Raggruppo in un solo post tutta la parodo.
Parodo – vv. 64-169
Essa si sviluppa in tre parti. (1) vv. 64-71 sono un proemio che annuncia il seguente inno e lo collega al prologo ma non è esso stesso parte dell’inno. Viene cantato mentre il coro entra nell’orchestra , sicché costituisce la πάροδος nel senso più stretto del termine1. (2) vv. 72-134, due coppie strofiche, che formano il corpo dell’inno. (3) vv. 135-169, un lungo epodo, così lungo che potrebbe quasi essere considerato un secondo inno senza corrispondenza strofica. Questi epodi prolungati sono tipici dell’ultimo periodo di Euripide (cfr. Ifigenia in Aulide, vv. 277 sqq., vv. 773 sqq.).
Sia nella forma sia nel contenuto l’ode sembra essere modellata piuttosto da vicino su un effettivo inno di culto: è un ritorno all’antica prassi drammatica. Il coro stesso sottolinea il punto: le donne usano una formula che ha lo scopo di conferire l’idea di una processione religiosa (vv. 68-80), e annunciano che sono in procinto di cantare con gli inni a Dioniso da sempre in uso (vv. 71-72). L’inno è scritto principalmente in un metro tradizionale del culto; si apre con una «beatitudine» tradizionale (vv. 72-75); introduce grida rituali come ἴτε βάκχαι, ἴτε βάκχαι (vv. 83, 152) e εἰς ὄρος εἰς ὄρος (vv. 116, 165); e poi c’è una marcata tendenza a terminare le frasi con un nomen sacrum – Διόνυσον ὑμνήσω (v. 71), Διόνυσον θεραπεύει (v. 82), τὸν Βρόμιον (v. 87), Διονύσῳ (v. 119), Διόνυσος (v. 134). Nel contenuto presenta i tre elementi essenziali di tutte le religioni – dogma (strofe I), mito (ant.I, ant. II), e rituale (strofe II, epodo). In linea con le origini orientali delle cantanti, il canto ha una vivida colorazione orientale. Le associazioni asiatiche sono ripetutamente evidenziate (vv. 64 sq., 86, 127, 140, 144, 154, 159); il culto di Dioniso viene collegato a quelli di Cibele (vv. 78-79) e dello Zeus cretese; e le cantanti accompagnano le proprie parole con la selvaggia musica orientale del timpano (vv. 58, 124).
Ἀσίας ἀπὸ γαίας
ἱερὸν Τμῶλον ἀμείψασα θοάζω 65
Βρομίῳ πόνον ἡδὺν
κάματόν τ' εὐκάματον, Βάκ-
χιον εὐαζομένα.2
τίς ὁδῷ, τίς ὁδῷ; τίς;
μελάθροις ἔκτοπος ἔστω,
στόμα τ' εὔφημον ἅπας ἐξοσιούσθω· 70
τὰ νομισθέντα γὰρ αἰεὶ
Διόνυσον ὑμνήσω.3
[στρ. α
ὦ μάκαρ, ὅστις εὐδαίμων
τελετὰς θεῶν εἰδὼς
βιοτὰν ἁγιστεύει
καὶ θιασεύεται ψυχὰν 75
ἐν ὄρεσσι βακχεύων
ὁσίοις καθαρμοῖσιν,4
τά τε ματρὸς μεγάλας ὄρ-
για Κυβέλας θεμιτεύων
ἀνὰ θύρσον τε τινάσσων 80
κισσῷ τε στεφανωθεὶς
