lunedì 2 settembre 2024

Seneca, Epistulae, 31

 


Le Sirene

(Omero, Seneca e Cicerone)


  2. Ad summam sapiens eris, si cluseris aures, quibus ceram parum est obdere: firmiore spissamento opus est quam in sociis usum Ulixem ferunt. Illa vox quae timebatur erat blanda, non tamen publica: at haec quae timenda est non ex uno scopulo sed ex omni terrarum parte circumsonat.

  «2. Insomma, sarai sapiente, se avrai chiuso le orecchie, turare le quali con la cera è poco: ci vuole un tappo più consistente di quello che tramandano che Ulisse usò per i compagni. Quella voce che temeva era seducente, non tuttavia generale: ma quella che deve essere temuta echeggia non da un solo scoglio ma da ogni parte della terra1».

  3. unum bonum est, quod beatae vitae causa et firmamentum est, sibi fidere.

  «3. Uno solo è il bene che è causa e fondamento di una vita beata, avere fiducia in se stessi».

  7. non est viri timere sudorem.

  «7. non è da uomini temere il sudore2».

  1 L’episodio delle Sirene si trova in Odissea, XII, vv. 158-200. Diverso è l’uso che ne fa Cicerone (De finibus bonorum et malorum, V, XVIII, 48-49). L’Arpinate lo sfrutta per dimostrare il desiderio di conoscenza innato nell’uomo: Tantus est igitur innatus in nobis cognitionis amor et scientiae, ut nemo dubitare possit quin ad eas res hominum natura nullo emolumento invitata rapiatur, «Tanto grande dunque è in noi l’amore di conoscere e sapere, che nessuno può dubitare che la natura degli uomini non vi sia trascinata attratta da alcun vantaggio». Cicerone fa una serie di esempi al termine dei quali cita Omero: mihi quidem Homerus huius modi quiddam vidisse videatur in iis, quae de Sirenum cantibus finxerit. neque enim vocum suavitate videntur aut novitate quadam et varietate cantandi revocare eos solitae, qui praetervehebantur, sed quia multa se scire profitebantur, ut homines ad earum saxa discendi cupiditate adhaerescerent. ita enim invitant Ulixem, «certo Omero mi pare aver scorto qualcosa del genere in quei versi che compose sui canti delle Sirene. Sembrano solite infatti attirare coloro che pasavano con la nave non grazie alla dolcezza delle voci o una certa novità e diversità del canto, ma poiché dichiaravano di sapere molte cose, per adescare gli uomini sui loro scogli con la brama di imparare. Così infatti attirano Odisseo». Seguono i vv. 184-191 tradotti in latino (in esametri, ma non troppo letteralmente); li riporto con gli originali e una mia traduzione: O decus Argolicum, quin puppim flectis, Ulixes, / Auribus ut nostros possis agnoscere cantus! / Nam nemo haec umquam est transvectus caerula cursu, / Quin prius adstiterit vocum dulcedine captus, / Post variis avido satiatus pectore musis / Doctior ad patrias lapsus pervenerit oras. / Nos grave certamen belli clademque tenemus, / Graecia quam Troiae divino numine vexit, / Omniaque e latis rerum vestigia terris (δεῦρ’ ἄγ’ ἰών, πολύαιν’ Ὀδυσεῦ, μέγα κῦδος Ἀχαιῶν, / νῆα κατάστησον, ἵνα νωϊτέρην ὄπ’ ἀκούσῃς. / οὐ γάρ πώ τις τῇδε παρήλασε νηῒ μελαίνῃ, / πρίν γ’ ἡμέων μελίγηρυν ἀπὸ στομάτων ὄπ’ ἀκοῦσαι, / ἀλλ’ ὅ γε τερψάμενος νεῖται καὶ πλείονα εἰδώς. / ἴδμεν γάρ τοι πάνθ’, ὅσ’ ἐνὶ Τροίῃ εὐρείῃ / Ἀργεῖοι Τρῶές τε θεῶν ἰότητι μόγησαν, / ἴδμεν δ’ ὅσσα γένηται ἐπὶ χθονὶ πουλυβοτείρῃ, «Su, vieni qui, molto famoso Odisseo, grande vanto degli Achei, / arresta la nave, affinché ascolti la nostra voce. / Nessuno mai infatti è passato oltre qui con la nera nave, / prima almeno di aver ascoltato dalle nostre bocche la voce dal suono di miele, / ma rallegratosi riparte e sapendo più cose. / Noi infatti sappiamo tutto quanto nell’ampia Troia / Argivi e Troiani patirono per volere degli dèi, / noi sappiamo tutto quanto avviene sulla terra alma»). Quindi Cicerone conclude: Vidit Homerus probari fabulam non posse, si cantiunculis tantus irretitus vir teneretur; scientiam pollicentur, quam non erat mirum sapientiae cupido patria esse cariorem. Atque omnia quidem scire, cuiuscumque modi sint, cupere curiosorum, duci vero maiorum rerum contemplatione ad cupiditatem scientiae summorum virorum est putandum, «Vide Omero che il mito non poteva essere approvato, se un eroe così grande fosse stato irretito da delle canzonette; promettono il sapere, che non è strano per uno bramoso di sapienza che sia più caro della patria. E in effetti il desiderio di sapere tutte le cose, di qualunque genere siano, è proprio dei curiosi, mentre quello di essere guidati con la contemlazione delle cose più imporanti al desiderio di sapere deve ritenersi proprio degli uomini sommi».

  2 Cfr. Esiodo, Opere e giorni, 289-90: τῆς δ' ἀρετῆς ἱδρῶτα θεοὶ προπάροιθεν ἔθηκαν / ἀθάνατοι, «davanti alla virtù hanno posto il sudore gli dèi / immortali».

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