lunedì 14 aprile 2025

Quid enim turpius philosophia captante clamores? – Seneca, Epistulae, 52

 

 La filosofia messa in vendita


9. Quid enim turpius philosophia captante clamores?

«9. Cosa infatti è più vergognoso della filosofia che va a caccia di approvazione?

11 Quanta autem dementia eius est quem clamores imperitorum hilarem ex auditorio dimittunt! Quid laetaris quod ab hominibus his laudatus es quos non potes ipse laudare?

«11. Quanto grande è poi la stoltezza di colui che le acclamazioni degli ignoranti congedano tutto contento! Perché ti rallegri del fatto di essere stato lodato da questi uomini che tu stesso non puoi lodare?».

[12] Intersit aliquid inter clamorem theatri et scholae: est aliqua et laudandi elegantia. Omnia rerum omnium, si observentur, indicia sunt, et argumentum morum ex minimis quoque licet capere: inpudicum et incessus ostendit et manus mota et unum interdum responsum et relatus ad caput digitus et flexus oculorum; inprobum risus, insanum vultus habitusque demonstrat. Illa enim in apertum per notas exeunt: qualis quisque sit scies, si quemadmodum laudet, quemadmodum laudetur aspexeris.

«[12] Ci sia una qualche differenza tra il clamore del teatro e quello della scuola: c’è un’eleganza anche nel lodare. Tutto, se si osserva, è indizio di tutto: lo spudorato è denunciato dall’incedere e dal movimento di una mano e talvolta da una sola risposta e da un dito portato al capo e dal volgersi degli occhi; il malvagio da una risata, il pazzo dallo sguardo e dal contegno. Quelle caratteristiche infatti escono all’aperto attraverso segni: tu saprai quale ciascuna sia se avrai guardato come loda, come è lodato».

[13] Hinc atque illinc philosopho manus auditor intentat et super ipsum caput mirantium turba consistit: non laudatur ille nunc, si intellegis, sed conclamatur. Relinquantur istae voces illis artibus quae propositum habent populo placere: philosophia adoretur. Permittendum erit aliquando iuvenibus sequi impetum animi, tunc autem cum hoc ex impetu facient, cum silentium sibi imperare non poterunt; talis laudatio aliquid exhortationis adfert ipsis audientibus et animos adulescentium exstimulat.

«[13] L’uditore tende le mani al filosofo di qua e di là e la folla degli ammiratori si ferma sulla sua stessa testa: non è lodato egli in quel momento, se capisci, ma acclamato. Sia lasciato questo vociare a quelle arti che hanno lo scopo di piacere alla gente: la filosofia sia venerata. Si dovrà permettere ogni tanto ai ragazzi di seguire l’istinto, allora però quando lo faranno appunto d’istino, quando non potranno imporre a sé stessi il silenzio; una lode siffatta comporta una forma di incoraggiamento per l’uditorio stesso e stimola gli animi dei giovani».

14. <At> ad rem commoveantur, non ad verba composita; alioquin nocet illis eloquentia, si non rerum cupiditatem facit sed sui.

«14. Ma si emozionino per la sostanza, non per le belle parole; altrimenti l’eloquenza nuocerà loro, se produce passione non per i contenuti ma per se stessa».

15. Damnum quidem fecisse philosophiam non erit dubium postquam prostituta est; sed potest in penetralibus suis ostendi, si modo non institorem sed antistitem nancta est.

«15. Di certo non ci sarà dubbio che la filosofia ha cagionato un danno da quando si è prostituita; ma può mostrarsi nei suoi santuari, se solo ha trovato non un venditore ma un sacerdote».


 Si può accostare questa degenerazione della filosofia a quella della politica che, avendo come unico scopo il catturare il consenso, captare clamores, si accontenta di essere applaudita dai più, come fanno gli imbonitori.

 Diversamente si comportava il Pericle descritto da Tucidide, rappresentante della prima democrazia della storia, ἀνὴρ κατ' ἐκεῖνον τὸν χρόνον πρῶτος Ἀθηναίων, λέγειν τε καὶ πράσσειν δυνατώτατος, l’uomo che in quel tempo era il primo degli Ateniesi, e il più capace nel parlare e nell’agire (StorieI, 139, 5):

ἐκεῖνος μὲν δυνατὸς ὢν τῷ τε ἀξιώματι καὶ τῇ γνώμῃ χρημάτων τε διαφανῶς ἀδωρότατος γενόμενος κατεῖχε τὸ πλῆθος ἐλευθέρως, καὶ οὐκ ἤγετο μᾶλλον ὑπ' αὐτοῦ ἢ αὐτὸς ἦγε, διὰ τὸ μὴ κτώμενος ἐξ οὐ προσηκόντων τὴν δύναμιν πρὸς ἡδονήν τι λέγειν, ἀλλ' ἔχων ἐπ' ἀξιώσει καὶ πρὸς ὀργήν τι ἀντειπεῖν. 
«quello essendo potente grazie alla stima di cui godeva e all’ingegno ed essendo manifestamente incorruttibile, dominava la massa lasciandola libera, e non ne era guidato più di quanto non la guidasse, per il fatto che non diceva niente per compiacerla cercando di conquistare il potere con mezzi non convenienti, ma potendo, grazie alla reputazione, anche contraddirlo fino a farla adirare» (Storie, II, 65, 8).


 Una valutazione negativa della figura di Pericle, e in generale dei politici ateniesi (ma si adatta a molte epoche), si trova nel Gorgia di Platone; così si rivolge Socrate a Callicle (518e-519a), insistendo sul fatto che quelli che sono considerati i grandi statisti della generazione precedente (storicamente sono quelli che hanno fatto grande Atene) non hanno reso migliori i cittadini ma solamente ingrassati:

518 [e] ἐγκωμιάζεις ἀνθρώπους, οἳ τούτους εἱστιάκασιν εὐωχοῦντες ὧν ἐπεθύμουν. καί φασι μεγάλην τὴν πόλιν πεποιηκέναι αὐτούς· ὅτι δὲ οἰδεῖ καὶ ὕπουλός ἐστιν [519] [a] δι' ἐκείνους τοὺς παλαιούς, οὐκ αἰσθάνονται. ἄνευ γὰρ σωφροσύνης καὶ δικαιοσύνης λιμένων καὶ νεωρίων καὶ τειχῶν καὶ φόρων καὶ τοιούτων φλυαριῶν ἐμπεπλήκασι τὴν πόλιν· ὅταν οὖν ἔλθῃ ἡ καταβολὴ αὕτη τῆς ἀσθενείας, τοὺς τότε παρόντας αἰτιάσονται συμβούλους, Θεμιστοκλέα δὲ καὶ Κίμωνα καὶ Περικλέα ἐγκωμιάσουσιν, τοὺς αἰτίους τῶν κακῶν.

«Elogi uomini, che hanno nutrito questi (cioè i cittadini Ateniesi, N.d.T) ingrassandoli di ciò che bramavano. E dicono che quelli hanno reso grande la città; ma non si accorgono che a causa di quelli di un tempo è gonfia e purulenta. Senza moderazione e senza giustizia, infatti, hanno riempito la città di porti e di arsenali e di mura e di tributi e simili fandonie; qualora poi giungesse il principio della decadenza, incolperanno i consiglieri presenti allora e elogeranno Temistocle e Cimone e Pericle, i responsabili dei mali».

Nessun commento:

Posta un commento