domenica 15 dicembre 2024

Tucidide – I discorsi di Pericle – 3

 Questo è l’ultimo, pronunciato prima di morire nell’epidemia di peste nel 429.


Terzo discorso - II 60-64


II, 60, 2-4; 5-6

ἐγὼ γὰρ ἡγοῦμαι πόλιν πλείω ξύμπασαν ὀρθουμένην ὠφελεῖν τοὺς ἰδιώτας ἢ καθ' ἕκαστον τῶν πολιτῶν εὐπραγοῦσαν, [3] ἁθρόαν δὲ σφαλλομένην. καλῶς μὲν γὰρ φερόμενος ἀνὴρ τὸ καθ' ἑαυτὸν διαφθειρομένης τῆς πατρίδος οὐδὲν ἧσσον ξυναπόλλυται, κακοτυχῶν δὲ ἐν εὐτυχούσῃ πολλῷ μᾶλλον [4] διασῴζεται.

[…]

καίτοι ἐμοὶ τοιούτῳ ἀνδρὶ ὀργίζεσθε ὃς οὐδενὸς ἥσσων οἴομαι εἶναι γνῶναί τε τὰ δέοντα καὶ ἑρμηνεῦσαι ταῦτα, φιλόπολίς τε καὶ χρημάτων [6] κρείσσων. ὅ τε γὰρ γνοὺς καὶ μὴ σαφῶς διδάξας ἐν ἴσῳ καὶ εἰ μὴ ἐνεθυμήθη·

«Io infatti penso che una città giovi di più ai privati quando ha successo tutta quanta rispetto a quando è felice in ciascun singolo cittadino, ma nel suo insieme fallisce. Infatti un uomo che se la passi bene a livello di individuo quando la patria va in rovina non di meno perisce insieme a quella, mentre se ha una cattiva sorte in una città fortunata molto di più si salva

[…]

Eppure vi adirate con me, un uomo siffatto, che non è inferiore, penso, a nessuno nell’esprimere i giudizi dovuti e nel darne spiegazione, amante della città e superiore al denaro. Infatti chi esprime giudizi e non li spiega con chiarezza è in una condizione uguale a quella in cui sarebbe se non li avesse pensati».

II, 62, 4

αὔχημα μὲν γὰρ καὶ ἀπὸ ἀμαθίας εὐτυχοῦς καὶ δειλῷ τινὶ ἐγγίγνεται, καταφρόνησις δὲ ὃς ἂν καὶ γνώμῃ πιστεύῃ τῶν ἐναντίων προύχειν, [5] ὃ ἡμῖν ὑπάρχει.

«Infatti la fierezza nasce anche da un’ignoranza fortunata e anche in un vigliacco, mentre il disprezzo nasce in chi confidi, e a ragion veduta, di essere superiore agli avversari, cosa che noi abbiamo».

II, 63, 2

ἧς οὐδ' ἐκστῆναι ἔτι ὑμῖν ἔστιν, εἴ τις καὶ τόδε ἐν τῷ παρόντι δεδιὼς ἀπραγμοσύνῃ ἀνδραγαθίζεται· ὡς τυραννίδα γὰρ ἤδη ἔχετε αὐτήν, ἣν [3] λαβεῖν μὲν ἄδικον δοκεῖ εἶναι, ἀφεῖναι δὲ ἐπικίνδυνοντὸ γὰρ ἄπραγμον οὐ σῴζεται μὴ μετὰ τοῦ δραστηρίου τεταγμένον, οὐδὲ ἐν ἀρχούσῃ πόλει ξυμφέρει, ἀλλ' ἐν ὑπηκόῳ, ἀσφαλῶς δουλεύειν.

«E non vi è neppure più possibile rinunciarvi1, se uno, avendo paura nel momento presente, si comporta da uomo per bene anche in questo, volendo stare in pace; infatti ormai possedete un impero che è come una tirannide, che sembra ingiusto aver conquistato, ma rischioso lasciar andare… la pace infatti non si salva se non si è schierata insieme all’attività energica, ed essere schiavi nella sicurezza non conviene in una città che comanda, ma in una sottomessa».

II, 64, 3; 5-6

γνῶτε δὲ ὄνομα μέγιστον αὐτὴν ἔχουσαν ἐν ἅπασιν ἀνθρώποις διὰ τὸ ταῖς ξυμφοραῖς μὴ εἴκειν,τὸ δὲ μισεῖσθαι καὶ λυπηροὺς εἶναι ἐν τῷ παρόντι πᾶσι μὲν ὑπῆρξε δὴ ὅσοι ἕτεροι ἑτέρων ἠξίωσαν ἄρχειν· ὅστις δὲ ἐπὶ μεγίστοις τὸ ἐπίφθονον λαμβάνει, ὀρθῶς βουλεύεται. μῖσος μὲν γὰρ οὐκ ἐπὶ πολὺ ἀντέχει, ἡ δὲ παραυτίκα τε λαμπρότης [6] καὶ ἐς τὸ ἔπειτα δόξα αἰείμνηστος καταλείπεται.

«Sappiate che la città gode di grandissima fama tra tutti gli uomini per il fatto di non cedere alle disgrazie… l’essere odiati e risultare molesti nel momento presente è capitato a tutti quelli che hanno preteso di dominare sugli altri; ma chi accetta l’invidia per scopi grandissimi, decide correttamente. L’odio infatti non dura per molto, mentre lo splendore del momento e la fama per il futuro rimangono indimenticabili».


1 All’egemonia, nominata prima.

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