Διόνυσον θεραπεύει.5
ἴτε βάκχαι, ἴτε βάκχαι,
Βρόμιον παῖδα θεὸν θεοῦ
Διόνυσον κατάγουσαι 85
Φρυγίων ἐξ ὀρέων Ἑλλάδος εἰς εὐ-
ρυχόρους ἀγυιάς, τὸν Βρόμιον·6
[ἀντ. α
ὅν ποτ' ἔχουσ' ἐν ὠδίνων
λοχίαις ἀνάγκαισι
πταμένας Διὸς βροντᾶς νη- 90
δύος ἔκβολον μάτηρ
ἔτεκεν, λιποῦσ' αἰῶ-
να κεραυνίῷ πλαγᾷ·7
λοχίαις δ' αὐτίκα νιν δέ-
ξατο θαλάμαις Κρονίδας Ζεύς, 95
κατὰ μηρῷ δὲ καλύψας
χρυσέαισιν συνερείδει
περόναις κρυπτὸν ἀφ' Ἥρας.8
ἔτεκεν δ', ἁνίκα Μοῖραι
τέλεσαν, ταυρόκερων θεὸν 100
στεφάνωσέν τε δρακόντων
στεφάνοις, ἔνθεν ἄγραν θη-
ρότροφον μαινάδες ἀμφι-
βάλλονται πλοκάμοις.9
[στρ. β
ὦ Σεμέλας τροφοὶ Θῆ- 105
βαι, στεφανοῦσθε κισσῷ·
βρύετε βρύετε χλοήρει
μίλακι καλλικάρπῳ
καὶ καταβακχιοῦσθε δρυὸς
ἢ ἐλάτας κλάδοισι, 110
στικτῶν τ' ἐνδυτὰ νεβρίδων
στέφετε λευκοτρίχων πλοκάμων
μαλλοῖς· ἀμφὶ δὲ νάρθηκας ὑβριστὰς
ὁσιοῦσθ'· αὐτίκα γᾶ πᾶσα χορεύσει,
– Βρόμιος ὅστις ἄγῃ θιάσους – 115
εἰς ὄρος εἰς ὄρος, ἔνθα μένει
θηλυγενὴς ὄχλος
ἀφ' ἱστῶν παρὰ κερκίδων τ'
οἰστρηθεὶς Διονύσῳ.10
ὦ θαλάμευμα Κουρή- 120
των ζάθεοί τε Κρήτας
Διογενέτορες ἔναυλοι,
ἔνθα τρικόρυθες ἄντροις
βυρσότονον κύκλωμα τόδε
μοι Κορύβαντες ηὗρον· 125
βακχείᾳ δ' ἀνὰ συντόνῳ
κέρασαν ἡδυβόᾳ Φρυγίων
αὐλῶν πνεύματι ματρός τε Ῥέας ἐς
χέρα θῆκαν, κτύπον εὐάσμασι βακχᾶν·
παρὰ δὲ μαινόμενοι Σάτυροι 130
ματέρος ἐξανύσαντο θεᾶς,
ἐς δὲ χορεύματα
συνῆψαν τριετηρίδων,
αἷς χαίρει Διόνυσος.11
ἡδύ γ ἐν ὄρεσσιν ὅταν 135
ἐκ θιάσων δρομαίων
πέσῃ πεδόσε, νεβρίδος ἔχων
ἱερὸν ἐνδυτόν, ἀγρεύων
αἷμα τραγοκτόνον, ὠμοφάγον χάριν,
ἱέμενος εἰς ὄρεα Φρύγια Λύδι' 140
ὁ δ' ἔξαρχος Βρόμιος·
εὖοἷ.12
ῥεῖ δὲ γάλακτι πέδον, ῥεῖ δ' οἴνῳ,
ῥεῖ δὲ μελισσᾶν νέκταρι.
Συρίας δ' ὡς λιβάνου κα-
πνὸν ὁ Βακχεὺς ἀνέχων 145
πυρσώδη φλόγα πεύκας
ἐκ νάρθηκος ἀίσσει
δρόμῳ καὶ χοροῖσιν
πλανάτας ἐρεθίζων
ἰαχαῖς τ' ἀναπάλλων
τρυφερόν ‹τε› πλόκαμον εἰς αἰθέρα ῥίπτων.13 150
ἅμα δ' ἐπ' εὐάσμασιν ἐπιβρέμει τοιάδ'·†
Ὦ ἴτε βάκχαι,
ὦ ἴτε βάκχαι,
Τμώλου χρυσορόου χλιδᾴ
μέλπετε τὸν Διόνυσον 155
βαρυβρόμων ὑπὸ τυμπάνων,
εὔια τὸν εὔιον ἀγαλλόμεναι θεὸν
ἐν Φρυγίαισι βοαῖς ἐνοπαῖσί τε,
λωτὸς ὅταν εὐκέλαδος 160
ἱερὸς ἱερὰ παίγματα βρέμῃ σύνοχα
φοιτάσιν εἰς ὄρος εἰς ὄρος· ἡδομέ- 165
να δ' ἄρα πῶλος ὅπως ἅμα ματέρι
φορβάδι κῶλον ἄγει ταχύπουν σκιρτήμασι βάκχα.14
1 Mentre il prologo è la parte iniziale in cui gli attori entrano in scena e cominciano a recitare, la parodo (che in greco significa «entrata laterale») è, in senso stretto appunto, il momento dell’ingresso del coro, da una delle due entrate laterali, per andare a prendere posto nell’orchestra.
