οὗτος δ' ὁ δαίμων ὁ νέος, ὃν σὺ διαγελᾷς,
οὐκ ἂν δυναίμην μέγεθος ἐξειπεῖν ὅσος
καθ' Ἑλλάδ' ἔσται. δύο γάρ, ὦ νεανία,
τὰ πρῶτ' ἐν ἀνθρώποισι· Δημήτηρ θεά ‑ 275
Γῆ δ' ἐστίν, ὄνομα δ' ὁπότερον βούλῃ κάλει·
αὕτη μὲν ἐν ξηροῖσιν ἐκτρέφει βροτούς·
ὃς δ' ἦλθ' ἔπειτ', ἀντίπαλον ὁ Σεμέλης γόνος
βότρυος ὑγρὸν πῶμ' ηὗρε κἀσηνέγκατο
θνητοῖς, ὃ παύει τοὺς ταλαιπώρους βροτοὺς 280
λύπης, ὅταν πλησθῶσιν ἀμπέλου ῥοῆς,
ὕπνον τε λήθην τῶν καθ' ἡμέραν κακῶν
δίδωσιν, οὐδ' ἔστ' ἄλλο φάρμακον πόνων.
οὗτος θεοῖσι σπένδεται θεὸς γεγώς,
ὥστε διὰ τοῦτον τἀγάθ' ἀνθρώπους ἔχειν.1
1 272-285: «Questa divinità, quella nuova, che tu deridi, / io non potrei dirne la grandezza, quanto / importante sarà in Grecia; due cose infatti, ragazzo, / hanno il primato tra gli uomini: la dea Demetra – / ed è la Terra, chiamala col quello tra i due nomi che vuoi; / questa nutre i mortali negli alimenti secchi; / quello che venne dopo, il figlio di Semele, come contrappeso / inventò e introdusse tra i mortali l’umida succo / del grappolo, che fa cessare gli infelici, destinati a morire, / dal dolore, quando si riempiano del liquore della vite, / e il sonno, oblio dai mali quotidiani, / concede, né c’è altro rimedio dalle pene. / Questo, che è un dio, viene libato agli dèi, / sicché grazie a questo gli uomini hanno il bene».
– Ciò che è alla base di questo passo è (1) la tradizionale opposizione del Secco e dell’Umido (τὸ ξηρόν e τὸ ὑγρόν) come elementi del corpo dell’universo e del corpo umano che risalgono al pensiero ionico; e (2) l’identificazione che il V compie di Demetra e Dioniso con le forme più preziose di Secco e Umido, rispettivamente pane e vino. Per il secondo punto cfr. l’opinione del sifista Prodico di Ceo (Sext. Emp., Adv. math., IX, 18 = 84 B5 D-K): Πρόδικος δὲ ὁ Κεῖος "ἥλιόν" φησι "καὶ σελήνην καὶ ποταμοὺς καὶ κρήνας καὶ καθόλου πάντα τὰ ὠφελοῦντα τὸν βίον ἡμῶν οἱ παλαιοὶ θεοὺς ἐνόμισαν διὰ τὴν ἀπ' αὐτῶν ὠφέλειαν, καθάπερ Αἰγύπτιοι τὸν Νεῖλον"· καὶ διὰ τοῦτο τὸν μὲν ἄρτον Δήμητραν νομισθῆναι, τὸν δὲ οἶνον Διόνυσον, «Prodico di Ceo dice: “gli antichi considerarono dèi il sole e la luna e i fiumi e le fonti e in generale tutte le cose utili alla nostra vita per l’utilità che ne deriva, come gli Egizi il Nilo”; e per questo il pane fu considerato Demetra e il vino Dioniso». Sebbene Euripide fosse più anziano di Prodico, come anche di Socrate, la tradizione biografica ne fa un suo discepolo (cfr. Gellio, XV, 20, 4: auditor fuit physici Anaxagorae et Prodici rhetoris, in morali philosophia Socratis, «fu uditore del fisico Anassagora e del retore Prodico, e in filosofia morale di Socrate»); sicuramente in ogni caso poteva avere familiarità con il suo punto di vista. È stato ritenuto sorprendente che a pronunciare tali parole, che richiamano questa dottrina ateistica, sia il pio Tiresia, soprattutto dopo l’affermazione οὐδὲν σοφιζόμεσθα τοῖσι δαίμοσιν del v. 200 – e sarebbe sorprendente se la tale dottrina fosse davvero ateistica. Sebbene Prodico a volte figurasse in liste di antichi ἄθεοι, è lecito affermare che egli “abbia posto la divinità su una base solida” (Them., 30 = 84 B5 D-K; la testimonianza però è analoga a quella precedente). Era evidentemente, secondo Dodds, la posizione ambigua dei “modernisti” ed è per questo che è ripresa dal modernista Tiresia. La stessa cosa fecero più tardi gli stoici che dematerializzarono e spersonalizzarono gli dèi senza però cessare di concepirli come motivo di adorazione. Né la teoria, così concepita, era del tutto anacronistica. Demetra e Dioniso sono sempre stati antropomorfi. Sia che Δη-μήτηρ significhi la Madre Terra o, come sembra più probabile, la Madre dei Cereali, Tiresia è nel giusto a proposito della sua essenziale natura.
276 – Γῆ δ' ἐστίν: la medesima identificazione si trova in Fenicie, 685-686, Δαμάτηρ θεά, / πάντων ἄνασσα, πάντων δὲ Γᾶ τροφός, «Dea Demetra, / signora di tutte le creature, Terra nutrice di tutte le creature». Per l’indifferenza dei nomi cfr. Eschilo, Prometeo, 209-210, Θέμις / καὶ Γαῖα, πολλῶν ὀνομάτων μορφὴ μία, «Temide / e Terra, di molti nomi una sola forma». Si tratta della Magna Mater, la dea delle società matriarcali del Mediterraneo che cambia nome a seconda delle regioni e delle civiltà; i più diffusi sono Cibele e Rea, che abbiamo già visto.
284 – σπένδεται θεὸς: l’espressione ha un’eco in San Paolo (2 Tim., 4, 6) Ἐγὼ γὰρ ἤδη σπένδομαι, «io ormai, infatti, sono offerto come libagione».
Nessun commento:
Posta un commento