venerdì 4 ottobre 2024

L’amore è uguale per tutti – Virgilio, Georgiche, III, vv. 209-283 – introduzione – 1° parte


 Introduzione

 La concezione dell’amore in Virgilio è desolante e pessimistica; troviamo la conferma a livello lessicale nei termini usati per indicarlo: cura (nel senso di «affanno»), dementia, error, exitium, furor (il più frequente, 5 volte), insania; anche gli aggettivi confermano: aeger («che fa soffrire»), amarus, crudelis, dulcis, durus, improbus, indignus («non ricambiato»), infandus, insanus, malus, pius, saevus, sollicitus1. Come si vede solo due aggettivi sono positivi, pius e dulcis. Il primo si trova in Eneide, V, vv. 295-296: Euryalus forma insignis viridique iuventa, / Nisus amore pio pueri, «Eurialo insigne per la bellezza e il verde della giovinezza, / Niso per il pio amore del fanciullo». Dunque è un amore, omosessuale, spiritualizzato. Il secondo si trova in Bucoliche, III 109-110, per definire i poeti d’amore: quisquis amores / aut metuet dulcis aut experietur amaros, «chiunque tema / i dolci amori o sperimenti quelli amari»; la presenza del verbo metuet annulla però il valore dell’aggettivo. Poi lo troviamo anche in Eneide, VI, v. 255: demisit lacrimas dulcique adfatus amore est, «lasciò scorrere le lacrime e con dolce amore le rivolse la parola». Qui si tratta di una dolcezza passata e malinconica, oltretutto riferita a un amore finito in un suicidio. Siamo agli inferi ed Enea intravede Didone e le parole che le rivolge sono queste: infelix Dido, verus mihi nuntius ergo / venerat exstinctam ferroque extrema secutam? / funeris heu tibi causa fui? per sidera iuro, / per superos et si qua fides tellure sub ima est, / inuitus, regina, tuo de litore cessi, «Infelice Didone, dunque vero l’annuncio mi / era giunto che ti eri uccisa col ferro e avevi seguito la sorte estrema? / Oh, ti fui io causa di morte? Per le stello giuro / per gli dèi superi, e se c’è un qualche credito nelle profondità della terra, / senza volerlo2, regina, mi sono allontanato dalla tua spiaggia». Quindi Enea cerca di interloquire in qualche modo ma Didone illa solo fixos ocuols aversa tenebat, «ella teneva gli occhi fissi al suolo, girata dall'altra parte» (v. 469).

 T. S. Eliot3 considera il silenzio di Didone «il più espressivo rimprovero di tutta la storia della poesia» e «non soltanto uno dei brani più commoventi, ma anche uno dei più civili che si possono incontrare in poesia».

 In realtà c'è un precedente nell'Odissea, XI, 542-564.

 Ulisse si trova nell’Ade per consultare Tiresia e incontra una serie di anime tra cui quella di sua madre e quella di Achille. Però ce n'è una che sta in disparte (543-544)

οἴη δ᾽ Αἴαντος ψυχὴ Τελαμωνιάδαο

νόσφιν ἀφεστήκει, κεχολωμένη εἵνεκα νίκης

«solo l'anima di Aiace Telamonio, restava in disparte, in collera per la vittoria», per il fatto che Ulisse era riuscito a sottrargli con l'inganno le armi di Achille, che dovevano andare in premio al più valoroso dopo Achille. In effetti poi Aiace si suicida perché, come dice nell'omonima tragedia di Sofocle ai vv. 479-80:

ἀλλ' ἢ καλῶς ζῆν ἢ καλῶς τεθνηκέναι

τὸν εὐγενῆ χρή. Πάντ' ἀκήκοας λόγον.

«Ma è necessario che il nobile o viva nella bellezza / o nella bellezza muoia. Hai ascoltato tutto il discorso».

Allora il figlio di Laerte racconta ad Alcinoo che (552):

τὸν μὲν ἐγὼν ἐπέεσσι προσηύδων μειλιχίοισιν

«con parole di miele io mi rivolsi a lui»

Ma (vv. 563-564):

ὣς ἐφάμην, ὁ δέ μ᾽ οὐδὲν ἀμείβετο, βῆ δὲ μετ᾽ ἄλλας

ψυχὰς εἰς Ἔρεβος νεκύων κατατεθνηώτων

«Come dissi, quello niente rispose, ma se ne andò nell'Erebo con le altre anime dei cadaveri dei morti».

 L'Anonimo Del sublime nota che ὕπψος μεγαλοφροσύνης ἀπήχημα, «il sublime è l'eco di un alto sentire» (IX), perciò «il nudo pensiero, separato dalla voce, in qualche modo è ammirato di per sé, perché è in sé alto sentire ὡς ἡ τοῦ Αἴαντος ἐν Νέκυια σιωπὴ μέγα καὶ παντός ὑψηλότερον λόγου, «come il silenzio di Aiace nella Νέκυια, grande e più sublime di qualsiasi discorso».

 Del resto i silenzi di Aiace e Didone sono molto significativi e in fondo assimilabili alla parola dell'oracolo di Delfi secondo Eraclito, fr. 120 Diano, ὁ ἄναξ, οὗ τὸ μαντεῖον ἐστι τὸ ἐν Δελφοῖς, οὔτε λέγει οὔτε κρύπτει, ἀλλὰ σημαίνει, «il signore il cui oracolo si trova a Delfi, non dice e non nasconde, ma significa».

  1 La fonte di questi dati è Alfonso Traina.

 2 L’assenza di volontà come attenuante quando si commette ingiustizia è così commentata da Guicciardini (Ricordi, 168): «Che mi rilieva me che colui che mi offende lo facci per ignoranza e non per malignità? Anzi, è spesso molto peggio, perché la malignità ha e fini suoi determinati e procede con le sue regole, e però non sempre offende quanto può. Ma la ignoranza, non avendo né fine, né regola, né misura, procede furiosamente e dà mazzate da ciechi».

  3 Che cosa è un classico?, in Opere, 1939.1962, Bompiani, pag. 966.

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