οὐκ ἀποτινάξεις κισσόν; οὐκ ἐλευθέραν
θύρσου μεθήσεις χεῖρ', ἐμῆς μητρὸς πάτερ;
σὺ ταῦτ' ἔπεισας, Τειρεσία· τόνδ' αὖ θέλεις 255
τὸν δαίμον' ἀνθρώποισιν ἐσφέρων νέον
σκοπεῖν πτερωτὰ κἀμπύρων μισθοὺς φέρειν.
εἰ μή σε γῆρας πολιὸν ἐξερρύετο,
καθῆσ' ἂν ἐν βάκχαισι δέσμιος μέσαις,
τελετὰς πονηρὰς εἰσάγων· γυναιξὶ γὰρ 260
ὅπου βότρυος ἐν δαιτὶ γίγνεται γάνος,
οὐχ ὑγιὲς οὐδὲν ἔτι λέγω τῶν ὀργίων.1
1 253-262: «Non ti scrollerai di dosso l’edera? Non lascerai / la mano libera dal tirso, tu padre di mia madre? / Tu l’hai persuaso a questo, Tiresia; tu vuoi, / introducendo una nuova divinità tra gli uomini, / osservare esseri pennuti e guadagnare compensi dai sacrifici. / Se la canuta vecchiaia non ti salvasse, / te ne staresti in catene in mezzo alle baccanti, / poiché introduci riti maligni; per le donne infatti / quando in un banchetto c’è la delizia del grappolo, / io dico che non c’è più niente di sano tra i riti sacri».
254 – μεθήσεις: futuro di μεθίημι.
257 – κἀμπύρων: crasi di καὶ ἐμπύρων – μισθοὺς φέρειν: quella dell’attaccamento al denaro è un’accusa tradizionale fin dall’Odissea dove Eurimaco dileggia l’indovino Aliterse che ha interpretato il volo di due aquile mandate da Zeus come presagio di morte per i proci; Eurimaco dunque gli intima di andarsene aggiungendo che se fosse morto come Ulisse non importunerebbe Telemaco δῶρον ποτιδέγμενος, «aspettandosi un dono» (II, 186). In Sofocle sia Creonte che Edipo accusano Tiresia nel medesimo modo: Τὸ μαντικὸν γὰρ πᾶν φιλάργυρον γένος, «tutta la razza degli indovini è infatti amante del denaro» (Antigone, 1055) e δόλιον ἀγύρτην, ὅστις ἐν τοῖς κέρδεσιν / μόνον δέδορκε, «un ciarlatano ingannatore, che nei guadagni / solamente ci vede».
259 – καθῆσο: imperfetto seconda persona singolare di κάθημαι; con ἂν esprime irrealtà.
260-262 – Sentiamo riguardo a donne e vino quanto ci riferisce Plinio il Vecchio a proposito di Catone il Censore (Naturalis historia, XIV, 14): Cato [scripsit] propinquos feminis osculum dare, ut scirent an temetum olerent, «Catone scrisse che i genitori davano alle femmine un bacio, per sapere se odorassero di vino». Per Ovidio invece il potere afrodisiaco del vino è positivo (Ars, 244) Et Venus in vinis ignis in igne fuit, «E Venere nel vino è fuoco nel fuoco». Il primo messaggero conclude il suo resoconto di quanto ha visto sul Citerone con queste parole (vv. 773-774): οἴνου δὲ μηκέτ' ὄντος οὐκ ἔστιν Κύπρις / οὐδ’ ἄλλο τερπνὸν οὐδὲν ἀνθρώποις ἔτι, «Se non c’è più il vino non c’è Cipride / né più alcuna altra gioia per gli uomini». – ὑγιὲς οὐδὲν: una delle espressioni colloquiali che Euripide introduce nel linguaggio della tragedia. – Il discorso di Penteo si conclude come era cominciato, con il tema dell’indecenza.
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