2 vv. 64-67: «Dalla terra d’Asia / lasciato il sacro Tmolo mi affretto a compiere / per Bromio una dolce fatica / e uno sforzo senza sforzo, / gridando evoè per celebrare Bacco».
66 – πόνον: che il lavoro più umile e faticoso, se eseguito al servizio della divinità, si trasfiguri per la benedizione che si spande su di esso, è un paradosso costante della coscienza religiosa. Ma qui forse c’è in aggiunta un accenno di disinvolta potenza che è il dono particolare di Dioniso (cfr. v. 194 n.). – Βρόμιος: dalla radice di βρέμω = «rumoreggio, rimbombo», un titolo molto comune per Dioniso in poesia. Diodoro (IV, 5, 3) lo spiega ἀπὸ τοῦ κατὰ τὴν γένεσιν αὐτοῦ γενομένου βρόμου, «dal tuono che ci fu alla sua nascita». Ma Dioniso è egli stesso un “rombatore”, in quanto dio-toro, dio-leone, dio-terremoto; anche i suoi timpani rimbombano. – Βάκχιος: aggettivo di Βάκχος, e più comune in questo dramma di Βάκχος come titolo del dio.
3 68-72: «Chi per strada, chi per strada? chi? / Si ritiri in casa, / ognuno consacri la bocca al silenzio: / canterò infatti Dioniso / con gli inni sempre in uso».
– τίς … ἐξοσιούσθω: quelli che sono per strada (ὁδῷ) devono aprire la via alla processione (ἔκτοπος ἔστω); tutti, compresi quelli che stanno in casa (μελάθροις) devono tacere in segno di rispetto. Questo è il consueto preludio di un atto rituale, la processione religiosa.
4 72-77: «O beato, chi felice / i misteri degli dèi / conoscendo santifica la vita / e rende l’anima partecipe del tiaso / baccheggiando sui / monti con pie purificazioni,»
72-75 – Formule di beatitudine di questo tipo sono tradizionali nella poesia greca, ma nel linguaggio dei culti misterici hanno un significato più profondo: così l’Inno a Demetra (v. 480) dice di misteri eleusini: ὄλβιος ὃς τάδ' ὄπωπεν ἐπιχθονίων ἀνθρώπων, «beato chi tra gli uomini sulla terra ha visto queste cose»; Pindaro (fr. 121 Bowra) ὄλβιος ὅστις ἰδὼν κεῖν' εἶσ' ὑπὸ χθόν’· / οἶδε μὲν βίου τελευτάν, / οἶδεν δὲ διόσδοτον ἀρχάν, «beato colui che avevdo visto queste cose va sotto terra; / conosce la fine della vita, conosce l’inizio dato da Zeus»; Sofocle (fr. 837 Pearson) ὡς τρισόλβιοι / κεῖνοι βροτῶν, οἳ ταῦτα δερχθέντες τέλη / μόλωσ’ ἐς Ἅιδου· τοῖσδε γὰρ μόνοις ἐκεῖ / ζῆν ἔστι, «tre volte beati / quelli tra i mortali, che avendo visto questi misteri / vadano nell’Ade: per questi soli infatti là / è possibile vivere». Questo passo, come quelli citati, basa la promessa di felicità su un’esperienza religiosa, ma la sua promessa, a differenza di quelle, è per questo mondo, non per il prossimo – la felicità che Dioniso dà è hic et nunc, qui e ora. – μάκαρ descrive questa felicità dal punto di vista di un osservatore; εὐδαίμων (una delle parole chiave del dramma) esprime il concetto dal punto di vista di chi ne fa esperienza e ne suggerisce la ragione (avere un buon δαίμων). – εἰδὼς: i culti misterici offrono ai loro adepti un genere di conoscenza da loro ritenuto potente, dalla quale i profani erano esclusi. – θιασεύεται ψυχὰν: si riferisce al sentimento interiore di unità con il θίασος e mediante questo con il dio: questo fondersi della coscienza individuale in quella del gruppo è il fascino e il pericolo di ogni religione di tipo dionisiaco.
