mercoledì 9 aprile 2025

Il «ratto delle Sabine» secondo Ovidio – Ars amatoria, I, 89-134

 

vv. 89-134

Sed tu praecipue curvis venare theatris:

Haec loca sunt voto fertiliora tuo.

Illic invenies quod ames, quod ludere possis,

Quodque semel tangas, quodque tenere velis.

vv. 89-92: «Ma tu in particolare va’ a caccia nei curvi teatri: / questi luoghi sono piuttosto fruttuosi per il tuo desiderio. / Là troverai quella da amare, quella con cui poter giocare, / quella da toccare una volta sola e quella da voler trattenere».

Ut redit itque frequens longum formica per agmen,

Granifero solitum cum vehit ore cibum,

Aut ut apes saltusque suos et olentia nactae

Pascua per flores et thyma summa volant,

Sic ruit ad celebres cultissima femina ludos:

Copia iudicium saepe morata meum est.

vv. 93-98: «Come la formica viene e va in folla per una lunga schiera, / quando trasporta con il grano in bocca il solito cibo, / o come le api che, imbattendosi (da nanciscor) nei loro boschi e nei profumati / pascoli, volano per i fiori e le cime del timo, / così la donna, curatissima, si precipita agli affollati giochi:»
Spectatum veniunt, veniunt spectentur ut ipsae:

Ille locus casti damna pudoris habet.

Primus sollicitos fecisti, Romule, ludos,

Cum iuvit viduos rapta Sabina viros.

vv. 99-102: «Per guardare vanno, vanno per essere guardate esse stesse: / quel luogo comporta danni al casto pudore (è però un genitivo, sarebbe «del casto pudore»). / Tu per primo, Romolo, hai reso inquietanti i giochi, / quando la Sabin rapita piacque agli eroi senza moglie».

Tunc neque marmoreo pendebant vela theatro,

Nec fuerant liquido pulpita rubra croco;

Illic quas tulerant nemorosa Palatia, frondes

Simpliciter positae, scena sine arte fuit;

In gradibus sedit populus de caespite factis,

Qualibet hirsutas fronde tegente comas.

vv. 103-108: «Allora non pendevano teloni su un teatro di marmo, / né il palcoscenico era rosso di liquido croco; / là fronde, che i boschi del Palatino avevano fornito, / appoggiate con semplicità costituivano la scena, senza artificio; / la gente sedeva su gradinate fatte di zolle, / e una fronda qualsiasi copriva le ispide chiome».

Respiciunt, oculisque notant sibi quisque puellam

Quam velit, et tacito pectore multa movent.

vv. 109-110: «Si guardano intorno, e con gli occhi ciascuno designa per sé la fanciulla / che vuole, e molte emozioni agita nel cuore silenzioso».

Dumque, rudem praebente modum tibicine Tusco,

Ludius aequatam ter pede pulsat humum,

In medio plausu (plausus tunc arte carebant)

Rex populo praedae signa petita dedit.

Protinus exiliunt, animum clamore fatentes,

Virginibus cupidas iniciuntque manus.

vv. 111-116: «E mentre, al ritmo rozzo prodotto da un flautista etrusco, / un istrione batte col piede per tre volte il terreno spianato, / nel bel mezzo dell’applauso (allora gli applausi erano privi di artificio) / il re dà al suo popolo il segnale richiesto per il bottino».

Ut fugiunt aquilas, timidissima turba, columbae,

Ut fugit invisos agna novella lupos:

Sic illae timuere viros sine more ruentes;

Constitit in nulla qui fuit ante color.

vv. 117-120: «Si buttano addosso, manifestando con un grido l’ardore, / e scagliano sulle vergini le cupide mani. / Come le colombe, confuse e in preda alla paura, fuggono le aquile, / come una giovane agnellina fugge gli odiati lupi: / così quelle si impaurirono davanti ai maschi che si precipitavano senza ritegno; / in nessuna rimase il coloro che c’era prima».

Nam timor unus erat, facies non una timoris:

Pars laniat crines, pars sine mente sedet;

Altera maesta silet, frustra vocat altera matrem:

Haec queritur, stupet haec; haec manet, illa fugit;

vv. 121-124: «Infatti la paura era una, non uno era l’aspetto della paura. / Una parte si strappa i capelli, una parte sta seduta senza ragionare; / una tace triste, un’altra chiama invano la madre; / questa piange, quest’altra è allibita; questa rimane ferma, quella fugge».

Ducuntur raptae, genialis praeda, puellae,

Et potuit multas ipse decere timor.

Siqua repugnarat nimium comitemque negabat,

Sublatam cupido vir tulit ipse sinu,

Atque ita 'quid teneros lacrimis corrumpis ocellos?

Quod matri pater est, hoc tibi' dixit 'ero.'

vv. 125-130: «Le fanciulle vengono portate via rapite, bottino nunziale, / e a molte la paura potè essere un ornamento. / Se qualcuna aveva recalcitrato troppo e si era negata al compagno, / il maschio stesso dopo averla sollevata la prese al petto bramoso / e così: ‘Perché sciupi i teneri occhietti con le lacrime? / Ciò che il babbo è per la mamma, questo’ disse ‘sarò per te’».

Romule, militibus scisti dare commoda solus:

Haec mihi si dederis commoda, miles ero.

Scilicet ex illo sollemnia more theatra

Nunc quoque formosis insidiosa manent.

vv. 131-134: «Oh Romolo, tu solo hai saputo dare questi vantaggi ai soldati. / Se mi darai questi vantaggi, sarò un soldato. / Ovviamente, da quella solenne usanza, i teatri / anche ora rimangono pieni di trappole per le belle ragazze».

Nessun commento:

Posta un commento