Primo discorso – I, 140-144
Si tratta del primo dei tre discorsi riportati da Tucidide ed è quello dell’entrata in guerra nel 431 a.C.
I, 139, 5
παρελθὼν Περικλῆς ὁ Ξανθίππου, ἀνὴρ κατ' ἐκεῖνον τὸν χρόνον πρῶτος Ἀθηναίων, λέγειν τε καὶ πράσσειν δυνατώτατος, παρῄνει τοιάδε.
«Fattosi avanti Pericle figlio di Santippo, l’uomo che in quel tempo era il primo degli Ateniesi, e il più capace nel parlare e nell’agire, faceva queste esortazioni».
I, 141, 5
αἱ δὲ περιουσίαι τοὺς πολέμους μᾶλλον ἢ αἱ βίαιοι ἐσφοραὶ ἀνέχουσιν.
«I capitali sostengono le guerre più delle imposte forzose».
I, 142, 1
Μέγιστον δέ, τῇ τῶν χρημάτων σπάνει κωλύσονται, ὅταν σχολῇ αὐτὰ ποριζόμενοι διαμέλλωσιν· τοῦ δὲ πολέμου οἱ καιροὶ οὐ μενετοί.
«Ma la cosa più importante, saranno ostacolati dalla scarsità di denaro, quando, procurandolselo con lentezza, indugeranno; le occasioni1 della guerra invece non aspettano».
I, 143, 5
μέγα γὰρ τὸ τῆς θαλάσσης κράτος… καὶ νῦν χρὴ… τὴν μὲν γῆν καὶ οἰκίας ἀφεῖναι, τῆς δὲ θαλάσσης καὶ πόλεως φυλακὴν ἔχειν, καὶ Πελοποννησίοις ὑπὲρ αὐτῶν ὀργισθέντας πολλῷ πλέοσι μὴ διαμάχεσθαι… τήν τε ὀλόφυρσιν μὴ οἰκιῶν καὶ γῆς ποιεῖσθαι, ἀλλὰ τῶν σωμάτων· οὐ γὰρ τάδε τοὺς ἄνδρας, ἀλλ' οἱ ἄνδρες ταῦτα κτῶνται.
«Infatti è una gran cosa il dominio del mare… E ora è necessario che… lasciamo perdere la terra e le case, facciamo invece la guardia al mare e alla città, e quando saremo adirati per queste cose non dovremo combattere coi Peloponnesiaci che sono molti di più… e non dovremo lamentarci delle case e della terra, ma dei cadaveri: non queste cose infatti acquistano gli uomini, ma gli uomini queste2».
I, 144, 1-4
μᾶλλον γὰρ πεφόβημαι τὰς οἰκείας ἡμῶν ἁμαρτίας ἢ τὰς τῶν ἐναντίων διανοίας… εἰδέναι δὲ χρὴ ὅτι ἀνάγκη πολεμεῖν,… ἔκ τε τῶν μεγίστων κινδύνων ὅτι καὶ πόλει καὶ ἰδιώτῃ [4] μέγισται τιμαὶ περιγίγνονται… ὧν οὐ χρὴ λείπεσθαι, ἀλλὰ τούς τε ἐχθροὺς παντὶ τρόπῳ ἀμύνεσθαι καὶ τοῖς ἐπιγιγνομένοις πειρᾶσθαι αὐτὰ μὴ ἐλάσσω παραδοῦναι.
«Infatti ho paura più dei nostri propri errori che dei piani degli avversari… Bisogna rendersi conto che fare la guerra è una necessità,… e che dai più grandi pericoli derivano sia per una città sia per un singolo i più grandi onori… Bisogna non essere da meno di quelli, ma difenderci dai nemici in ogni modo e provare a consegnare ai posteri tale potenza non diminuita».
1 L’occasione è data dalla fortuna, a cui Machiavelli attribuisce la metà del potere (Principe, XXV): «E' non mi è incognito come molti hanno avuto e hanno opinione che le cose del mondo sieno in modo governate, da la fortuna e da Dio, che li uomini con la prudenza loro non possino correggerle, anzi non vi abbino remedio alcuno; e per questo potrebbono iudicare che non fussi da insudare molto nelle cose, ma lasciarsi governare alla sorte. Questa opinione è suta più creduta ne' nostri tempi per le variazione grande delle cose che si sono viste e veggonsi ogni dì, fuora di ogni umana coniettura. A che pensando io qualche volta, mi sono in qualche parte inclinato nella opinione loro. Nondimanco, perché il nostro libero arbitrio non sia spento, iudico potere essere vero che la fortuna sia arbitra della metà delle azioni nostre, ma che etiam lei ne lasci governare l'altra metà, o presso, a noi. E assimiglio quella a uno di questi fiumi rovinosi che, quando si adirano, allagano e' piani, rovinano li arbori e li edifizi, lievano da questa parte terreno, pongono da quella altra: ciascuno fugge loro dinanzi, ognuno cede all'impeto loro sanza potervi in alcuna parte ostare. E, benché sieno così fatti, non resta però che gli uomini, quando sono tempi queti, non vi potessino fare provedimento e con ripari e con argini: in modo che, crescendo poi, o eglino andrebbono per uno canale o l'impeto loro non sarebbe né sì dannoso né sì licenzioso. Similmente interviene della fortuna, la quale dimostra la sua potenza dove non è ordinata virtù a resisterle: e quivi volta e' sua impeti, dove la sa che non sono fatti gli argini né e' ripari a tenerla». Poi conclude il capitolo aggiungendo che: «variando la fortuna e' tempi e stando li uomini ne' loro modi ostinati, sono felici mentre concordano insieme e, come e' discordano, infelici. Io iudico bene questo, che sia meglio essere impetuoso che respettivo: perché la fortuna è donna ed è necessario, volendola tenere sotto, batterla e urtarla. E si vede che la si lascia più vincere da questi, che da quegli che freddamente procedono: e però sempre, come donna, è amica de' giovani, perché sono meno respettivi, più feroci e con più audacia la comandano».
2 Queste parole si possono considerare una esaltazione dello spirito sulla materia. Leopardi, in Il pensiero dominante (vv. 59-65) polemizza con la supremazia che la sua epoca attribuisce alla dimensione materiale: «Di questa età superba, / Che di vote speranze si nutrica, / Vaga di ciance, e di virtù nemica; / Stolta, che l'util chiede, / E inutile la vita / Quindi più sempre divenir non vede; / Maggior mi sento».
Nessun commento:
Posta un commento