76 – ὄρεσσι: dativo omerico.
77 – καθαρμοῖσιν: purificazioni rituali, non morali. Questo lato della religione dionisiaca era specialmente sfruttato dall’orfismo, ma non dobbiamo vedere un riferimento all’orfismo né qui né altrove nel dramma.
5 78-82: «e le orge della grande madre / Cibele celebrando secondo il rito / vibrando in alto il tirso / e incoronato d’edera / venera Dioniso».
78-79 – È sorprendente trovare gli ὄργια di Dioniso così intimamente associati, se non prorpio identificati, con quelli dell’asiatica Cibele, il cui culto fu introdotto in Grecia per la prima volta nel quinto secolo a.C. La spigazione sembra essere che fin da tempi molto antichi la Dea Madre e il Dio Figlio erano adorati con danze e ὀρειβασία sotto nomi differenti su diferrenti montagne asiatiche e cretesi: la Madre era in Asia Minore Kubele o Dindymene o Zemelo, a Creta Rhea; il figlio era Sabazio o Bakkos o Diounsis o lo “Zeus” cretese. I Greci adottarono presto la cretese Rhea (che nel culto chiamavano usualmente ἡ Μήτηρ τῶν θεῶν o semplicemente ἡ Μήτηρ), e anche il frigio Dioniso; ma questi due, avendo un differente luogo di origine, non erano visti come una coppia madre-figlio e il loro culti e miti rimasero scollegati. Però nel quinto secolo immigrati asiatici portarono di nuovo la coppia divina in Grecia sotto il nome di Cibele e Sabazio, e li inclusero in un culto comune. Fu allora percepita la sostanziale identificazione di Rea con la Madre asiatica (cfr. vv. 120-134); e Dioniso, se non fu identificato con Sabazio fino a un’epoca tarda, fu tuttavia sentito in certo senso il Figlio della Madre, come mostrava anche la somiglianza del rituale. Il culto del Dioniso tracio senbra essere stato similmente collegato a quello della dea tracia Cotyto negli Edoni di Eschilo (f. 57). Il mito greco però, nel fare di Semele un principessa tebana, gli diede una madre umana; e i mitografi greci si ingegnarono per riordinare la confusione che ne risultò distinguendo il Dioniso figlio di Semele da Dioniso Sabazio, oppure, come fa Euripide qui (vv. 130 sqq.), cantando che il Dioniso tebano prese in prestito i suoi riti e la sua musica da Rea-Cibele.
80 – ἀνὰ … τινάσσων: tmesi, intenzionalmente corrispondente a quella simile, nel medesimo punto (nono verso), dell’antistrofe κατὰ … καλύψας (v. 96). Il tirso era brandito alto nella danza.
81 – sull’edera vedi nota al v. 25. Cfr. v. 177.
6 83-87: «Andate Baccanti, andate Baccanti, / a ricondurre Bromio, il dio figlio / di un dio, Dioniso, / dai monti Frigi alle vaste / contrade dell’Ellade, il Bromio;»
85 – κατάγουσαι: l’espressione è forse connessa con il rituale dei Καταγώγια, una festa dionisiaca celebrata in Ionia e, almeno nei tempi più tardi, ad Atene, che si pensava avesse preso il nomedal “riportare indietro” Dioniso in quanto dio della vegetazione annuale.
7 88-93: «lui che una volta la madre, che lo portava in grembo / tra le necessarie doglie del parto, / mentre volava il tuono di Zeus, / espulso dal ventre / partorì, lasciando la vita / per un colpo di fulmine;»
88 – ἔχουσα: «incinta».
90 – πταμένας: da πέτομαι, participio aoristo 3°, medio.
92 – ἔτεκεν: da τίκτω, aoristo 2°.
8 94-98: «però subito lo accolse / nei talami del parto Zeus Cronide, / e nascostolo nella coscia / lo stringe con fibbie / auree, occulto a Era».
94-95: λοχίαις … θαλάμαις: «i talami del parto» non fa riferimento alla stanza da letto di Semele, ma alla coscia di Zeus, come spiegato da μηρῷ del verso successivo. Oltretutto secondo la tradizione il neonato fu prima lavato nelle acque del Dirce (vv. 521 sq.) e poi portato a Zeus da Atena o Ermes.
