Ritratto postumo - II, 65, 5-9
ὅσον τε γὰρ χρόνον προύστη τῆς πόλεως ἐν τῇ εἰρήνῃ, μετρίως ἐξηγεῖτο καὶ ἀσφαλῶς διεφύλαξεν αὐτήν… καὶ ἐπειδὴ ἀπέθανεν, ἐπὶ πλέον ἔτι [7] ἐγνώσθη ἡ πρόνοια αὐτοῦ ἡ ἐς τὸν πόλεμον. ὁ μὲν γὰρ ἡσυχάζοντάς τε καὶ τὸ ναυτικὸν θεραπεύοντας καὶ ἀρχὴν μὴ ἐπικτωμένους ἐν τῷ πολέμῳ μηδὲ τῇ πόλει κινδυνεύοντας ἔφη περιέσεσθαι· οἱ δὲ ταῦτά τε πάντα ἐς τοὐναντίον ἔπραξαν… ἃ κατορθούμενα μὲν τοῖς ἰδιώταις τιμὴ καὶ ὠφελία μᾶλλον ἦν, σφαλέντα δὲ τῇ πόλει ἐς [8] τὸν πόλεμον βλάβη καθίστατο. αἴτιον δ' ἦν ὅτι ἐκεῖνος μὲν δυνατὸς ὢν τῷ τε ἀξιώματι καὶ τῇ γνώμῃ χρημάτων τε διαφανῶς ἀδωρότατος γενόμενος κατεῖχε τὸ πλῆθος ἐλευθέρως, καὶ οὐκ ἤγετο μᾶλλον ὑπ' αὐτοῦ ἢ αὐτὸς ἦγε, διὰ τὸ μὴ κτώμενος ἐξ οὐ προσηκόντων τὴν δύναμιν πρὸς ἡδονήν τι λέγειν, ἀλλ' ἔχων ἐπ' ἀξιώσει καὶ πρὸς ὀργήν τι ἀντειπεῖν… ἐγίγνετό τε λόγῳ [10] μὲν δημοκρατία, ἔργῳ δὲ ὑπὸ τοῦ πρώτου ἀνδρὸς ἀρχή.
«Infatti per tutto il tempo in cui fu a capo della città durante la pace, la guidava con moderazione e la protesse con sicurezza… e dopo che morì, ancora di più fu riconosciuta la sua lungimiranza1 per la guerra. Egli infatti disse che se fossero stati tranquilli e si fossero curati della flotta e non avessero ingrandito l’impero nel corso della guerra né avessero fatto rischiare la città avrebbero prevalso2: quelli però fecero tutto il contrario… cose che se avessero avuto successo sarebbero state più un onore e un vantaggio per degli individui, mentre se fossero fallite avrebbero costituito per la città un danno alla guerra. La causa era il fatto che quello essendo potente grazie alla stima di cui godeva e all’ingegno ed essendo manifestamente incorruttibile, dominava la massa lasciandola libera, e non ne era guidato più di quanto non la guidasse, per il fatto che non diceva niente per compiacerla3 cercando di conquistare il potere con mezzi non convenienti, ma potendo, grazie alla reputazione, anche contraddirlo fino a farla adirare… Era a parole una democrazia, ma di fatto il dominio da parte del primo uomo».
Una valutazione negativa della figura di Pericle, ma in generale dei politici ateniesi, si trova nel Gorgia di Platone; così si rivolge Socrate a Callicle (518e-519a):
518 [e] ἐγκωμιάζεις ἀνθρώπους, οἳ τούτους εἱστιάκασιν εὐωχοῦντες ὧν ἐπεθύμουν. καί φασι μεγάλην τὴν πόλιν πεποιηκέναι αὐτούς· ὅτι δὲ οἰδεῖ καὶ ὕπουλός ἐστιν [519] [a] δι' ἐκείνους τοὺς παλαιούς, οὐκ αἰσθάνονται. ἄνευ γὰρ σωφροσύνης καὶ δικαιοσύνης λιμένων καὶ νεωρίων καὶ τειχῶν καὶ φόρων καὶ τοιούτων φλυαριῶν ἐμπεπλήκασι τὴν πόλιν· ὅταν οὖν ἔλθῃ ἡ καταβολὴ αὕτη τῆς ἀσθενείας, τοὺς τότε παρόντας αἰτιάσονται συμβούλους, Θεμιστοκλέα δὲ καὶ Κίμωνα καὶ Περικλέα ἐγκωμιάσουσιν, τοὺς αἰτίους τῶν κακῶν.
«Elogi uomini, che hanno nutrito questi4 ingrassandoli di ciò che bramavano. E dicono che quelli hanno reso grande la città; ma non si accorgono che a causa di quelli di un tempo è gofia e purulenta. Senza moderazione e senza giustizia, infatti, hanno riempito la città di porti e di arsenali e di mura e di tributi e simili fandonie; qualora poi giungesse il principio della decadenza, incolperanno i consiglieri presenti allora e elogeranno Temistocle e cimone e Pericle, i responsabili dei mali».
