Κα. ἐρεῖ τις ὡς τὸ γῆρας οὐκ αἰσχύνομαι,
μέλλων χορεύειν κρᾶτα κισσώσας ἐμόν; 205
Τε. οὐ γὰρ διῄρηχ' ὁ θεὸς οὔτε τὸν νέον
εἰ χρὴ χορεύειν οὔτε τὸν γεραίτερον,
ἀλλ' ἐξ ἁπάντων βούλεται τιμὰς ἔχειν
κοινάς, διαριθμῶν δ' οὐδέν' αὔξεσθαι θέλει.
Κα. ἐπεὶ σὺ φέγγος, Τειρεσία, τόδ' οὐχ ὁρᾷς, 210
ἐγὼ προφήτης σοι λόγων γενήσομαι.
Πενθεὺς πρὸς οἴκους ὅδε διὰ σπουδῆς περᾷ,
Ἐχίονος παῖς, ᾧ κράτος δίδωμι γῆς.
ὡς ἐπτόηται· τί ποτ' ἐρεῖ νεώτερον;1
1 204-214: «Ca. Qualcuno dirà che non onoro la vecchiaia, / accingendomi a danzare con il mio capo coronato d’edera? / Ti. / Il dio infatti non ha distinto né il giovane, / se deve danzare, né quello più vecchio, / ma da tutti vuole avere onori / comuni, e vuole essere celebrato senza fare alcun conto. / Ca. / Siccome tu, Tiresia, non vedi questa luce, / io diventerò per te proclamatore di notizie. / Ecco Penteo che si dirige di fretta verso il palazzo, / il figlio di Echione, a cui ho dato il potere sulla regione. / Come è atterrito! cosa mai dirà di nuovo?»
204 – ἐρεῖ: futuro dei verbi di «dire».
206 – διῄρηκε: perfetto di διαιρέω.
209 – διαριθμῶν δ' οὐδένα: cioè non vuole mettere nessuno in classi separate. Il culto dionisiaco non fa nessuna distinzione perché è la negazione del principium individuationis.
211 – προφήτης: non nel senso di profeta, significato che di base non ha nel greco classico. Più semplicemente Cadmo si incarica di spiegare al cieco Tiresia quello che succede e magari scherza sul fatto che in questa occasione egli è il “veggente”, non Tiresia. – γενήσομαι: futuro di γίγνομαι.
213 – δίδωμι: «ho dato»; è usato il presente perché persiste l’effetto dell’azione.
214 – ὡς ἐπτόηται: perfetto passivo di πτοέω; è un’indicazione al regista su come si deve presentare Penteo, il quale è caratterizzato dalla mancanza di autocontrollo in contrasto con la soprannaturale ἡσυχία di Dioniso. Il suo comportamento in questa scena è quello di un tipico tiranno da tragedia, come il Creonte dell’Antigone: entrambi mostrano la medesima inclinazione al sospetto, il medesimo egocentrismo permaloso, la medesima fede cieca nella forza fisica come mezzo per risolvere problemi spirituali. – νεώτερον: forse, come al v. 362, c’è anche una sfumatura negativa. Si pensi a tal proposito l’uso spregiativo che ne fa Cicerone, Epistuae ad Atticum, VII, 2, 1: hunc σπονδειάζοντα si cui voles τῶν νεωτέρων pro tuo vendito, «questo esametro spondaico vendilo come tuo a chi vuoi dei νεώτεροι (in riferimento ai poetae novi, quest’ultima definizione si trova in Orator, 161).
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