98 – κρυπτὸν ἀφ' Ἥρας: la motivazione sembra dettata dal tentativo di dare un senso al mito.
9 99-104: «Poi lo partorì, quando le Moire / lo portarono a maturità, dio dalle corna di toro, / e lo incoronò con corone di / serpenti, donde la preda / selvaggia le menadi avvolgono / intorno alle trecce».
99-100 – ἔτεκεν…τέλεσαν: la gravidanza soprannaturale giunge a termine in contrasto (rimarcato dalla ripetizione di ἔτεκεν) con la prematura nascita da Semele.
101-104 – Un esempio in miniatura di mito eziologico, cioè di una storia che spiega la nascita di un uso. In questi casi l’uso è comunemente la fonte del mito e non il contrario. La manipolazione dei serpenti era un tempo effettivamente praticata in certe forme del culto dionisiaco; ce lo testimonia Plutarco (Alessandro, 2): sta parlando di Olimpiade, la madre di Alessandro, che nei primi tempi del matrimonio suscitava la diffidenza di Filippo in quanto proveniva da una regione in cui le donne erano legate a riti orfici e dionisiaci. Ella, essendo particolarmente devota, ὄφεις μεγάλους χειροήθεις ἐφείλκετο τοῖς θιάσοις, οἳ πολλάκις ἐκ τοῦ κιττοῦ καὶ τῶν μυστικῶν λίκνων παραναδυόμενοι καὶ περιελιττόμενοι τοῖς θύρσοις τῶν γυναικῶν καὶ τοῖς στεφάνοις, ἐξέπληττον τοὺς ἄνδρας, «introduceva nei tiasi serpenti addomesticati, i quali spesso spuntando dall’edera e dai canestri rituali e avvolgendosi intorno ai tirsi delle donne e alle corone terrorizzavano i maschi».
10 105-119: «O Tebe, nutrice di Semele, / incoronati di edera; abbonda abbonda del verde / smilace dai bei frutti / e abbandonati al furore bacchico con rami / di quercia o abete, / e le vesti di nebridi screziate / incorona con ciocche di riccioli / dal bianco pelo; e intorno ai bastoni violenti / santificati; subito la terra tutta danzerà, / – Bromio è chiunque guidi i tiasi – / al monte al monte, dove aspetta / la folla femminile / via da telai e lontano da spole / assillata furiosamente da Dioniso».
107 – βρύετε βρύετε: la ripetizione di parole è caratteristica dello stile lirico dell’ultimo Euripide (cfr. la parodia di Aristofane in Rane, 1352-1355: Ὁ δ' ἀνέπτατ' ἀνέπτατ' ἐξ αἰθέρα / κουφοτάταις πτερύγων ἀκμαῖς, / ἐμοὶ δ' ἄχε' ἄχεα κατέλιπε, / δάκρυα δάκρυά τ' ἀπ' ὀμμάτων / ἔβαλον ἔβαλον ἁ τλάμων, «È volato volato in cielo / sulle punte leggerissime delle ali, / e mi ha lasciato dolori dolori, / lacrime lacrime dagli occhi / gettai gettai infelice»; si tratta di Eschilo che fa il verso ai cori di Euripide). Tuttavia la maggior parte delle volte (vv. 68, 83, 107, 116, 152, 165, 370, 412, 577 sq., 582, 584, 595, 986, 1183, 1198) sembra che si tratti di grida rituali o della naturale espressione di esaltazione religiosa.
108 – μίλακι: si tratta dello smilax aspera, una pianta rampicante sempreverde (χλοήρει) con grappoli di fiori bianchi e bacche di uno scarlatto intenso (καλλικάρπῳ).
109-110 – δρυὸς ἢ ἐλάτας: querce e abeti sono alberi tipici del Citerone come di molti boschi greci; però ci può essere una ragione rituale per la loro frequente apparizione nelle Baccanti. C’era un θίασος di Dioniso δρυοφόρος a Filippi, in Macedonia, vicino al monte Pangeo, una delle patrie d’origine del culto.
111 – νεβρίδων: sulla nebride, vedi nota al v. 24.
