore a essere colti in tali situazioni coloro che erano giunti dal cielo, in quanto non allenati alle sofferenze; invece i più tra quelli che erano arrivati dalla terra, siccome avevano sofferto essi stessi e avevano visto altri (soffrire), facevano le scelte non di fretta».
Anche qui, come si vede, l’accento è posto sulla responsabilità e consapevolezza delle scelte di ciascuno e vengono svalutati coloro che si comportano bene in modo “automatico”, ἔθει ἄνευ φιλοσοφίας, senza cioè una scelta consapevole.
1 Un tale rimprovero rivolto da una donna troiana agli Achei, apostrofati come Greci, non poteva non risuonare come un’accusa di barbarie rivolta agli Ateniesi per i crimini commessi contro l’isola di Melo nell’estate del 416 a. C., solo pochi mesi prima della messa in scena del dramma (primavera del 415); sull’episodio, come noto, ci ragguaglia Tucidide alla fine del V libro delle sue Storie.
2 Sull’importanza del maestro si sofferma anche Seneca, nel De vita beata, 1: Quam diu quidem passim uagamur non ducem secuti sed fremitum et clamorem dissonum in diuersa uocantium, conteretur uita inter errores breuis, etiam si dies noctesque bonae menti laboremus, «Di certo finché vaghiamo qua e là seguendo non una guida ma il brusío e le grida dissonanti di quelli che ci chiamano in direzioni opposte, la vita si consumerà e tra gli errori sarà breve, anche se ci sforzassimo giorno e notte per una buona mente», «Decernatur itaque et quo tendamus et qua, non sine perito aliquo cui explorata sint ea in quae procedimus, quoniam quidem non eadem hic quae in ceteris peregrinationibus condicio est: in illis comprensus aliquis limes et interrogati incolae non patiuntur errare at hic tritissima quaeque uia et celeberrima maxime decipit, «Si stabilisca dunque sia dove tendere sia per dove, non senza una persona esperta per cui siano stati esplorati quei campi verso cui procediamo, perché certamente qui la condizione non è la medesima che negli altri viaggi: in quelli un sentiero riconosciuto e gli abitanti interrogati non consentono di sbagliare strada, mentre qui tutte le vie più sono battute e frequentate più traggono in inganno».
3 Cfr. l’interessante e calzante osservazione di Leopardi (Zibaldone, 3316): «Sono moltissimi che amano, predicano, promuovono, ed esercitano esclusivamente la giustizia, l’onestà, l’ordine, l’osservanza delle leggi, la rettitudine, l’adempimento de’ doveri verso chi che sia, l’equa dispensazione de’ premi e delle pene, la fuga delle colpe; ma ciò non per virtù, né come virtù, non per finezza o grandezza o forza compostezza d’animo, non per inclinazione , non per passione, ma per viltà e povertà di cuore, per infingardaggine, per inattività, per debolezza esteriore o interiore, perché non potendo (per debolezza) o non volendo (per pigrizia) o non osando (per codardia) né provvedersi né difendersi da se stessi, vogliono che la legge e la società vegli p. loro, e provvegga loro e li difenda senza loro fatica».