1 Tale qualità è particolarmente apprezzata da Tucidide, che la attribuisce in massimo grado però a un altro condottiero ateniese (quello più ammirato), Temistocle (I, 138, 3): Ἦν γὰρ ὁ Θεμιστοκλῆς βεβαιότατα δὴ φύσεως ἰσχὺν δηλώσας καὶ διαφερόντως τι ἐς αὐτὸ μᾶλλον ἑτέρου ἄξιος θαυμάσαι· οἰκείᾳ γὰρ ξυνέσει καὶ οὔτε προμαθὼν ἐς αὐτὴν οὐδὲν οὔτ' ἐπιμαθών, τῶν τε παραχρῆμα δι' ἐλαχίστης βουλῆς κράτιστος γνώμων καὶ τῶν μελλόντων ἐπὶ πλεῖστον τοῦ γενησομένου ἄριστος εἰκαστής· καὶ ἃ μὲν μετὰ χεῖρας ἔχοι, καὶ ἐξηγήσασθαι οἷός τε, ὧν δ' ἄπειρος εἴη, κρῖναι ἱκανῶς οὐκ ἀπήλλακτο· τό τε ἄμεινον ἢ χεῖρον ἐν τῷ ἀφανεῖ ἔτι προεώρα μάλιστα. καὶ τὸ ξύμπαν εἰπεῖν φύσεως μὲν δυνάμει, μελέτης δὲ βραχύτητι κράτιστος δὴ οὗτος αὐτοσχεδιάζειν [4] τὰ δέοντα ἐγένετο, «Temistocle era infatti un uomo che aveva mostrato nel modo più sicuro forza di ingegno e fu in questo degno di ammirazione straordinariamente più di chiunque altro; infatti con la propria intelligenza senza aver appreso nulla per quella né prima né dopo, nelle risoluzioni immediate, con una brevissima riflessione era bravissimo e per le cose che sarebbero accadute era il migliore a fare congetture per la maggior parte del tempo futuro; e le questioni che aveva tra le mani, era anche in grado di spiegarle, mentre su quelle di cui non aveva esperienza, non si sottrasse dal formulare adeguatamente un giudizio; il meglio o il peggio, quando ancora era nell’oscurità, lo prevedeva benissimo. E per dirla tutta, per potenza d’ingegno e brevità di studio questo fu il più bravo a improvvisare le soluzioni di cui c’era bisogno».
Questa capacità di fare congetture si può assimilare alla «discrezione» di Guicciardini che così ne parla (Ricordi): «6. È grande errore parlare delle cose del mondo indistintamente e assolutamente e, per dire così, per regola; perché quasi tutte hanno distinzione e eccezione per la varietà delle circunstanze, le quali non si possono fermare con una medesima misura: e queste distinzione e eccezione non si truovano scritte in su' libri, ma bisogna le insegni la discrezione. 186. Non si può in effetto procedere sempre con una regola indistinta e ferma. Se è molte volte inutile lo allargarsi nel parlare etiam cogli amici - dico di cose che meritino essere tenute segrete - da altro canto el fare che gli amici si accorghino che tu stai riservato con loro, è la via a fare che anche loro faccino el medesimo teco: perché nessuna cosa fa altrui confidarsi di te che el presupporsi che tu ti confidi di lui; e così, non dicendo a altri, ti togli la facultà di sapere da altri. Però e in questo e in molte altre cose bisogna procedere distinguendo la qualità delle persone, de' casi e de' tempi, e a questo è necessaria la discrezione: la quale se la natura non t'ha data, rade volte si impara tanto che basti con la esperienza; co' libri non mai».
In un altro dei Ricordi (191), pur mettendo in guardia contro la fretta nel valutare, elogia tuttavia la rapidità nell’eseguire: «Non si può biasimare gli uomini che siano lunghi nel risolversi, perché, se bene accaggiono delle cose nelle quali è necessario deliberare presto, pure per lo ordinario erra più chi delibera presto che chi delibera tardi. Ma da riprendere è sommamente la tardità dello essequire, poi che si è fatta la resoluzione, la quale si può dire che nuoca sempre e non giovi mai se non per acidente. E ve lo dico perché ve ne guardiate, atteso che in questo molti errano o per ignavia o per fuggire molestia o per altra cagione».
2 Cfr. supra il primo discorso (I, 143-144).
3 Questa compiacenza, da cui Pericle era esente e che implicitamente è attribuita ai demagoghi che gli sono succeduti, è rimproverata da Seneca alla filosofia (Epistulae, 52): 9. Quid enim turpius philosophia captante clamores?, «9. Cosa infatti è più vergognoso della filosofia che va a caccia di approvazione?» […] 11 Quanta autem dementia eius est quem clamores imperitorum hilarem ex auditorio dimittunt! Quid laetaris quod ab hominibus his laudatus es quos non potes ipse laudare?, «11. Quanto grande è poi la stoltezza di colui che le acclamazioni degli ignoranti congedano tutto contento! Perché ti rallegri del fatto di essere stato lodato da questi uomini che tu stesso non puoi lodare?» […] 14. <At> ad rem commoveantur, non ad verba composita; alioquin nocet illis eloquentia, si non rerum cupiditatem facit sed sui, «14. Ma si emozionino per la sostanza, non per le belle parole; altrimenti l’eloquenza nuocerà loro, se produce passione non per i contenuti ma per se stessa». […] 15. Damnum quidem fecisse philosophiam non erit dubium postquam prostituta est; sed potest in penetralibus suis ostendi, si modo non institorem sed antistitem nancta est, «15. Di certo non ci sarà dubbio che la filosofia ha cagionato un danno da quando si è prostituita; ma può mostrarsi nei suoi santuari, se solo ha trovato non un venditore ma un sacerdote».
4 Si riferisce ai cittadini ateniesi.
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