Nel primo stasimo delle Baccanti di Euripide, al verso 395, il coro avverte:
e subito dopo, al v. 396, aggiunge: τό τε μὴ θνητὰ φρονεῖν, «e anche il concepire pensieri non mortali». Nel primo episodio, ai vv. 200-203, Tiresia aveva ammonito che i sofismi della ragione non hanno potere nei rapporti con le divinità: οὐδὲν σοφιζόμεσθα τοῖσι δαίμοσιν. / πατρίους παραδοχάς, ἅς θ’ ὁμήλικας χρόνῳ / κεκτήμεθ’, οὐδεὶς αὐτὰ καταβαλεῖ λόγος, / οὐδ’ εἰ δι’ ἄκρων τὸ σοφὸν ηὕρηται φρενῶν, «noi non abbiamo nessuna capacità intellettuale in confronto agli dèi. / Le tradizioni patrie, quelle che possediamo della stessa età del tempo, / nessun ragionamento le abbatterà, / neanche se il sapere viene trovato attraverso menti acute».
Viene qui posto il problema di cosa sia la sapienza; Euripide la mette in antitesi al sapere; io aggiungo una spiegazione in questi termini: τὸ σοφὸν, «il sapere», in quanto neutro, indica qualcosa che è sterile, incapace di creare e quindi estraneo alla vita; al contrario, la σοφία, «la sapienza», in quanto femmina, è una potenza1 creatrice e fonte di vita. I significati con cui si possono declinare i due termini abbracciano diversi ambiti: ne affronterò due. Uno è quello che individua nel sapere la sterilità dell’erudizione e nella sapienza la vitalità della cultura2; l’altro è quello del rapporto tra la dimensione limitata del sapere tecnologico e scientifico da un lato e quella assoluta delle implicazioni morali e religiose dall’altro.
Accostiamoci al concetto di σοφία con le parole di Nietzsche, contestualizzandolo all’interno del genere letterario da cui abbiamo preso le mosse, la tragedia:
All'enorme coraggio e saggezza di Kant e Schopenhauer è riuscito di cogliere la vittoria più difficile, la vittoria sull'ottimismo che si cela nell'esistenza della logica [...] Con questa concezione è stata introdotta una cultura che io oso designare come tragica: la sua principale caratteristica consiste nell'elevare a meta suprema, in luogo della scienza, la sapienza3.
La sapienza dunque viene da Nietzsche definita in antitesi alla scienza basata sulla logica, tipica dell’uomo teoretico, il cui capostipite è Socrate:
l'uomo teoretico si spaventa delle conseguenze da lui prodotte e, insoddisfatto, non osa più affidarsi al terribile fiume ghiacciato dell'esistenza: angosciosamente egli corre su e giù lungo la riva [...] Egli rimane l'eterno affamato, il «critico» senza piacere e senza forza, l’uomo alessandrino, che è in fondo un bibliotecario e un emendatore, e si acceca miseramente sulla polvere dei libri e sugli errori di stampa4.
Se alla sapienza associamo il sapiente, al sapere possiamo associare la figura dell’erudito, o dotto5, incarnata, secondo Nietzsche, da quella del filologo, uno dei suoi bersagli polemici preferiti6, in quanto si concentra sui dettagli perdendo la visione d’insieme:
egli sciupa la sua vita strappando e ricucendo insieme brandelli omerici, che in precedenza ha rubato, togliendoli a un abito splendido […] Vi sono infine coloro che promettono di risolvere una questione come quella omerica, prendendo lo spunto dalle preposizioni, e credono di tirare su la verità dal pozzo, servendosi di ἀνά e di κατά7.
1 La potenza, analogamente, si contrappone al potere: la prima è al servizio della comunità (cfr. Seneca, Epistulae, 90, 5: officium erat imperare, non regnum,«comandare era un dovere, non esercizio del potere»), mentre il secondo è al servizio di chi lo esercita; in tali termini Tiresia mette in guardia Penteo (Baccanti, vv. 309-310): ἀλλ’ ἐμοί, Πενθεῦ, πιθοῦ· / μὴ τὸ κράτος αὔχει δύναμιν ἀνθρώποις ἔχειν, «suvvia, Penteo, dammi retta: / non presumere che il potere abbia potenza per gli uomini». La presunzione di Penteo è quella di non riconoscere Dioniso, ma finirà male ἐπεὶ τό γε λοιδορῆσαι θεούς / ἐχθρὰ σοφία, «perché oltraggiare gli dèi / è odiosa sapienza» (Pindaro, Olimpiche, IX, 37-38).
2 «La cultura, tuttavia, comincia proprio dal punto in cui si sa trattare ciò che è vivo come qualcosa di vivo» (Nietzsche, Sull’avvenire delle nostre scuole, Milano, Adelphi, 1975, p. 43).
3 La nascita della tragedia, cap. 18.
4 Ivi.
5 Definito anche “filisteo”. In tal modo si esprime in Così parlò Zarathustra, Parte quarta, Dell’uomo superiore, 9: «Guardatevi anche dai dotti! Essi vi odiano: perché sono sterili! Essi hanno occhi freddi ed asciutti, davanti a loro ogni uccello giace spennato». Del resto poco prima aveva detto (Parte seconda, Dei dotti): «Io sono uscito dalla casa dei dotti: e per giunta ho sbattuto la porta alle mie spalle […] Loro invece siedono freddi nell’ombra fredda: in tutto non vogliono essere che spettatori, e si guardano bene dal mettersi a sedere dove il sole arde i gradini». Cfr. anche La gaia scienza, Libro quinto, 366: «Davanti a un libro erudito. Il libro di un erudito rispecchia sempre un’anima incurvata».
6 In una lettera a Paul Dessen (circa il 20 ottobre 1968) scrive: «Se devo parlare anche io per metafore, dirò che la filologia è un aborto della dea filosofia che la generò assieme a un idiota o a un cretino. Peccato che Platone non abbia già escogitato questo mito; a lui crederesti più che a me, e con ragione».
7 Sull’avvenire delle nostre scuole, pp. 69-71.
p.s.
Statistiche del blog:
Sempre: 80361
Oggi: 1400
Ieri: 1251
Questo mese: 26874
Il mese scorso: 15244
Nessun commento:
Posta un commento