113-114 – ἀμφὶ … ὁσιοῦσθ’: la frase sembra significare di essere pii nel maneggiare i bastoni violenti. La sorprendente associazione di ὁσιότης e ὕβρις esprime la dualità del rituale dionisiaco come un atto di violenza controllata in cui le pericolose forze della natura sono sottomesse a uno scopo religioso. Il tirso è il veicolo di queste forze; il suo tocco può operare prodigi benefici (vv. 704 sqq.), ma può anche causare pazzia. Sulla forma del tirso vedi nota al v. 25.
114 – γᾶ πᾶσα: cioè tutto il popolo, in contrapposizione a θηλυγενὴς ὄχλος del v. 117.
115 – Cioè: chi guida l’ὀρειβασία è identificato nella cerimonia sacra con il dio: cfr. v. 141 ὁ δ' ἔξαρχος Βρόμιος. Sappiamo pochissimo dell’organizzazione delle ὀρειβασίαι come effettivamente si svolgevano, ma le testimonianze che abbiamo si accordano con l’idea che fossero originariamente un rito femminile con un solo maschio a celebrarlo. Se il celebrante era identificato col dio, allora possiamo capire perché così il dio come i devoti fossero chiamati con l’appellativo di ταυρόφαγος (Sofocle, fr. 668); perché Diodoro (IV, 3) parli di un’ “epifania” di Dioniso alla τριετηρίς. Un certo grado di identificazione con il dio sembra essere implicito nel chiamare i partecipanti al rito dionisiaco βάκχαι e βάκχος (Penteo chiama lo straniero ὁ βάκχος al v. 491). È possibile che il grado supremo di questa identificazione, aperto solamente all’ ἔξαρχος, fosse espresso dandogli il sacro nome di Bromio (o, se no, che almeno Euripide la pensasse così). L’organizzazione potremmo immaginarcela come una congrega di streghe, dove l’unico maschio alla guida era conosciuto da quella congregazione come il diavolo.
11 120-134: «O dimora nascosta dei Cureti / e antri di Creta cari agli dèi / in cui nacque Zeus, / dove nelle grotte i Coribanti / dal triplice elmo inventarono per me / questo cerchio dalla pelle tesa; / e nell’impeto del furore bacchico / lo mescolarono al soffio dal dolce suono dei flauti / Frigi e lo posero nella mano / della madre Rea, fragore per gli evoè delle baccanti; / poi Satiri deliranti lo / ottennero dalla dea madre, / e lo adattarono alle danze / delle feste triennali, / delle quali si rallegra Dioniso».
– È il mito dell’origine del τύμπανον (il βυρσότονον κύκλωμα del v. 124): (a) fu inventato in una spelonca cretese dai Cureti o Coribanti (per coprire le grida del neonato Zeus, affinché suo padre Crono non lo trovasse e lo divorasse – cfr. Lucrezio, II, 629 sqq.); essi poi lo presentarono, insieme al flauto frigio, a Rea (madre del bambino Zeus) per essere usati nei suoi riti orgiastici; (b) da lei lo presero i satiri e lo introdussero nel rito dionisiaco della τριετηρίς. Anche questo è eziologico: (a) spiega perché il timpano fosse impiegato nel culto cretese della Madre e del Figlio, (b) spiega perché appare anche in quello di Dioniso. (a) potrebbe essere più antico; (b) sembra un’invenzione del quinto secolo per dar conto delle somiglianze. Per la spiegazione vera vedi nota ai vv. 78-79.
Euripide sembra identificare Rea con Cibele (che già per Pindaro è la madre degli dèi, fr. 77 Bowra, [δέσπ]οιν[αν] Κυβέ[λαν] ματ[έρα], «la signora Cibele madre»), proprio come pare identificare i Curesi, mitici ministri di rea, con i Coribanti, mitici ministri di Cibele; questo genere di sincretismo è caratteristico del tardo quinto secolo, quando si iniziò un tentativo di mettere ordine nel caos dei antichi e nuovi culti e miti.
120 – Dopo l’indicazione del luogo di nascita della madre del dio il coro indica quello del padre del dio; il sottinteso è forse che Tebe non dovrebbe essere meno bramosa di celebrare il figlio di quanto Creta lo sia di celebrare il padre. – θαλάμευμα: «camera segreta», una variazione poetica per θαλάμη, che è vox propria per una sacra spelonca. Spelonche sacre di questo tipo erano i più antichi centri cultuali a Creta e in Anatolia.
123 – τρικόρυθες: non è ben chiaro a cosa alluda; forse non indica nulla di specifico ma è semplicemente esornativo.
126-127 – ἀνὰ … κέρασαν: tmesi.
133 – τριετηρίδων: sono le feste orgiastiche biennali di cui all’introduzione. Il nome è dovuto al modo greco di contare che include l’inizio e la fine.
12 135-141: «È dolce sui monti quando / dai tiasi in corsa / uno cade al suolo, con la sacra / veste della nebride, cacciando / sangue di capro ucciso, gioia crudivora, / lanciandosi sui monti Frigi Lidi / e il capo è Bromio: / evoè».
– Qui il soggetto indeterminato è da indentificare con il/la partecipante al rito che è guidato dal dio come celebrante.
139 – ὠμοφάγον χάριν: questo è il rito supremo della τριετηρίς.
141 – ἔξαρχος: un titolo di culto nel rito affine di Sabazio e, probabilmente anche in quello di Dioniso. Siccome il coro qui non sa ancora che lo straniero è effettivamente Dioniso, sembra parlare con più verità di quanto sappia: la sua guida è infatti Bromio in senso letterale, non semplicemente in senso religioso. Se è così, si tratta di “ironia tragica”.
13 142-150: «Scorre di latte il suolo, scorre di vino, / scorre di nettare di api. / Bacco tenendo alta / come fumo d’incenso di Siria / la fiamma infuocata dalla / torcia di pino si slancia / con la corsa e le mani / incitando le vaganti / e eccitandole con grida / e lanciando in aria la tenera chioma».
142-143 – «Un bell’effetto onirico dopo l’orrore dell’ὠμοφαγία» (Murray, riportato da Dodds).
14 151-169: «E insieme alle urla di evoè grida tali cose: / “O andate baccanti, / o andate baccanti, con il fascino dello Tmolo dai fiumi d’oro / cantate Dioniso / accompagnate dai timpani dal cupo rimbombo, / celebrando con evoè il dio dell’ evoè / nelle urla e grida Frigie, / quando il sacro flauto / melodioso fa risuonare sacri ritornelli che si accordano / alle folli al monte al monte;” lieta / allora come una puledra insieme alla madre / al pascolo spinge l’arto dal piè veloce, saltellando, la baccante».
154 – Τμώλου χρυσορόου: perché il fiume Pactolo, come dice Erodoto (V, 101) σφι ψῆγμα χρυσοῦ καταφορέων ἐκ τοῦ Τμώλου διὰ μέσης τῆς ἀγορῆς ῥέει, «trasportando giù dallo Tmolo sabbia d’oro scorre attraverso la piazza».
166-169 – Il quadretto idillico finale descrive bene l’armoniosa fusione tra l’uomo e la natura, che è poi l’elemento fondamentale dello spirito dionisiaco che proprio in questo si contrappone al principium individuationis che è invece l’elemento fondamentale dello spirito apollineo. L’assimilazione della baccante alla puledra saltellante richiama il celebre frammento di Anacreonte (78 G.): πῶλε Θρηικίη, τί δή με λοξὸν ὄμμασι βλέπουσα / νηλέως φεύγεις, δοκεῖς δέ μ' οὐδὲν εἰδέναι σοφόν; / ἴσθι τοι, καλῶς μὲν ἄν τοι τὸν χαλινὸν ἐμβάλοιμι, / ἡνίας δ' ἔχων στρέφοιμί σ' ἀμφὶ τέρματα δρόμου· / νῦν δὲ λειμῶνάς τε βόσκεαι κοῦφά τε σκιρτῶσα παίζεις, / δεξιὸν γὰρ ἱπποπείρην οὐκ ἔχεις ἐπεμβάτην, «Puledra tracia, perché guardandomi con gli occhi di traverso / mi sfuggi spietatamente, credi che io non sappia nulla di saggio? / Sappi che io potrei metterti bene il morso, / e tenendo le redini potrei farti girare intorno alla meta della corsa; / ora invece pascoli nei prati e saltellando leggera giochi, / infatti non hai un abile cavalieri che ti monti».
La parodo è la vera espressione della religione dionisiaca; nel quinto episodio le baccanti che sbranano Penteo rappresentano invece la maledizione con cui Dioniso punisce chi non lo venera.
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